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Commercio con la Cina: “La Svizzera non ha un piano B”

donna passa l'aspirapolvere su un tappeto rosso
Chi stende il tappeto rosso per chi? Svizzera e Cina sono da lungo tempo partner commerciali privilegiati. Peter Klaunzer / AFP

L'Occidente volta le spalle alla Cina. La Svizzera, invece, vuole rafforzare i rapporti economici con la Repubblica popolare. Con quali conseguenze?

In Occidente, i toni si sono fatti più duri nei confronti della Cina. L’Unione Europea ha deciso di imporre dazi punitivi sulle auto elettriche cinesi. Dal canto loro, gli Stati Uniti intendono avviare un conflitto commerciale con la Cina. Inoltre, molte aziende stanno cercando di diversificare e rafforzare le catene di approvvigionamento, oltre a stringere nuove alleanze. In gergo, questa strategia è indicata con il termine de-risking: l’obiettivo è ridurre le dipendenze e i rischi.

I tempi in cui il profitto definiva le relazioni con la Cina sono finiti. C’è un Paese, però, che fa eccezione: la Svizzera. Il Governo elvetico vuole addirittura intensificare i rapporti con la Cina. Il Consiglio federale ha dato luce verde ai negoziati con la Repubblica popolare, volti all’estensione del trattato di libero scambio.

Cina e Svizzera, una relazione di lunga durata

La Svizzera ha sempre avuto un rapporto privilegiato e molto amichevole con la Cina. È stato uno dei primi Paesi occidentali a riconoscere la Repubblica popolare guidata da Mao Zedong nel 1950. L’anno prossimo si festeggerà il 75esimo di questa speciale relazione, un evento che sarà tuttavia celebrato in tono più sottomesso, poiché i rapporti non sono più quelli di dieci anni fa.

Da una parte, l’economia cinese è in difficoltà. Dall’altra, l’Unione Europea e gli Stati Uniti, i principali partner commerciali della Confederazione, stanno voltando le spalle alla Cina. Inoltre, una retorica nazionalista rischia di accendere la miccia dell’annoso conflitto con Taiwan. In questo contesto è lecito chiedersi se la Svizzera non stia peccando di ingenuità.

Non necessariamente, sostiene Wan-Hsin Liu, esperta di Cina e di commercio e investimenti internazionali presso l’Istituto di Kiel per l’economia. “Per la Svizzera ha senso modernizzare l’attuale accordo dopo dieci anni”. Liu sottolinea infatti che “soprattutto sullo sfondo delle attuali tensioni geopolitiche, è ipotizzabile che la Cina possa revocare alcune misure di liberalizzazione. Con un nuovo accordo, la Svizzera potrebbe tutelarsi contro questa eventualità. Inoltre, i negoziati possono offrire la possibilità di ridefinire alcune regole del gioco, ad esempio in materia di commercio online e protezione nella trasmissione di dati a livello internazionale.

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Anche per quanto riguarda i diritti umani, Wan-Hsin Liu sostiene che la Svizzera si trovi in una buona posizione negoziale. “In questo momento la Cina ha un grande interesse nell’accordo perché in questo modo può accedere al mercato europeo”. Infatti, in un momento in cui sia gli Stati Uniti che l’UE stanno cercando di prendere le distanze dalla Repubblica popolare, l’accordo commerciale con la Confederazione ha una grande importanza. “La Cina farà di tutto per non perdere questo accesso”, evidenzia Liu.

Il Governo elvetico potrebbe sfruttare questa relativa posizione di forza per avanzare richieste in materia di diritti umani e protezione ambientale. Finora la Commissione competente del Consiglio nazionale ha rifiutato di inserire norme vincolanti relative a questi temi nell’accordo. Tuttavia, vari partiti di sinistra e organizzazioni hanno già annunciato che lanceranno un referendum, una strategia volta a mettere sotto pressione chi si oppone a queste clausole.

Grandi dipendenze delle aziende

La Cina è un mercato importante per la Svizzera, essendo il suo terzo partner commerciale. Secondo la Segreteria di Stato dell’economia (SECO), nel 2023 le aziende svizzere hanno esportato merce per 40,6 miliardi di franchi nella Repubblica popolare, mentre le importazioni sono state di circa 18,4 miliardi. Rispetto a qualche anno fa, tuttavia, il volume degli scambi commerciali registra un aumento piuttosto contenuto. L’oro, la principale merce di scambio, non rientra però nell’accordo di libero scambio.

Leggete qui la nostra analisi dettagliata sulle relazioni commerciali tra Svizzera e Cina:

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“Attualmente prendere le distanze dalla Cina non sarebbe economicamente sostenibile”, dice Daniel Kinderman, professore di scienze politiche presso l’Università del Delaware. Tuttavia, anche per la Svizzera sarebbe consigliabile diversificare i mercati di vendita; è ciò che ci ha insegnato la pandemia di Covid-19. A causa del rallentamento dell’economia cinese, le aziende svizzere sono quasi obbligate ad ampliare il loro raggio d’azione.

Secondo un sondaggioCollegamento esterno del 2023 condotto dal Centro di ricerca congiunturale KOF del Politecnico federale di Zurigo, il 20% delle imprese industriali svizzere dipende in misura moderata o significativa da forniture critiche cinesi. Il settore elettronico è particolarmente dipendente, così come i settori farmaceutico e chimico. Quasi un’azienda su dieci non è in grado di valutare il proprio livello di dipendenza. In generale, oltre la metà delle ditte elvetiche non ha adottato alcuna misura, mentre meno di un terzo ha intrapreso o intende intraprendere fino a tre provvedimenti, come aumentare in futuro gli acquisti in Europa.

Negli Stati Uniti, la strategia elvetica viene definita pragmatica. “Il Consiglio federale è dell’avviso che continuare come finora sia una via ancora percorribile”, dice il politologo americano. “Tuttavia, non si sa fino a quando questa strategia funzionerà”. Con la rielezione di Donald Trump alla presidenza, gli USA promuoveranno una politica commerciale molto dura contro la Cina, una contrapposizione tra le due superpotenze economiche che avrà ripercussioni anche sulla Svizzera.

Il ritorno di Trump alla Casa Bianca è temuto più dall’industria elvetica che dalla politica. “A preoccupare le aziende di alcuni settori specifici sono soprattutto le conseguenze sugli affari con gli Stati Uniti a causa degli scambi commerciali con la clientela cinese”, evidenzia Alain Graf, Senior Consultant presso Switzerland Global Enterprise in un articoloCollegamento esterno pubblicato sulla rivista americana Bloomberg.

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Una ditta elvetica ha già sperimentato ciò che può significare fare affari con entrambe le potenze economiche. L’azienda ABBCollegamento esterno ha venduto un software per gru portuali all’impresa statale cinese Shanghai Zhenhua Heavy Industries. Queste gru, equipaggiate con il programma dell’ABB, vengono successivamente vendute e installate negli USA. La autorità statunitensi temono però che il software possa essere utilizzato per raccogliere dati sul traffico delle merci e che queste informazioni vengano trasmesse al governo cinese. Di conseguenza, l’ABB è stata convocata dal Congresso degli Stati Uniti per fornire chiarimenti sulla natura e sull’utilizzo del programma.

Se la politica dà un giro di vite

“Credo che casi analoghi saranno sempre più frequenti”, afferma Simona Grano, esperta di Cina e Taiwan e collaboratrice scientifica presso l’Università di Zurigo. “A causa delle crescenti tensioni a livello di politica commerciale, per la Svizzera diventerà sempre più difficile mantenere rapporti con entrambi i partner”. Inoltre, rafforzando le relazioni con la Cina, la Confederazione rischia di inimicarsi gli Stati Uniti e l’Unione europea che potrebbero decidere di limitare gli scambi commerciali con la Svizzera. “Nel peggiore dei casi, l’economia elvetica sarà costretta a scegliere tra l’una o l’altra superpotenza”.

E se la Cina dovesse attaccare Taiwan? “Le conseguenze per l’economia mondiale e la Svizzera sarebbero catastrofiche”, afferma Simona Grano. Tuttavia, è una questione che non viene affrontata. “Attualmente, la Svizzera non ha un piano B”. Si è deciso invece di fare la corte alla Cina, almeno è quanto lascia intendere la decisione presa quest’estate dal ministro degli esteri elvetico Ignazio Cassis di non attualizzare la strategia svizzera con la Repubblica popolare cinese. Si tratta di un documento pubblico, una sorta di bussola di orientamento, in cui la Confederazione definisce il proprio approccio alla Cina e dove sarebbe stato opportuno chiarire la questione di Taiwan.

“Ciò di cui abbiamo bisogno ora è una posizione chiara”, conclude Grano. Per questo si deve essere disposti, di tanto in tanto, a irritare la Cina. “I tempi in cui la Svizzera poteva mantenere la propria economia separata dalle questioni politiche sono ormai, lentamente ma inesorabilmente, giunti al termine”.

Articolo a cura di Giannis Mavris

Traduzione di Luca Beti

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