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Il partenariato migratorio tra Svizzera e Tunisia è davvero vantaggioso per entrambi i Paesi?

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L'allora responsabile del Dipartimento di Giustizia e Polizia svizzero Simonetta Sommaruga con l'allora ministro degli Esteri tunisino Rafik Abdessalem dopo la firma degli accordi bilaterali sulla migrazione e sullo scambio professionale giovanile nel 2012. Keystone

Nel 2012 Svizzera e Tunisia firmarono un memorandum d’intesa che stabiliva le politiche migratorie tra i due Stati. L’obiettivo era quello di controllare l’afflusso di migranti provenienti dalla Tunisia e diretti in Svizzera e, contestualmente, di perfezionare il percorso professionale delle giovani lavoratrici e dei giovani lavoratori di entrambi i Paesi. All’epoca il partenariato era stato definito vantaggioso per tutte le parti coinvolte. È stato davvero un successo? Quali sono le sfide attuali?

Nel 2012, l’elevatissimo numero di persone richiedenti asilo provenienti dalla Tunisia e dirette in Svizzera aveva spinto i due Paesi a sottoscrivere un memorandum d’intesa che aveva gettato le basi per un accordo formale in materia di cooperazione migratoria. Il memorandum si reggeva su due pilastri: la Svizzera approvava lo scambio di giovani lavoratrici e giovani lavoratori con visti di breve durata e, in cambio, la Tunisia accettava di riammettere le persone richiedenti asilo che erano state respinte.

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Il memorandum d’intesa fu la risposta all’impennata dell’immigrazione irregolare proveniente dalla Tunisia in seguito a quella che fu chiamata la “Primavera araba” e alla rivoluzione che aveva rovesciato l’allora presidente Zine El Abidine Ben Ali, al potere dal 1987. In preda ai disordini, la Tunisia non era più in grado di garantire il controllo dei propri confini.

Gli accordi bilaterali in ambito migratorio non erano una novità. Oltre a quello con la Tunisia, infatti, la Svizzera intrattiene sette partenariati simili con Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo, Macedonia del Nord, Nigeria, Serbia e Sri Lanka. Ha inoltre concluso accordi di riammissione con circa 52 Paesi e accordi per la formazione professionale con altri 14.

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All’epoca gli accordi erano controversi, e lo sono ancora di più oggi che l’Unione Europea rafforza i propri confini e demanda le politiche migratorie a Paesi terzi. Basti pensare al piano del Regno Unito, aspramente criticato, di spedire in Ruanda le persone richiedenti asilo e fare in modo che le loro domande vengano esaminate nel Paese africano. Lo scorso anno, la Corte suprema del Regno Unito ha sentenziato che il piano è illegittimo, invocando una violazione della Convenzione europea sui diritti umani.

Secondo Majdi Karbai, attivista che si batte per i diritti delle persone migranti ed ex membro del Parlamento tunisino, la riammissione non è nient’altro che “la definizione legale di quella che di fatto è una deportazione forzata”.

“La Svizzera, come i Paesi dell’Unione europea, fa accettare alla Tunisia l’espulsione delle sue cittadine e dei suoi cittadini in cambio di una determinata quota di visti d’entrata regolari”, afferma Karbai.

A più di dieci anni dall’attuazione dell’accordo tra Svizzera e Tunisia, dai dati emerge un quadro contrastante dei risultati di queste politiche. Mentre, secondo le autorità elvetiche, il tasso di riammissione e il numero di cittadine tunisine e di cittadini tunisini che entrano in Svizzera illegalmente è rimasto basso – in linea con gli obiettivi dichiarati dell’accordo stesso – per il momento la Tunisia ha beneficiato poco dei programmi di tirocinio per le sue giovani e i suoi giovani.

D’intesa con la Svizzera la Tunisia ha riammesso 451 persone. Nel frattempo, stando alle statistiche fornite dalla Segreteria di Stato della migrazione (SEM) a SWI swissinfo.ch, altri 402 individui hanno fatto ritorno volontariamente nel Paese magrebino tra il 2014 e il 2023.

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Karbai sostiene che il partenariato in realtà è sempre stato vantaggioso solo per uno dei due Paesi, in quanto “vi sono molte complicazioni che impediscono di sfruttare appieno i contingenti previsti, come le procedure e le condizioni per ottenere un visto”. Le cifre relative ai contingenti però non vengono pubblicate.

All’e-mail con la quale SWI chiedeva precisazioni circa l’analisi dei risultati del partenariato di riammissione la SEM ha risposto che “il numero di persone che hanno fatto ritorno in patria su base volontaria o per effetto di misure coercitive rimane relativamente basso, ed è relativamente esiguo anche il numero di domande d’asilo e quello degli arrivi irregolari in Svizzera”.

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Secondo l’accordo la Svizzera si assume i costi dei viaggi di ritorno su voli di linea e consegna una somma di denaro non meglio specificata a ciascuna persona richiedente asilo respinta, con l’obiettivo – almeno sulla carta – di permettere “la creazione di condizioni favorevoli per il reinserimento sociale ed economico”. La Tunisia dal canto suo si impegna a riaccogliere le persone richiedenti asilo che sono state respinte.

Complessivamente lo scorso anno 5’742 persone hanno lasciato la Svizzera – su base volontaria oppure per effetto di provvedimenti coercitivi –, con un aumento del 19% rispetto ai dati del 2022.

I problemi all’orizzonte

Uno dei problemi della riammissione, quello che più preoccupa coloro che si battono per i diritti umani, è rappresentato dal fatto che uno Stato potrebbe trovarsi a dover riammettere le persone che non sono in possesso della cittadinanza perché lungo il tragitto verso l’Europa esse hanno varcato i confini di tale Stato.

In teoria, pertanto, la Tunisia potrebbe trovarsi a dover riammettere richiedenti asilo privi di documenti di identificazione: sono infatti molte le persone, tra coloro che intraprendono il viaggio, a distruggerli per rendere più difficile l’espulsione. In pratica questa misura non viene applicata, ma le cose potrebbero cambiare in quanto l’UE sta inasprendo la sua posizione per quanto riguarda la migrazione illegale.

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“Tutti i Paesi stanno vagliando questa possibilità”, afferma Karbai. Vale a dire, per esempio, che un migrante maliano che per recarsi in Europa è transitato per la Tunisia potrebbe essere rispedito nello Stato magrebino. Ciò è problematico perché quest’ultimo potenzialmente potrebbe diventare un Paese di reinsediamento per chi ha presentato una domanda d’asilo ed è stato respinto, e la Tunisia stessa è contraria.

Altra fonte di preoccupazione è il fatto che la Svizzera respinge la maggior parte delle domande d’asilo sostenendo che la Tunisia è considerata un Paese sicuro. Secondo le ONG, le attiviste e gli attivisti ciò ormai non corrisponde più alla realtà. Stando al rapporto “Freedom in the World”, pubblicato nel 2024, la Tunisia sarebbe un Paese “parzialmente libero”.

“Ormai la violenza è tornata ad abbattersi sulla Tunisia: le minoranze sono vittime di aggressioni, che colpiscono anche la comunità LGBT, con tanto di violazioni dell’integrità fisica tramite perquisizioni anali”, afferma Karbai.

“Tuttavia l’Europa ignora questa realtà: continua a espellere le persone grazie ad accordi sulla migrazione e porta avanti i preparativi per rendere la Tunisia un Paese di reinsediamento”.

A ciò si aggiunge il fatto che le persone richiedenti asilo e le migranti e i migranti irregolari che sono stati riammessi spesso tentano di fare ritorno in Europa, come racconta un migrante tunisino che era stato rimpatriato in Tunisia nel 2016. In un’intervista anonima concessa a SWI quest’ultimo ha infatti confermato l’intenzione di imbarcarsi nuovamente per il Vecchio continente partendo dalle coste tunisine.

Finanziamento di primi impieghi e tirocini

Anche l’aspetto meno controverso dell’accordo, vale a dire l’ammissione di un certo numero di lavoratrici e lavoratori qualificati per un periodo limitato, si rivela problematico. La Tunisia sta veramente beneficiando di questo programma come previsto? L’accordo tra i due Paesi stabilisce chiaramente che la Svizzera si impegna a formare la giovane manodopera con l’obiettivo di permettere a queste persone di tornare in patria dopo aver acquisito nuove competenze.

L’accordo prevede che ogni anno possono beneficiare del programma fino a 150 giovani lavoratrici e lavoratori nei due Paesi. Non è per niente facile però attuare il programma, e sono poche le persone ad averne beneficiato. Tra il 2015 e il 2023, infatti, solo 174 tra tunisine e tunisini hanno preso parte a programmi di tirocinio in Svizzera, mentre solo una persona dalla Svizzera ha potuto prendere parte a un programma di questo tipo in Tunisia.

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“In generale il mercato del lavoro svizzero è più interessante per le giovani tunisine e per i giovani tunisini che il contrario”, afferma la SEM su richiesta di SWI aggiungendo che, malgrado i numeri non siano altissimi, l’accordo tra Tunisia e Svizzera è “il terzo accordo più interessante dopo quelli con Stati Uniti e Canada”.

“Perspectives” è uno dei progetti attuati da Svizzera e Tunisia nel quadro dell’accordo che riguarda le giovani lavoratrici e i giovani lavoratori. Il numero totale di giovani lavoratrici e giovani lavoratori iscritti al programma a settembre 2026 non supererà le 200 unità, con 150 persone che saranno reinserite nel mercato del lavoro tunisino, secondo quanto afferma Theres Meyer, direttrice supplente della comunicazione presso Swisscontact, un’organizzazione che aiuta tunisine e tunisini a trovare un programma di tirocinio in Svizzera.

Le tunisine e i tunisini che vogliono trovare un tirocinio o un primo impiego devono superare lo scoglio delle conoscenze specialistiche e della burocrazia.

“Perspectives” è pensato per “rendere attiva la diaspora tunisina a lungo termine e aiutarla a investire, creando opportunità di lavoro e contribuendo alla crescita sociale ed economica in Tunisia”, afferma Meyer.

Insaf Neili
Insaf Neili è tornata in Tunisia dopo uno stage di otto mesi presso uno studio di ingegneria in Svizzera. Insaf Neili

Insaf Naeli, studentessa di ingegneria di 25 anni, ha beneficiato del programma presso uno studio di architettura. È appena tornata in Tunisia dopo otto mesi trascorsi in Svizzera.

“Ho avuto l’opportunità di migliorare le mie conoscenze e competenze con l’aiuto di persone più esperte di me”, racconta la giovane al telefono con SWI.

L’aspirante ingegnere è convinta che le differenze tra Svizzera e Tunisia per quanto riguarda le tecniche edilizie e la legislazione le consentono di “porre un maggior numero di domande e imparare meglio”.

La giovane ora sogna di fondare la propria start up e sul medio termine prevede di restare in Tunisia per sviluppare il suo lavoro imprenditoriale, ma non intende rimanerci troppo a lungo.

Desidera infatti cercare opportunità di lavoro in Europa, per poi fare ritorno più avanti in Tunisia e mettere a disposizione della collettività il proprio know how e la propria esperienza.

È difficile trovare statistiche su coloro che si sono stabiliti in Tunisia dopo aver beneficiato dei programmi di tirocinio e su coloro che hanno nuovamente lasciato il Paese per fare esperienze altrove.

Nonostante i dubbi che aleggiano sugli accordi di riammissione e l’esiguo numero di giovani tunisine e di giovani tunisini che hanno beneficiato delle offerte da essi previste, la SEM ha confermato a SWI che “dal 2012 il partenariato migratorio con la Tunisia funziona molto bene”.

A cura di Virginie Mangin

Traduzione: Stefano Zeni

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