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Alfonso Cuarón: “Non guardo mai i miei vecchi film”

(Keystone-ATS) Questa sera il regista messicano Alfonso Cuarón riceverà il premio alla carriera (“Lifetime Achievement Award”) di Locarno77 sulla Piazza Grande. Nel pomeriggio ha incontrato il pubblico del Locarno Film Festival ripercorrendo la sua vita e i suoi film.

“Un autore che amiamo e che ha costruito nell’arco di relativamente poco tempo molti film (…). Alfonso Cuarón incarna per noi un cinema libero che si mette sempre in discussione e che osa rischiare”: lo introduce così il direttore artistico del festival Giona A. Nazzaro, invitandolo sul palco di un Forum @Spazio Cinema gremito di gente; in diversi sono rimasti sotto il sole cocente, perché i posti seduti erano già tutti occupati.

Il cinema, primo amore

“La mia famiglia era della classe media messicana, mio padre era dottore e mia mamma chimica, niente a che vedere con il cinema”, dice il regista. “Mi sono innamorato del cinema molto presto”, afferma.

“Da bambino ho iniziato ad andare sempre più spesso nelle sale ed è da lì che ho saputo che volevo fare il regista. Anche se a quel tempo non facevo differenza fra le diverse professioni del settore cinematografico”, spiega. “Ho sempre voluto fare film ma non sapevo cosa significasse”.

“Non capivo i film, per esempio, quando guardavo film di Jean-Luc Godard a nove anni, ma ne ero affascinato”, aggiunge. Il Messico allora era l’unico Paese in America Latina ad avere accesso a film dell’ex Unione sovietica. Un cinema che ha aperto lo sguardo del regista messicano.

Tuttofare

Cuarón non è solo regista, lavora anche come direttore della fotografia, produttore e ha sempre montato lui stesso gran parte dei suoi film, come spiega nell’incontro moderato da Manlio Gomarasca, editore e caporedattore della rivista “Nocturno Cinema”.

“Quando inizi devi fare tutto tu”, spiega. “Per me il montaggio è mettere insieme la sceneggiatura e in qualche modo riscriverla”, precisa.

Nel corso della sua carriera, Cuarón ha collaborato molto con Emmanuel Lubezki, anche noto come “Chivo”, messicano, direttore della fotografia nella maggior parte dei suoi film.

Gli inizi

“Ci ho messo molto a girare il mio primo film – ero insicuro sulla scrittura credo (…). Inizialmente il cinema è stato il mio modo di cercare di guadagnare soldi in varie posizioni: da assistente di regia a montatore”, dice.

La sua prima pellicola “Uno per tutte (Sólo con tu pareja)”, del 1991, la gira con il fratello Carlos. Prima che Cuarón diventasse regista, in Messico vigeva un clima oppressivo nel cinema, “uscivano due film all’anno, ma sempre di registi già noti”. Non c’era spazio per i registi giovani, poi la situazione è cambiata. Ma ad un certo punto si è visto costretto ad esportare la sua attività negli Stati Uniti.

Rimanere in Messico significava fare “telenovela o pubblicità”, spiega, e non era ciò che voleva. “Non avevo mai pianificato di andare a Hollyood ma Sydney Pollack ha visto il mio primo film e mi ha offerto un lavoro a Los Angeles”, aggiunge.

“Non ho mai visto i miei vecchi film dopo averli girati, preferisco tenermi le memorie”, afferma.

L’esperienza di Harry Potter

Nel 2004 esce “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”, terzo film della saga del mago più famoso del mondo. “Non ho mai pianificato di fare Harry Potter, è successo”, dice. “Mi sono trovato senza lavoro e senza soldi e stavo per diventare padre, quindi ho accettato”, aggiunge.

Harry Potter gli è un po’ servito da apprendimento per poi girare il film di fantascienza “I figli degli uomini” (“Children of men”, 2006). “‘Children of men’ è stato un completo flop commerciale quando è uscito”, aggiunge.

“Per finire è stato un piacere fare Harry Potter, adoro l’universo che J. K. Rowling ha creato perché è fondato sull’umanità”, spiega. “Le persone nella tua vita ti possono aiutare a riacquistare fiducia”: cita ad esempio l’attore inglese Alan Rickmann, il professor Piton di Harry Potter, che purché intimidente lo ha aiutato a crescere nel suo lavoro.

I due Oscar

“Per me la cosa importante è l’esperienza del pubblico in un dato momento”, dice. Cuarón è stato il primo messicano a vincere un Oscar con “Gravity” nel 2014 e poi nel 2019 con “Roma”.

Parlando di “Gravity” il regista afferma che “quel film mi ha salvato la vita”. Dopo questa pellicola “è stato il primo momento dove mi sono trovato finanziariamente stabile e ho deciso di investire i miei soldi per il prossimo film”, dice.

Girare “Roma” “è stato creativamente interessante ma emotivamente devastante”, afferma. Questo è il suo film più personale, molte scene sono successe davvero nella sua vita: è stato come “essere internato in un sanatorio e subire un elettroshock”. Mentre la pellicola ha conosciuto un successo pazzesco il regista non l’ha vissuta allo stesso modo del pubblico: “Stavo nuovamente attraversando varie avversità nella mia vita, per me il successo è un vuoto completo”, spiega, “dopo aver finito di girare il film me ne sono completamente distaccato”.

Questo pomeriggio al GranRex di Locarno, Cuarón ha presentato il film di Alain Tanner “Jonas qui aura 25 ans en l’an 2000” (“Jonas che avrà 20 anni nel 2000”, 1976). Del suo cinema ama il fatto che si interessa “all’individuo e alla società e a come uno forma l’altro”. “Il punto di partenza deve essere l’esperienza dei protagonisti e la loro umanità”, aggiunge.

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