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Alfonsina, una donna coraggiosa

La poetessa Alfonsina Storni zvg

Nel 1938 la poetessa svizzero-argentina Alfonsina Storni si tolse la vita gettandosi in mare. Dalla sua morte tragica nacque un mito tra i più affascinanti della letteratura di lingua spagnola.

Insegnante, attrice, giornalista, ragazza madre e scrittrice, coi suoi versi sciolse il cemento della Buenos Aires del XX secolo e sfidò tutti i pregiudizi.

Chi legge l’opera di Alfonsina Carolina Storni (così sta scritto sull’atto di nascita stilato il 22 maggio 1892 a Sala Capriasca, nel canton Ticino) vi ritrova i caratteri della donna che sta dietro la poesia: una donna di inizio secolo che scrive con voce femminile e potente, sensuale, passionale e cerebrale ad un tempo, contraddittoria e spirituale.

Una donna fragile e forte, che emerge nei momenti chiave della sua storia, senza eccedere, né nascondersi del tutto. Un’artista minuta che si fece lupa quando si trattava di difendere la sua prole e che seppe corteggiare la letteratura parlando di ciò che molti, nella sua epoca, ritenevano indecente.

Dal Ticino a San Juan

Gli Storni arrivarono nel 1870 nella provincia argentina di San Juan. Non erano una famiglia povera, come quelle di altri emigranti. Avevano affari ben avviati nella zona di Cuyo, nell’Argentina centro-occidentale, tra cui la birreria «Cerveza de los Alpes».

Alfonso Storni, padre della poetessa, raggiunse i fratelli che già si erano installati in Argentina. Nel 1880 tornò però in Svizzera, dove sposò Paolina Martignoni, maestra. Con lei tornò a San Juan.

I primi due figli della coppia nacquero in Argentina, Maria nel 1887 e Romeo nel 1888. Nel 1891 Alfonso, che aveva difficoltà ad adattarsi alla vita nell’America del Sud, viaggiò con la moglie in Ticino. Lì un anno dopo nacque Alfonsina.

All’età di quattro anni Alfonsina partì alla volta dell’Argentina con i genitori. La casa della famiglia si trasformò presto in un luogo d’incontri, frequentato da artisti e scrittori.

Rosario, terra d’intellettuali

Nel 1901 la famiglia di Alfonso e Paolina si trasferì a Rosario, nella provincia argentina di Santa Fe, dove aprì il Café Suizo. L’andamento incerto degli affari costrinse Alfonsina fina da bambina a lavorare come cameriera e lavapiatti.

Le difficoltà economiche della famiglia si aggravarono con la morte di Alfonso nel 1906. Paolina dovette mettercela tutta per mantenere la famiglia numerosa e Alfonsina, all’età di 14 anni, iniziò a lavorare in un fabbrica di berretti.

Poi, quasi per caso, la ragazza incontrò il teatro. Nel 1907 Alfonsina si unì come attrice a una compagnia, percorrendo durante un anno tutto il paese. Due anni dopo decise però di abbandonare il palcoscenico, per seguire una formazione di insegnante nella Escuela Normal Mixta di Coronda (Santa Fe), dove si diplomò nel 1911.

A Rosario s’impegnò in numerose attività culturali, iniziando a frequentare i nascenti circoli intellettuali della città, in cui s’incontravano scrittori e politici. Alfonsina aveva già cominciato a scrivere e collaborava con due riviste letterarie, Mundo Rosarino e Monos y Monadas.

Il rifugio di Buenos Aires

In quel periodo Alfonsina incontrò il padre di suo figlio, di cui non rivelerà mai il nome. Nel 1912 si trasferì, sola, nubile e appena diciannovenne, a Buenos Aires, per dare alla luce Alejandro Alfonso, nato il 21 aprile del 1912.

Alfonsina dovette lottare per trovare lavoro e mantenere sé stessa e il suo bambino. Le sue capacità redazionali le consentirono di trovare un impiego lo stesso anno nell’azienda Freixas Hermanos, che importava olio d’oliva, con il compito di «corrispondente psicologica», responsabile di rispondere alle richieste e alle lamentele dei clienti.

Nell’ufficio dell’azienda – «inchiodata sulla mia sedia» – scrisse il suo primo libro di poesie, La inquietud del rosal «un pessimo libro (…), ma lo scrissi per non morire».

Donna di talento e all’avanguardia

L’apparizione di Alfonsina nel panorama letterario latino-americano avvenne contemporaneamente a quello di altre donne, quali Gabriella Mistral e Juana de Ibarbourou. Tutte dovettero farsi strada in un mondo fino ad allora completamente maschile.

«Alfonsina fu una donna molto coraggiosa, perché affrontò un mondo dominato dagli uomini», afferma Carlos Alberto Andreola, biografo della poetessa. «E alla fine conquistò il rispetto di tutti, non solo per l’alta qualità delle sue poesie, ma anche per la maniera in cui affrontò la povertà e per la sua dignità».

Già nel 1921, Alfonsina ottenne un primo riconoscimento importante, con il conferimento di una cattedra al Teatro Municipal Lavardén. Due anni dopo divenne insegnante alla Escuela Normal de Lenguas Vivas e partecipò alla creazione della Società argentina degli scrittori.

Inquieta, curiosa e contestataria, Alfonsina collaborò a varie riviste e ai quotidiani Crítica e La Nación. Fra le sue amicizie contava figure importanti della cultura latinoamericana, come Horacio Quiroga, Blanca de la Vega, José Ingenieros, Ricardo Rojas, Manuel Gálvez, Delfina Bunge, Manuel Ugarte, Benito Quinquela Martín, Marcelo T. de Alvear, Alfredo Palacios e Alicia Moreau de Justo.

Entrò in contatto anche con personaggi del calibro di Jorge Luis Borges, Gabriela Mistral, Amado Nervo, Federico García Lorca e Concha Méndez.

«Se Alfonsina fosse rimasta in Ticino non sarebbe mai diventata una poetessa famosa», osserva Franca Cleis, curatrice del libro su Alfonsina “Vivo, vivrò sempre e ho vissuto.

«In quanto terre di emigrazione, i villaggi ticinesi erano spesso popolati quasi esclusivamente da donne, le quali erano sottoposte al controllo della chiesa. Per Alfonsina sarebbe stato impossibile avere le idee e vivere le esperienze che ha messo nelle sue poesie».

Tracce nella sabbia

La traiettoria letteraria di Alfonsina la condusse dal romanticismo degli esordi a esiti poetici prossimi alle avanguardie artistiche dell’epoca, venati di un intimismo tutto moderno. La sua poesia spazia dalla sottomissione all’ira, ma sempre con aria di sfida, in un ritmo che si erge e sprofonda, così come si erse e sprofondò la sua vita.

Il 20 maggio del 1935 la poetessa fu operata per un tumore al seno. La malattia però non si arrestò. Cinque mesi dopo, il 25 ottobre, si gettò in mare da una scogliera presso la spiaggia La Perla, sul Mar de la Plata. Alcuni giorni prima aveva inviato al quotidiano La Nación il suo ultimo poema.

«Denti di fiori, cuffia di rugiada, / mani di erba, tu, dolce balia, / tienimi pronte le lenzuola terrose / e la coperta di muschio cardato. / Vado a dormire, mia nutrice, mettimi giù. / Mettimi una luce al capo del letto / una costellazione; quella che ti piace; / tutte van bene; abbassala un pochino. / Lasciami sola: ascolta erompere i germogli… / un piede celeste ti culla dall’alto / e un passero ti traccia un percorso / perché dimentichi… Grazie. Ah, un incarico / se lui chiama di nuovo per telefono / digli che non insista, che sono uscita…»

swissinfo, Norma Domínguez, Buenos Aires
(traduzione e adattamento: Andrea Tognina)

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento l’Argentina attira centinaia di migliaia di europei. Sin dall’inizio l’apporto immigratorio italiano è preponderante.

L’emigrazione è in gran parte favorita dalle campagne di colonizzazione del governo di Buenos Aires e dalla realizzazione di nuovi collegamenti ferroviari interni.

Nel periodo compreso tra il 1870 e il 1914, gli immigrati svizzeri sono circa 40’000, quelli ticinesi tra i 6 e i 9’000, in provenienza soprattutto dai distretti meridionali del cantone.

Alfonsina Storni nacque il 22 maggio 1892 a Sala Capriasca, nel canton Ticino. Emigrò all’età di quattro anni in Argentina insieme ai genitori. Nel 1920 ottenne la cittadinanza argentina.

Socialista, pioniera delle rivendicazioni femminili e poetessa, partecipò alla fondazione della Società argentina degli scrittori. Si tolse la vita il 25 ottobre del 1938, gettandosi in mare.

Oggi in Argentina molte scuole portano il suo nome e vari monumenti ricordano la sua figura. Fra le molte canzoni a lei dedicate la più nota è «Alfonsina y el mar», di Félix Luna e Ariel Ramírez.

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