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Nessuno vuole riconoscere il governo talebano. Eppure la Svizzera sta per tornare in Afghanistan

talebani
Le forze di sicurezza durante una parata militare per celebrare il terzo anniversario della presa di potere dei Talebani. Il 14 agosto 2024 a Bagram, Afghanistan. KEYSTONE

L'isolamento politico dei Talebani da parte della comunità internazionale è stato un fallimento. Ed è la popolazione civile a soffrire le sanzioni, prime fra tutti le bambine. Molti Stati stanno ora ammorbidendo la loro posizione e cercano di ristabilire i contatti con i Talebani, quanto meno con finalità umanitarie. Fra loro c'è anche la Svizzera. Perché lo fa?

Si è trattato di un momento storico, immagini che si sono impresse nella memoria collettiva. Era l’estate del 2021 e le piste dell’aeroporto di Kabul si riempivano di migliaia di persone, che disperate si travolgevano a vicenda e tentavano di aggrapparsi alle ruote di aerei in fase di decollo.

Nel giro di pochi giorni i Talebani, dopo quasi due decenni, hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan, mentre la comunità internazionale ha abbandonato di gran carriera il Paese. Finora, nessuna nazione del pianeta ha riconosciuto la legittimità del nuovo Governo, che nel frattempo ha ricominciato a controllare il territorio con pugno d’acciaio.

In seguito al passaggio di potere, la comunità internazionale si era accordata per isolare il nuovo esecutivo. Un riconoscimento ufficiale e la ripresa delle relazioni diplomatiche sarebbero stati possibili solo laddove fossero stati rispettati i diritti umani, in particolare quelli di donne e bambine, e a condizione che venisse formato un governo inclusivo. Questa, almeno, è stata finora la strategia costantemente ribadita dalla comunità internazionale.

donne con burqa
Ad agosto il Governo ha emanato una nuova “legge sulla virtù” con norme di abbigliamento e di comportamento ancora più severe, soprattutto per le donne e le ragazze. Copyright 2022 The Associated Press. All Rights Reserved.

Vacilla l’isolamento dei Talebani

Strategia condivisa che adesso, a tre anni dal passaggio di potere, sembrerebbe vacillare. Se molti Stati occidentali hanno continuato a evitare qualunque tipo di relazione con i Talebani, secondo uno studio Collegamento esternodel Washington Institute for Near East Policy starebbe invece aumentando il numero di quanti hanno ricominciato ad avere contatti formali o informali con il governo di Kabul.

Non solo Russia e Cina, ma anche Paesi occidentali come la Norvegia e il Regno Unito. Fra i primi del continente Europa, la Svizzera in autunno vuole tornare in Afghanistan per riaprire la sede di coordinamento dell’aiuto umanitario della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC).

3,5 miliardi di dollari appartenenti al popolo afghano sono a Ginevra. Questa è la loro storia:

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L’ufficio della DSC fermò i battenti nell’agosto 2021, a seguito del passaggio di potere, e il suo personale fu evacuato nella capitale pakistana Islamabad. Ora, però, molte delle persone che lavorano per l’agenzia elvetica per l’aiuto umanitario internazionale torneranno a essere di casa a Kabul, per seguire da vicino la realizzazione di progetti finanziati dalla DSC.

L’agenzia ha finora lavorato in Afghanistan soprattutto in collaborazione con organizzazioni multilaterali e internazionali come l’ONU e la Banca mondiale, ma anche con enti non governativi locali e internazionali. Grazie a questa decisione, la Svizzera potrebbe rivestire un ruolo pionieristico, mentre Paesi come la Francia o la Germania hanno mantenuto una posizione rigida, che prevede l’assoluta distanza dall’impegno in loco, e hanno di recente ulteriormente ridotto il loro contributo finanziario a progetti di aiuto. La Germania ha in particolare annunciato il completo ritiro dal Paese per il 2025 della sua organizzazione umanitaria GIZ, che si era finora affidata per i suoi progetti a personale locale.

Tre anni dopo il passaggio di potere, infatti, la politica dei Talebani sta mettendo molti Governi di fronte a un dilemma sempre più difficile da sciogliere: nonostante gli sforzi decennali della diplomazia occidentale, i Talebani non sembrano disponibili al compromesso. Al contrario, sotto la guida dell’emiro Hibatullah Achundsada l’esecutivo ha portato avanti con crescente rigore una politica radicale. In agosto, il governo ha promulgato una nuova “legge sulla virtù”, in base alla quale sono entrate in vigore regole ancora più severe che riguardano abbigliamento e comportamento, in particolare delle donne e delle bambine. A entrambe, sono ancora oggi precluse scuole superiori e università.

Migliaia di persone si affollano all'aeroporto di Kabul per fuggire dal temuto regime islamista dei Talebani, 16 agosto 2021.
Migliaia di persone si affollano all’aeroporto di Kabul per fuggire dal temuto regime islamista dei Talebani, 16 agosto 2021. Afp Or Licensors

In Afghanistan sono soprattutto le bambine a fare la fame

Secondo lo studioso dell’Islam Reinhard Schulze, non si è riusciti a sviluppare una strategia efficace perché dal principio è mancata una corretta valutazione della situazione nel Paese.

Ex direttore di quello che era l’Istituto per il Medio Oriente a Berna, lo studioso sottolinea come nonostante da sempre i Talebani abbiano considerato qualunque forma di critica come una ferita alla loro sovranità, la comunità politica internazionale si sia creata con le sue mani un ostacolo, promuovendo un sistema di sanzioni e restrizioni.

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Pur essendo queste necessarie dal punto di vista politico al fine di togliere legittimità ai Talebani, le sanzioni avrebbero infatti provocato un effetto contrario a quello auspicato, soprattutto a livello della società civile, perché alla lunga hanno finito per compromettere le prospettive dell’aiuto umanitario. Di fatto, prolungare ancora l’isolamento del Paese colpirebbe soprattutto la popolazione.

Tagliata fuori dai circuiti bancari e sottoposta a restrizioni economiche, l’economia afgana a tutt’oggi non è stata in grado di riprendersi, nonostante ogni anno siano centinaia di migliaia le persone giovani che si affacciano sul mercato nazionale del lavoro.

Oggi il Paese è colpito da una delle più gravi crisi umanitarie del mondo: secondo le Nazioni Unite, oltre un terzo delle 40 milioni di persone che vivono in Afghanistan quest’anno non avrà abbastanza da mangiare. Secondo Medici senza frontiere, le ragazze muoiono ad un tasso che è il 90% superiore a quello dei loro coetanei maschi.

Abbiamo scritto qui degli effetti sanitari delle sanzioni:

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Intanto, sono drasticamente diminuiti gli aiuti umanitari. All’inizio del 2024, l’ONU aveva destinato al Paese quasi 3,2 miliardi di dollari. Ma a tutt’oggi, solo circa un quarto della cifra stanziata è stata effettivamente inviata in Afghanistan.

Anche la Svizzera aveva diminuito il suo contributo al momento del passaggio di potere, da 60 milioni di franchi nel 2022 agli attuali circa 24. Ma nonostante questo, la Confederazione resta uno dei più importanti protagonisti dell’aiuto umanitario al Paese.

I Talebani contano sul fattore tempo

L’esperto di Afghanistan Ibrahim Bahiss, che lavora per il think tank Crisis Group, ritiene che i Talebani siano ben consapevoli che a lungo termine non ci sarà un riconoscimento ufficiale del loro Governo da parte della comunità internazionale. Troppo grande la distanza fra le loro posizioni ideologiche e valori fondamentali quali la Dichiarazione universale dei diritti umani.

Al tempo stesso, però, i Talebani contano sul fattore tempo, persuasi che molte nazioni, in particolare quelle più vicine, per ragioni legate alla sicurezza e all’economia prima o poi non avranno altra scelta che ristabilire le relazioni, come minimo in maniera non ufficiale.

Anche le Nazioni Unite di recente si sono adoperate con attitudine pragmatica nei confronti del nuovo Governo di Kabul. All’inizio di giugno l’hanno invitato a colloqui con inviati speciali di 20 Paesi a Doha, la capitale del Qatar. In agenda, fra gli altri temi, le opzioni di collaborazione in campo economico, in particolare nel settore privato. Un incontro che è stato concepito come la prima tappa di un processo che dovrebbe a lungo termine portare al reintegro nel sistema internazionale del Paese isolato, con l’obiettivo di garantire un sostegno a lungo termine della popolazione civile.

Un impegno non certo scevro da controversie, tanto che dal principio è stato oggetto di critiche affilate. Come quelle espresse in una lettera inviata alla sede centrale ONU di New York da un gruppo di nazioni di peso come Francia, Germania e Stati Uniti.

Nel testo hanno minacciato di boicottare l’incontro, o di quanto meno limitare la partecipazione della loro delegazione ufficiale. Sottolineando l’esigenza minima di includere nelle negoziazioni anche la società civile afgana e includere nell’agenda dei lavori la situazione dei diritti umani nel Paese.

Una richiesta rinviata seccamente al mittente dai Talebani. Per la stessa ragione, in febbraio era finito nel nulla il progetto di un analogo incontro internazionale.  

Ragazze afghane frequentano le lezioni di un seminario islamico a Kabul.
Ragazze afghane frequentano le lezioni di un seminario islamico a Kabul. Alle donne e alle ragazze è ancora negato l’accesso alle scuole secondarie e alle università. KEYSTONE

Un compromesso svizzero come via d’uscita?

La riapertura della sede della DSC in autunno potrebbe così rappresentare una forma di compromesso, che consenta alla Svizzera di tornare ad espandere il suo aiuto umanitario in loco pur mantenendo chiusa, per ragioni politiche, la sua ambasciata. Secondo la DSC, il personale che sarà stanziato a Kabul dovrà poter riallacciare contatti con i Talebani, seppure limitati alla gestione degli aiuti umanitari.

La scelta elvetica viene accolta positivamente da Martin Hongler, vicepresidente dell’organizzazione privata di aiuto umanitario Afghanistanhilfe, che da decenni realizza nel Paese progetti umanitari grazie a donazioni private.

La DSC ha già sostenuto in passato progetti dell’ONG, come la costruzione di un centro di cure mediche. “È difficile portare aiuti, e farsi un’idea realistica della situazione, senza essere fisicamente in Afghanistan”, nota Hongler. E sottolinea che sarebbe illusorio pensare di riuscire ad aiutare la popolazione civile senza il coinvolgimento delle autorità locali, e pretendendo che non possano finire per trarne forse indirettamente anche un vantaggio. “D’altronde, non si dovrebbe negare aiuto a delle persone, solo perché hanno il Governo sbagliato”.

A cura di Marc Leutenegger

Traduzione di Serena Tinari

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