Regolamentazione dell’intelligenza artificiale, uno svizzero braccio destro degli Stati Uniti?
L'accordo sull'intelligenza artificiale (IA) del Consiglio d'Europa, annacquato e favorevole agli Stati Uniti, non incarna più molto, secondo alcuni, i valori europei. Diverse ONG puntano il dito contro il capo negoziatore svizzero.
La politica è spesso in ritardo rispetto alla realtà dei fatti. Lo è sicuramente nell’ambito della digitalizzazione della società. La prova schiacciante è la legislazione sull’intelligenza artificiale.
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L’IA fa parte del nostro quotidiano, delle nostre vite private e professionali, senza che ce ne rendiamo sempre conto. Ecco perché delle istanze internazionali si stanno occupando della questione per introdurre un quadro giuridico che possa affrontare efficacemente alcune sfide. In che modo le risorse umane possono servirsi dell’IA per filtrare le candidature più facilmente? Come scuole e servizi giuridici potrebbero sfruttare i generatori di testi e di immagini come Chat-GPT o Dall-E? Il riconoscimento facciale in tempo reale deve essere vietato? La polizia prevede delle eccezioni?
Altri sviluppi
Lo scorso dicembre, l’Unione Europea ha già compiuto un primo passo raggiungendo un accordo sulla regolamentazione globale dell’IA, noto come “AI Act”Collegamento esterno. Allo stesso tempo, il Consiglio d’Europa, con sede a Strasburgo, sta attualmente cercando di redigere un quadro giuridico per regolamentare l’IA.
Fondato nel 1949, il Consiglio di Europa ha il compito di rafforzare la democrazia, i diritti umani e lo Stato di diritto in Europa. Conta 46 Stati membri, tra cui la Svizzera dal 1963.
I delegati e le delegate lavorano senza sosta a Strasburgo per elaborare una regolamentazione ad hoc sull’IA che potrebbe essere adottata in maggio. Tuttavia, questo accordo imminente del Consiglio d’Europa ha trovato poco spazio nei media.
Questo nonostante si tratti del primo regolamento internazionale sull’IA applicato anche al di fuori delle frontiere dell’UE. Tutti i Paesi possono siglare gli accordi del Consiglio d’Europa e farli ratificare dai loro Parlamenti. Ragione per cui gli Stati Uniti, Israele, Canada e Giappone sono presenti al tavolo dei negoziati. Senza diritto di voto, ma con statuto di osservatori.
La battaglia infuria dietro le quinte per delimitare e fissare ogni campo di applicazione, ogni formulazione, ogni virgola. In questa lotta senza esclusione di colpi, i Paesi non membri del Consiglio d’Europa potrebbero uscirne vincitori. Come quelli che danno priorità all’industria dell’IAia discapito, talvolta, dei diritti umani. Ciò malgrado il titolo dell’accordo non dia adito a equivoci: “Intelligenza artificiale, diritti umani, democrazia e Stato di diritto”.
Che ruolo svolge la Svizzera in questa arena?
Un diplomatico navigato
Dall’aprile 2022, lo svizzero Thomas Schneider dirige il Comitato sull’IA del Consiglio d’Europa. Vicedirettore dell’Ufficio federale delle comunicazioni (UFCOM), il 52enne è a capo del dipartimento delle relazioni internazionali.Collegamento esterno La sua carriera diplomatica l’ha portato anche a occupare per anni diverse funzioni di prestigio presso il Consiglio d’Europa, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e Internet Icann, organismo che si batte per un web sicuro.
Nell’ambiente governativo , Schneider aveva il curriculum ideale per dirigere i negoziati a Strasburgo: competenza, dimestichezza sulla scena internazionale, capacità a condurre delle trattative restando al contempo all’ascolto delle preoccupazioni della società.
Due anni dopo la sua nomina, però, una parte di chi ha partecipato ai negoziati, soprattutto i membri della società civile, ne dipingono un ritratto diverso. Queste persone si dicono deluse dal suo lavoro. In causa c’è in particolare il modo in cui i negoziati sono stati condotti, con dibattiti tra Stati a porte chiuse durante l’elaborazione dell’accordo.
Società civile esclusa
Attorno al tavolo si sono incontrati membri del Consiglio d’Europa come la Svizzera, la Moldavia e la Svezia, ad esempio, ma anche Paesi osservatori come Canada o Giappone. Gli attori non statali (ONG, rappresentanti della ricerca scientifica, imprese, …) sono stati esclusi dalle riunioni e hanno potuto esprimersi solo durante le sessioni plenarie o presentare proposte di emendamento anticipatamente.
“Va offerto uno spazio in cui ci si senta a proprio agio per poter fare dei compromessi, in modo che le delegazioni possano dire ai propri Paesi di aver fatto il massimo”, spiega Schneider, giustificando le procedure in corso.
Non molto tempo fa, tuttavia, la situazione è stata ben diversa per un altro dossier digitale trattato dal Consiglio d’Europa, la Convenzione 108+ sulla protezione dei dati. Società civile e delegazioniCollegamento esterno si sono incontrate nella stessa stanza per dibattere. Secondo Marc Rotenberg, che ha seguito i negoziati sull’IA e sulla politica digitale, l’esclusione della società civile in questa fase del processo “è un cattivo segnale che non lascia presagire nulla di buono”.
Alcuni di coloro che hanno partecipato alle riunioni hanno ammesso comunque che le rivendicazioni della società civile sono state ascoltate all’inizio dei negoziati in seno al Comitato sull’IA del Consiglio d’Europa. Solamente in un secondo tempo, però, e il modus operandi ha impedito alle ONG di esprimersi sui compromessi raggiunti tra gli Stati.
Accordo globale
Sia per le ONG che per la società civile, il risultato dei negoziati si è rivelato frustrante. Due anni fa, una prima dichiarazione aveva messo l’accento sui diritti umani. Cosa resta? La versione attuale è annacquata, secondo il portale d’informazione EuractivCollegamento esterno.
Aspetti importanti come l’impatto dell’IA sull’ambiente e sull’energia sono totalmente assenti. I sistemi di sicurezza nazionale basati sull’IA potrebbero a loro volta essere esclusi dalla regolamentazione. Alcuni partecipanti sostengono che si stiano calpestando i valori difesi dal Consiglio d’Europa, tra cui l’uguaglianza e la non discriminazione, iscritte nella Convenzione dei diritti umani. Ciò malgrado il Comitato sull’IA del Consiglio d’Europa si sia impegnato a rispettare questi principi fondatori nel suo mandatoCollegamento esterno.
Questo è dovuto principalmente al fatto che il Comitato sull’IA sta spingendo per definire prima di tutto un orientamento globale. Lo conferma Schneider sul suo sito: “Siamo tutti d’accordo a sviluppare uno strumento che non sia attrattivo solamente per i Paesi in Europa, ma per il maggior numero possibile di Stati in tutte le regioni”.
Il testo continua: “È il mandato e la missione che il Consiglio d’Europa mi ha affidato. Se imponiamo la sola logica europea, altri Stati volteranno le spalle e non firmeranno. Bisogna includere delle culture e dei sistemi giuridici differenti”.
C’è però una nota stonata. Non è stipulato da nessuna parte che la convenzione debba essere firmata dal maggior numero possibile di Paesi. La lista dei compiti indica solo che il Comitato deve operare con “una visione globale”, ma anche a favore “di un processo di negoziazione inclusivo con partner internazionali”. Interpellato su questo aspetto, Schneider assicura che questa posizione è conforme alla volontà dei partner di negoziato. Finora, nessuno l’ha contraddetto sul sito del Comitato sull’IA.
Lobbismo statunitense
Il pomo della discordia riguarda soprattutto il campo di applicazione della convenzione. Secondo Schneider, l’accordo deve “incoraggiare l’innovazione” in virtù del mandato che gli è stato conferito. Da qui l’importanza di portare a bordo Paesi che possiedono già un numero elevato di aziende attive nel settore dell’IA: “Altrimenti, l’Europa resterà un club chiuso”, teme.
È proprio sull’aspetto della promozione dell’innovazione che si fanno sentire le tensioni maggiori. Gli Stati Uniti, sotto pressione da parte della propria industria dell’IA, hanno proposto di non adottare linee guida vincolanti per il settore privato.
Il 24 gennaio, in una lettera aperta al Segretario di Stato americano Antony BlinkenCollegamento esterno, molte lobby statunitensi hanno lanciato un monito. “Sconsigliamo vivamente di includere tali norme restrittive per l’industria privata”, hanno scritto, argomentando che la leadership americana nel settore dell’IA sarebbe a rischio, così come il suo ruolo politico ed economico. Questi gruppi precisano che l’UE ha già adottato regole “discriminatorie”, perché indirizzate contro le imprese statunitensi (Digital Market Act). Il Canada il Giappone e il Regno Unito sono della stessa opinione.
“Il più grande pericolo dell’IA proviene proprio dalle imprese private. È a loro che deve indirizzarsi tale convenzione”, risponde Rotenberg a nome delle ONG. Secondo lui, l’esclusione del settore privato in questo ambito significherebbe, per esempio, che le aziende che diffondono false informazioni e i cosiddetti “deepfake” non verrebbero sanzionate in alcun modo.
Un’altra lettera per cambiare direzione
La controffensiva si sta organizzando. Più di 90 ONG e gruppi scientifici, tra cui Algorithmwatch Svizzera di Zurigo e la Società Digitale (Digitale Gesellschaft) di Basilea, hanno pubblicato una lettera aperta che chiede una correzione del tiro dei negoziati. “O tutti sono inclusi in queste regolamentazioni, o si lascia perdere”, esclama Karsten Donnay, professore di comportamento politico e media digitali all’Università di Zurigo, firmataria. Tarek Naguib, dell’ONG svizzera Humanrights.ch, si rallegra che, da un lato, questa convenzione non sia “esclusivamente europea”, ma ritiene che se “si dà carta bianca alle multinazionali, manderemo il segnale che i diritti umani possono essere relativizzatii”. Naguib ha sottoscritto a sua volta la lettera.
Due opzioni sono oggi sul tavolo dei negoziati. La prima consiste in una clausola di opt-out (disimpegno) limitata nel tempo. Ciò significherebbe che La Convenzione si applica sia al settore pubblico che a quello privato. Tuttavia, gli Stati firmatari potrebbero escludere temporaneamente il privato. In seguito, un controllo verrebbe effettuato ogni due anni. L’UE e la società civile sono a favore di questa soluzione.
La seconda è una clausola di opt-in (consenso), vincolante per il settore pubblico, ma non per quello privato. Tuttavia, i Governi possono “cercare di garantire” (“seek to ensure”) che misure adeguate siano implementate per il privato. La formulazione implica che l’adozione di tali misure non è giuridicamente vincolante e non può essere applicata in tribunale. Gli Stati Uniti stanno esercitando una forte pressione a favore di questa clausola, osteggiata dalla società civile.
Secondo una fonte vicina al dossier, si tratta di un gioco sporco. “Se venisse adottata l’opzione di opt-out, gli Stati Uniti apparirebbero come i cattivi e dovrebbero fare marcia indietro. È per questa ragione che vogliono abbassare gli standard per tutti i Paesi coinvolti”.
La delegazione svizzera appoggia l’opzione di opt-in, il che la rende alleata degli Stati Uniti su questo punto.
Poche chances di una ratifica statunitense
Se, questa settimana, si dovesse scegliere l’opzione opt-in durante l’ultimo round negoziale, vorrà dire che il blocco formatosi attorno agli Stati uniti avrà vinto. E la Svizzera potrebbe far passare questa convenzione sull’IA come un successo diplomatico, non appena gli Stati Uniti l’avranno ratificata.
Questo è ciò che spera il capo negoziatore svizzero Thomas Schneider. Tuttavia, due ostacoli principali rendono molto improbabile la ratifica da parte degli Stati Uniti: una maggioranza di due terzi al Senato americano e la firma del presidente. Pochi giuristi e giuriste sono dell’idea che la convenzione possa passare lo scoglio del Parlamento statunitense.
Neutralità in questione
Schneider ha puntato troppo in alto? “Non so se gli Stati Uniti firmeranno questa convenzione”, ammette, aggiungendo che il risultato darà comunque un segnale. “Per alcuni Paesi è importante che gli Stati Uniti siano coinvolti”.
Ma EuractivCollegamento esterno nutre qualche dubbio sul fatto che il presidente svizzero del Comitato sull’IA al Consiglio d’Europa abbia condotto i negoziati in maniera neutrale. “Diverse fonti ci hanno confermato che la presidenza e il segretariato del consiglio d’Europa non sono stati neutrali durante i negoziati, ad esempio favorendo le argomentazioni degli Stati Uniti e di altri Paesi osservatori e scartando gli argomenti che le contraddicevano”, scrive Euractiv.
Schneider si difende: “Tutte le parti si sono lamentate che la loro posizione non è stata tenuta abbastanza in considerazione”, e aggiunge che la sua funzione è piuttosto quella di moderatore che non deve esprimere la propria opinione. Si dice convinto che, “in ogni caso, bisogna parlare con tutti e ascoltare tutti”.
Altre voci prendono le sue difese. Il suo è un lavoro “difficile”, affermano, mettendo in risalto l'”orientamento globale” che sta promuovendo. Le convenzioni del Consiglio d’Europa sono astratte per natura. La loro implementazione ricade sempre e comunque sugli Stati. “Avere un senso delle diverse realtà è importante e sembra che il Comitato sull’IA vi si conformi”, secondo un partecipante.
Euractiv ha recentemente ipotizzatoCollegamento esterno che la Svizzera avrebbe più possibilità di ottenere il posto di Segretario generale del Consiglio d’Europa, se riuscisse a portare a casa un successo diplomatico. Una posizione che il consigliere federale dimissionario Alain Berset aspira a ricoprire. Interpellato dal magazine online Republik, l’ex ministro socialista non ha voluto esprimersi. Schneider, dal canto suo, afferma che si tratta solo di voci di corridoio: “Ho parlato due o tre volte con [Berset] in questi ultimi 13 anni. Penso non si ricordi neanche della mia faccia”.
++Per saperne di più sullo stato della regolamentazione dell’IA in Svizzera:
Altri sviluppi
Regolamentazione dell’intelligenza artificiale, a che punto è la Svizzera?
L’articolo completo è stato originariamente pubblicato in tedesco dal magazine online Republik che trovate quiCollegamento esterno.
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