ART FOR A BETTER LIFE: la proposta svizzera alla Biennale di Venezia
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Alla prestigiosa rassegna d'arte, in corso fino al mese di novembre, la Svizzera è rappresentata ufficialmente da Urs Lüthi, artista di fama internazionale e docente all'Accademia di belle arti dell'Università di Kassel, e dal duo di musicisti-artisti Möslang/Guhl, noti soprattutto per le originali installazioni sonore e visive. Piuttosto limitato invece il contributo finanziario della Confederazione.
Nel padiglione svizzero della 49esima Biennale di Venezia si ritrovano intatti i temi con cui Urs Lüthi si confronta da più di vent’anni: l’autoironia, la poesia nella vanità, la ricerca di fusione tra arte e vita. Si tratta di lavori dalla serie Placebos and Surrogates, un’installazione video dal titolo Run for your Life e la scultura Low Action Games II. Con ironia l’artista affronta il tema del desiderio collettivo di felicità. Il motto dell’esposizione è appunto ART FOR A BETTER LIFE, in cui l’artista propone ad esempio luoghi comuni o consigli bizzarri, come se fossero delle massime di saggezza: “Waste your feelings” o “Change your life once a day” (“Spreca le tue sensazioni” o “Cambia la tua vita una volta al giorno”).
“Il mercato dell’arte”- afferma Urs Lüthi – “spinge all’estremo il concetto di marchio”. Da qui il senso del suo lavoro per il padiglione della Biennale, in particolare la scelta di riproporre una nuova serie d’immagini, dal nome Trademarks, basata su autoritratti fotografici degli anni Settanta, ripresi ed elaborati con sistemi digitali. Questi autoritratti sono in effetti diventati il marchio dell’artista, che si presentò all’inizio della sua carriera in pose da dandy, da diva, androgino melanconico, giocando su vari registri, dal patetico al grottesco.
Svuotate ora della loro presenza originale, le sue foto diventano in questa mostra totalmente artificiali, anonime. “Quando apparirono agli inizi degli anni ’70 gli autoritratti erano degli originali, ritratti individuali”. Fortemente connotate, quelle immagini suscitarono nel pubblico un senso d’identificazione e di proiezione immenso. Nel nuovo millennio quelle stesse immagini, sono semplicemente oggetti, surrogati. Placebo e Surrogati sparsi tra una serie di altri oggetti vani, come tazze o freesbees, su cui sono stampate massime o prescrizioni di autoterapia.
Già ai primi giorni dell’esposizione, molti visitatori chiedevano ai custodi se i freesbees, accatastati a centinaia, si potevano portar via, proprio come se si trattasse davvero di souvenir. Ed è esattamente al livello di souvenir che Lüthi ha voluto ridurre grandi concetti filosofici come la ricerca della felicità e della spiritualità. Lo spettatore si trova a riflettere su argomenti molto seri e complessi rappresentati in una forma immediata. “Cerco di lavorare con idee molto semplici che solo nella costellazione dell’istallazione diventano complesse e spirituali” afferma Lüthi. L’atmosfera giocosa del padiglione inganna però. Quando si arriva nell’ultima sala c’è la morte che aspetta, un teschio, i freesbees racchiusi in unico spazio, e il gioco è finito. L’artista che in un video corre su di un tappeto mobile, senza sosta, è tutti noi, che camminiamo e corriamo perché non possiamo far altro. Cerchiamo di sfuggire alla morte, anche se sappiamo che sarà lei a vincere alla fine.
Canale Visuale: Venezia da sotto il pelo dell’acqua.
Norbert Möslang e Andy Guhl sono arrivati all’arte attraverso la musica. Già conosciuto dal 1972 come Voice-Crack nell’ambiente della musica sperimentale, il duo presenta un’istallazione intitolata SOUND _SHIFTING nella chiesa di S.Stae, restaurata qualche anno fa anche con contributi della Confederazione. Möslang e Guhl hanno immerso nel Canal Grande, vicino alla fermata dei vaporetti, una videocamera racchiusa in un involucro impermeabile. I suoni, così registrati, vengono riproposti attraverso l’installazione sonora all’interno della chiesa barocca. Le immagini, molto diverse da quelle divulgate dalle cartoline ricordo del celeberrimo canale, sono state invece raccolte nel catalogo.
Come mai utilizzare solo suoni e nessun filmato del Canal Grande all’interno della chiesa di S.Stae? La ragione principale è che la chiesa, non potendo venir oscurata, risulta troppo chiara per permettere una proiezione. Le foto esistono perciò solo nel catalogo, che diventa così un’opera visuale autonoma. “L’apparecchiatura sonora al centro della chiesa crea comunque un’immagine” rispondono gli artisti. Gli strani suoni che invadono la chiesa barocca sono il risultato di anni di sperimentazioni con quello che i due chiamano “elettronica quotidiana violata”: ossia suoni e rumori riciclati elettronicamente a partire dall’ambiente quotidiano circostante, in questo caso il canale antistante la chiesa.
Più recente della ricerca sonora, il coinvolgimento di Voice-Crack nelle arti visive data di una decina d’anni. Anche quando si tratta d’immagini, sono comunque lavori che hanno un forte rapporto con il contesto spaziale in cui sono situati. Foto, sequenze video o suoni, gli oggetti “violati” o infranti sono il prodotto di elaborazioni radicali della realtà circostante. Durante i loro concerti dal vivo (hanno appena concluso una tournee negli Stati Uniti che li ha portati nelle principali città americane e anche al festival jazz di Victoria) Möslang-Guhl usano strumenti elettronici e diverse fonti luminose, come fari e lampade, che possono addirittura attivare automaticamente i suoni. A volte anche una macchina fotografica che proietta immagini attraverso un beamer.
Le ultime istallazioni realizzate dal duo, a parte quella per la Biennale di Venezia, sono invece solo visuali. È stato difficile per dei musicisti essere accettati nell’ambiente delle arti visive? “La cosa più difficile è vendere un prodotto” rispondono i due artisti. Ma è una considerazione che riguarda molti altri loro colleghi, con qualche notevole eccezione.
L’arte e la politica della promozione artistica
A rappresentare ufficialmente il proprio paese in una Biennale così prestigiosa come quella di Venezia, sono comunque sempre artisti affermati, scelti dall’Ufficio federale della Cultura, che ne sostiene tutte le spese. Gli altri artisti svizzeri in concorso a Venezia, circa una decina (tra cui Arnold Odermatt, che ha esposto foto in bianco e nero d’incidenti d’auto, o Chantal Michel, che ha presentato un video) sono invece invitati ufficialmente dalla Biennale. Nel loro caso è l’istituzione veneziana che si fa carico di tutti gli aspetti organizzativi e finanziari. Con il numero sempre maggiore di artisti presenti, e con il conseguente lievitare dei costi, la Biennale ha potuto offrire agli artisti un’ospitalità ridotta a pochi giorni quest’anno. Il che significa, meno tempo per installare le proprie opere.
Nonostante la ripresa economica, la Confederazione non dispone ancora attualmente di mezzi finanziari maggiori per sostenere la presenza di artisti svizzeri a importanti rassegne, come la Biennale. “Purtroppo a livello d’amministrazione federale gli effetti positivi o negativi della congiuntura si fanno sempre sentire, con uno scarto di qualche anno”, sottolinea Pierre-André Lienhard, responsabile del Servizio belle arti dell’Ufficio federale della cultura (UFC). Per cui, paradossalmente, i fondi allocati per l’arte sono attualmente minori, perché stanziati durante gli anni di crisi. Solo in futuro si potrà sperare in un aumento dei crediti.
Ma quali sono le misure principali messe in atto dall’Ufficio federale della cultura per promuovere l’arte in Svizzera e all’estero? “La lista degli impegni fissi”, continua Pierre-André Lienhard, “comprende il concorso federale di belle arti, l’onere più importante, poi vengono gli atelier per artisti svizzeri, uno a New York e l’altro a Berlino. Inoltre per progetti di grosso calibro, di artisti di più di quarant’anni, l’amministrazione federale concede mezzi speciali”. Con i soldi che eventualmente restano, l’UFC può inoltre acquistare opere d’artisti. Relativamente limitato quindi il contributo finanziario disponibile per partecipazione a manifestazioni di fama internazionale, cui la Svizzera è invitata, come nel caso appunto della Biennale di Venezia, quella di San Paolo o del Cairo.
I fondi per l’arte sono spesso combattuti a livello popolare e, a volte, anche politico. Basta vedere ad esempio le grosse difficoltà in cui si è mossa ad esempio l’Expo 02. Ma un paese che non incoraggia lo sviluppo artistico limita anche la propria capacità di autocoscienza e di autocritica; il proprio sviluppo spirituale e quindi la propria libertà. Insomma, per dirla con Urs Lüthi, la vita, non solo degli artisti, ma delle comunità, sarebbe infinitamente più povera senza l’arte, in tutte le sue forme.
Raffaella Rossello
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