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“Esseri umani più flessibili di IA, ci sarà ancora posto per loro”

Keystone-SDA

Gli esseri umani sono più flessibili dell'intelligenza artificiale (IA), ragione per cui ci saranno sempre professioni per cui sono preferibili donne e uomini in carne e ossa: ne è convinto Carl Benedikt Frey, economista di nazionalità svedese e tedesca.

(Keystone-ATS) “Una delle idee sbagliate più persistenti è la convinzione che l’intelligenza artificiale porti automaticamente a una maggiore crescita economica, produttività e prosperità, solo perché fare cose impressionanti come scrivere poesie nello stile di Shakespeare”, afferma il professore che insegna a Oxford in un’intervista pubblicata oggi dal Tages-Anzeiger.

“L’IA automatizza l’intelligenza, certo. Ma l’intelligenza da sola non crea prosperità. Prendiamo la Repubblica Democratica del Congo: nessuna persona seria affermerebbe che lì manca l’intelligenza, eppure il paese rimane povero. Perché? Perché le nuove tecnologie devono essere inserite nelle strutture giuste”.

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“L’intelligenza artificiale è eccellente nel ricordare le cose, ma ha difficoltà a generalizzare situazioni nuove e sconosciute. È proprio qui che risiede la forza degli esseri umani. Questo è particolarmente vero per le professioni che richiedono interazione sociale e flessibilità. Oggi è possibile guardare qualsiasi lezione di yoga sul proprio computer portatile e partecipare da casa, ma molte persone preferiscono ancora andare in uno studio ed essere istruite da un insegnante di yoga. È possibile ottenere un caffè da un distributore automatico premendo un pulsante, ma molti preferiscono ancora recarsi al bar per incontrare il proprio barista. Queste professioni forse non impiegheranno mai la maggior parte della forza lavoro, ma dimostrano che il fattore umano ha ancora un ruolo in un mondo automatizzato”.

“Gli esseri umani sono particolarmente bravi ad affrontare le novità e ad adattarsi a situazioni inaspettate: nei settori in cui sono richieste flessibilità e adattabilità, in futuro ci sarà ancora molta manodopera umana”, spiega l’esperto. “I robot non sono neanche lontanamente paragonabili all’uomo in termini di abilità e flessibilità. Ci sono anche ancora molti settori in cui è estremamente difficile riorganizzare l’ambiente in modo tale che le macchine possano affrontarlo facilmente: non si può certo demolire e ricostruire l’intera città di Zurigo per permettere ai robot di orientarsi meglio”.

L’esperienza storica – osserva il giornalista della testata zurighese – dimostra che le innovazioni tecniche come robot, computer, internet non hanno tolto il lavoro, è un motivo di ottimismo? “Sì, in gran parte, perché abbiamo ripetutamente inventato nuove forme di lavoro”, replica il docente. “Oggi negli Stati Uniti la maggior parte delle persone fa un lavoro che nel 1940 non esisteva. Se aveste chiesto alla mia bisnonna di allora che lavoro avrebbe fatto sua nipote un giorno, probabilmente avrebbe immaginato sarta o segretaria, ma non certo ingegnere informatico. La domanda è se continueremo a creare un numero sufficiente di nuovi tipi di impieghi. Negli ultimi decenni, la velocità di creazione di nuove professioni è rallentata: dobbiamo prendere questo sul serio”.

Vista la situazione non sarebbe il caso che lo stato garantisse un reddito di base incondizionato? “Penso che sia una cattiva idea: un’imposta negativa sul reddito sarebbe un’idea migliore”, risponde lo specialista. “Viene fissata una soglia di reddito, ad esempio 5000 franchi al mese: se si guadagnano solo 3000 franchi, lo stato integra la differenza; al di sopra dei 5000 franchi, non c’è più sostegno. In questo modo si mantiene l’incentivo al lavoro perché, in parole povere, ogni franco in più guadagnato aumenta direttamente il reddito”, conclude Frey.

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