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Perché la Svizzera non voleva mandare i suoi ministri all’estero?

I viaggi all'estero fanno parte oggi delle normali mansioni dei consiglieri federali. A lungo però la Svizzera ha guardato con scetticismo alle visite diplomatiche dei suoi ministri e in particolare del presidente della Confederazione.

Quando nel corso del 2019 il presidente della Confederazione di turno, Ueli Maurer, ha visitato la Cina, gli Stati Uniti, l’Arabia saudita e la Russia, i suoi viaggi hanno suscitato molte discussioni. Le critiche hanno preso di mira la scelta degli interlocutori e dei paesi visitati. Solo sporadicamente sono invece emerse riserve di principio sull’opportunità per un presidente di recarsi all’estero.

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In Svizzera c’è ormai da tempo un consenso diffuso sul fatto che le funzioni di rappresentanza del presidente della Confederazione comprendano anche visite al di fuori dei confini nazionali.  

Chi rappresenta la Confederazione? 

Questo approccio disinibito agli usi e costumi della diplomazia internazionale è però una conquista relativamente recente. A lungo, nel corso del XIX e XX secolo, la Svizzera ha mantenuto una attitudine molto prudente nei confronti delle viste all’estero dei suoi ministri e in particolare del presidente della Confederazione. 

In origine, le visite di Stato erano prerogativa dei sovrani dinastici. Per uno Stato repubblicano e federalista come la Svizzera, designare un rappresentante della sovranità dello Stato risultava ben più complicato. Tanto più che il principio di collegialità, su cui si basa il Consiglio federale, considera il presidente della Confederazione un primus inter pares, non un capo di Stato.

Cultura politica repubblicana 

Al di là delle questioni di rappresentanza, le velleità diplomatiche dei consiglieri federali si sono scontrate a lungo con la cultura politica repubblicana, refrattaria ai personalismi e alle esibizioni di potere, e con la concezione svizzera della neutralità, restia a un coinvolgimento dei consiglieri federali nella politica delle potenze.

Ancora nel 1966, un funzionario del Dipartimento politico federale (Dipartimento federale degli affari esteri dal 1979) scriveva in una nota interna che “gli svizzeri hanno orrore delle persone troppo elastiche e delle chiacchiere politiche; inoltre non amano il fumo negli occhi. Manteniamo dunque la nostra diplomazia seria e discreta, che non si presta ai viaggi spettacolari.”

La stessa nota ammetteva però due eccezioni a questa regola generale: l’Austria e la Svezia. “A questi paesi abbiamo qualcosa da dire. Per i soli veri Stati neutrali c’è un interesse comune.”

Divieto di viaggio per il ministro degli esteri 

Fino alla Prima guerra mondiale, il presidente della Confederazione di turno assumeva la direzione del Dipartimento politico federale (DPF), salvo rare eccezioni. La regola che impediva al presidente di recarsi all’estero equivaleva quindi paradossalmente a un divieto di viaggio per il ministro degli esteri. 

La reticenza verso le visite all’estero sopravvisse anche alla Seconda guerra mondiale. Se la partecipazione a conferenze ministeriali o a incontri multilaterali divenne con il tempo una pratica frequente, i viaggi del ministro degli esteri continuarono a essere visti con scetticismo, a causa della loro dimensione politica.

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“Solo tra il 1965 e il 1975 si è assistito a un processo di normalizzazione della politica estera svizzera”, osserva Sacha Zala, direttore dei Documenti diplomatici svizzeri. 

Le difficoltà a cui andavano incontro i responsabili della politica estera svizzera nel tentativo di aprire nuove prospettive diplomatiche emergono per esempio dal primo viaggio del capo del DPF, all’epoca Willy Spühler, in un paese dell’est, nel 1969.

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Ma ancora nel 1979, un lungo viaggio del ministro degli esteri Pierre Aubert in Africa occidentale fu al centro di ampi dibattiti nella stampa. Molte voci criticarono il nuovo “dinamismo” della politica estera svizzera; un parlamentare della destra arrivò a definire il viaggio un “safari”. I tempi erano però ormai maturi per una presenza più attiva della Svizzera sul palcoscenico diplomatico globale.

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