Ritorno di Trump, come si può prepare la Svizzera?
Da Donald Trump, di ritorno alla Casa Bianca, ci si aspetta una politica estera isolazionista e imprevedibile. La Svizzera, che predilige un sistema internazionale stabile e basato sul diritto, dovrà comunque trovare il modo di mantenere buoni rapporti con gli Stati Uniti, uno dei suoi principali partner commerciali.
Il giorno successivo alle elezioni presidenziali statunitensi, Suzi LeVine – ex ambasciatrice degli Stati Uniti in Svizzera durante l’amministrazione di Barack Obama – stava assimilando la notizia della schiacciante vittoria di Trump e il suo imminente ritorno nello Studio Ovale.
“Le conseguenze di queste elezioni si faranno sentire per decenni”, ha affermato LeVine, “e non solo per gli Stati Uniti, ma per tutte le persone e gli esseri viventi del pianeta”.
I Governi di tutto il mondo si chiedono come meglio prepararsi ad alcune delle proposte più radicali di Trump in tema di politica estera. Il presidente eletto ha minacciato d’imporre ingenti dazi sulle importazioni degli Stati Uniti, di ritirare il supporto all’alleanza di difesa atlantica NATO e di porre fine all’impegno globale statunitense in materia di cambiamento climatico. La Svizzera non è un Paese membro né della NATO né dell’Unione Europea, ma ha stretti legami con entrambe.
Secondo Stefan Legge, esperto di commercio internazionale presso l’Istituto di diritto ed economia dell’Università di San Gallo, è probabile che le piccole potenze come la Svizzera restino fuori dall’interesse dell’amministrazione Trump. Un’opinione condivisa anche da David Sylvan, professore emerito presso il Graduate Institute di Ginevra: “Gli svizzeri devono capire che [per Washington] sono una priorità estremamente bassa”. Questo potrebbe rivelarsi un vantaggio, evitando che il Paese finisca nel mirino dei repubblicani, ha aggiunto – ammesso che Berna giochi bene le sue carte.
Una nuova guerra commerciale?
Una delle priorità della Svizzera durante la presidenza Trump sarà mantenere buone relazioni economiche con gli Stati Uniti, il suo secondo partner commerciale dopo l’Unione Europea e il principale mercato di esportazione per i beni svizzeri, con un valoreCollegamento esterno complessivo di 56,6 miliardi di franchi svizzeri (61 miliardi di euro) nel 2023.
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Le possibili implicazioni di un ritorno di Trump per la Svizzera
Trump ha dichiarato di voler imporre dazi fino al 20% su tutti i beni importati negli Stati Uniti (e fino al 60% su quelli provenienti dalla Cina). Gli economisti avvertonoCollegamento esterno che questa misura colpirebbe diversi settori cruciali per l’economia elvetica, tra cui la farmaceutica, i macchinari, l’orologeria e i prodotti alimentari, e potrebbe provocare una contrazione dello 0,2% del PIL del Paese. La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha dichiarato che “la Svizzera rifiuta fermamente i piani [sui dazi]” e che discuterà la questione con le autorità statunitensi competenti e con altri partner commerciali, come la Germania.
Le minacce di Trump potrebbero rivelarsi un bluff, un modo per ottenere un vantaggio negoziale con altri Paesi, ha spiegato Legge. Nel mirino di Trump c’è soprattutto l’Unione Europea, che “pagherà a caro prezzo” il suo surplus commerciale con gli Stati Uniti, ha dichiarato il futuro presidente.
In seguito all’elezione di Trump, l’UE intendeCollegamento esterno rafforzare la propria competitività. Si tratta di una buona notizia per la Svizzera, la cui prosperità dipende da un’economia europea forte, ha affermato Legge.
Tuttavia, se i rapporti economici tra Bruxelles e Washington dovessero peggiorare, una nuova guerra commerciale simile a quella verificatasi durante il primo mandato di Trump potrebbe creare problemi anche a Berna. All’epoca l’UE aveva risposto all’introduzione di dazi sull’importazione dei metalli da parte degli Stati Uniti con misure ritorsive da cui la Confederazione non era stata esclusa. Qualunque cosa accada, ha sottolineato Legge, è fondamentale che la Svizzera “mantenga un accesso eccellente agli altri mercati, incluso il vasto mercato dell’UE”.
Accordi commerciali bilaterali
Per superare eventuali barriere doganali statunitensi, alcuni industriali svizzeri hanno sollecitatoCollegamento esterno il Governo a negoziare un accordo bilaterale di libero scambio. I due Paesi avevano avviato colloqui esplorativi al riguardo durante la precedente presidenza Trump, ed Ed McMullen, che era ambasciatore degli Stati Uniti in Svizzera in quel periodo, ha dichiarato che gli USA “vorrebbero concludere un accordo” durante il secondo mandato di Trump.
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Le ripercussioni per la Svizzera di un’anomala presidenza USA
La Svizzera non è l’unico Paese a prendere in considerazione un accordo bilaterale per evitare le conseguenze negative di una guerra commerciale. Il Governo britannico sta valutandoCollegamento esterno le proprie opzioni, tra cui la possibilità di concludere un trattato con gli Stati Uniti o di rafforzare i legami economici con l’Europa. Il Canada al momento ha un accordo commerciale con gli USA e il Messico – che Trump vuole rinegoziare – ma alcuni politici canadesi ritengonoCollegamento esterno che il Paese potrebbe trarre maggiore vantaggio da un accordo bilaterale.
Legge però dubita che un accordo svizzero-statunitense sia realizzabile. “Cosa potrebbe offrire la Svizzera agli Stati Uniti? Molto poco, a meno che s’includa l’accesso al settore agricolo”, ha affermato, aggiungendo che è molto improbabile che si raggiunga il consenso politico necessario per abbandonare il protezionismo svizzero in materia di agricoltura, anche solo in modo parziale.
Se la Svizzera ha poco da offrire, allora sarebbe meglio lasciar perdere l’idea di un accordo bilaterale e mantenere un profilo basso, ha dichiarato Sylvan. Come l’UE, ha aggiunto, anche la Svizzera ha un surplus commerciale con gli Stati Uniti, un dato che Trump potrebbe non gradire se venisse portato alla sua attenzione.
“L’ultima cosa che [gli svizzeri] vogliono è sentirsi chiedere: cosa potete fare per noi?”, ha detto Sylvan, “perché a quel punto le cose diventerebbero davvero difficili”.
Un nuovo membro NATO?
La Confederazione si troverebbe ad affrontare un ulteriore dilemma se Trump dovesse mantenere la promessa di raggiungere un “accordo rapido” per porre fine alla guerra in Ucraina. Il futuro presidente non ha ancora chiarito i suoi piani in merito, ma se spingesse l’Ucraina ad accettare un accordo contro il volere dei suoi sostenitori europei, “si creerebbero tensioni di ogni genere”, ha spiegato Sylvan. A quel punto Berna dovrebbe scegliere se schierarsi con gli europei o appoggiare gli statunitensi nel loro tentativo diplomatico.
La situazione potrebbe complicarsi ulteriormente se la Russia a quel punto si facesse più audace e ricorresse a provocazioni militari nei confronti degli Stati baltici. La possibilità che il Cremlino attacchi un Paese oltre l’Ucraina rappresenta una preoccupazione reale per l’Europa, ha aggiunto Sylvan. “In questo caso, la Svizzera si sentirebbe al sicuro?” ha chiesto. “Temo di no”. Secondo Gerhard Pfister, presidente del partito Il Centro, per fronteggiare questa situazione la Svizzera dovrebbe avvicinarsi alla NATO, mantenendo al contempo la propria neutralità. Sarebbe fondamentale, visto che il Paese al momento non ha la capacità militare necessaria a difendersi da solo, ha affermato Pfister.
L’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, John Bolton, è andato oltre, dichiarando al domenicale svizzero-tedesco SonntagsBlick che la Confederazione dovrebbe semplicemente entrare nella NATO, come hanno fatto la Svezia e la Finlandia in seguito all’invasione russa dell’Ucraina. “Alla luce della nuova situazione geopolitica, la neutralità non ha futuro”, ha dichiarato Bolton. Trump, ha aggiunto, “non capisce cosa significhi difesa collettiva” e potrebbe persino decidere di ritirare gli Stati Uniti dall’alleanza atlantica.
Per Legge è chiaro che la Svizzera debba aumentare la propria spesa per la difesa. Il Parlamento ha approvato misure che la porteranno all’1% del PIL entro il 2030, ma il requisito per i membri della NATO è del 2%. Inoltre, il Paese deve coltivare buoni rapporti con tutte le principali potenze: l’UE, gli Stati Uniti e la Cina, che è bloccata in una “rivalità strategica” con gli Stati Uniti ma mantiene anche solidi legami economici con la Svizzera.
“Il punto è che Trump è imprevedibile”, ha affermato Legge. “Dobbiamo considerare tutte le opzioni e gli scenari possibili, essere pragmatici e migliorare le relazioni bilaterali del Paese, in modo che nessuna delle grandi potenze abbia motivo di rivolgersi contro di noi”. Ad esempio, acquistare equipaggiamento militare statunitense – come la Svizzera ha fatto con i jet F-35 nel 2022 – potrebbe contribuire a placare Trump, a cui piace concludere accordi, ha suggerito Legge.
Un’opportunità per guidare la transizione energetica
Una promessa elettorale che Trump manterrà di certo, secondo Sylvan, è quella di ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, proprio come fece durante il suo primo mandato. Trump ha inoltre annunciato l’intenzione di abrogare l’Inflation Reduction Act, una riforma approvata durante la presidenza di Joe Biden che, tra le altre cose, favoriva la produzione e l’utilizzo di energia pulita. Trump vorrebbe anche ritirare alcune norme in vigore al fine di consentire una maggiore produzione di petrolio e gas – anche se l’estrazione di combustibili fossili ha già raggiunto il suo apice, ha fatto notare Sylvan. Come Segretario per l’energia ha scelto Chris WrightCollegamento esterno, un dirigente del settore petrolifero che in passato ha negato l’esistenza della crisi climatica.
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Tutto ciò significa che gli Stati Uniti “probabilmente rimarranno il maggior Paese inquinante del pianeta per anni a venire”, ha avvertito Nicolas Walder, parlamentare dei Verdi e membro della commissione della politica estera del Consiglio nazionale. La linea di Trump, ha aggiunto, potrebbe scoraggiare altri Paesi dall’adottare “riforme ambiziose” per la protezione climatica e spingerli invece a investire nei combustibili fossili.
Queste misure avrebbero delle ripercussioni dirette anche in Svizzera, ha affermato l’ex ambasciatrice LeVine: il Paese, firmatario dell’Accordo di Parigi, rischia di vedere i suoi ghiacciai alpini scomparire entro la fine del secolo a causa del riscaldamento globale. Per contrastare le azioni degli Stati Uniti, Walder ha suggerito che Berna collabori più strettamente con Bruxelles sugli obiettivi climatici, come quelli fissati dal Green Deal europeoCollegamento esterno del 2019.
La presidenza di Trump non deve necessariamente segnare la fine della lotta globale contro il cambiamento climatico, ha affermato Walder. “La Svizzera e l’Europa ora hanno l’opportunità di guidare l’indispensabile transizione energetica”, ha aggiunto. “Per me, è un’opportunità che il nostro Paese non dovrebbe lasciarsi sfuggire”.
A cura di Lindsey Johnstone/ts
Tradotto da Vittoria Vardanega
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