Bonus non hanno senso e banche sono indietro, dice imprenditore
(Keystone-ATS) I sistemi retributivi basati sui bonus non hanno senso, perché favoriscono una cultura aziendale nociva per l’impresa stessa: lo sostiene Tom van der Lubbe, imprenditore che vive a Zurigo e che accusa anche le banche svizzere di essere indietro di anni.
Per lo specialista che, pur abitando con la famiglia sulle rive della Limmat, dirige una società olandese attiva nel settore ipotecario, la struttura gerarchica degli istituti elvetici è superata. “Tutte le grandi banche olandesi puntano su forme di auto-organizzazione”, spiega in un’intervista pubblicata oggi dal Tages-Anzeiger. “Le banche svizzere mi sembrano arrancare indietro di anni”.
Anche in materia di remunerazione dalla crisi finanziaria è cambiato parecchio, nei Paesi Bassi: confrontati anche con la pressione esercitata dell’opinione pubblica, gli istituti hanno in larga parte eliminato le gratifiche, passando agli stipendi fissi.
“I bonus non funzionano e sono anche controproducenti”, sostiene van der Lubbe. “Se in un gruppo di dieci persone quattro ricevono un bonus, quattro invece no e gli altri due alla fine dell’anno devono andarsene si creano presupposti negativi per il team”. La cultura del bonus attira inoltre determinati tipi di persone: “chi viene per i soldi, se ne va anche per i soldi: e fra i due agisce molto pensando ai soldi”.
Presso la sua azienda – l’olandese Viisi – il tema delle remunerazione viene affrontato in modo definito “semplice”. “Nel colloquio di assunzione il dipendente viene informato sul suo stipendio e su come questo evolverà nei successivi 40 anni”. Secondo l’imprenditore questo è in fondo il modello classico, semplice e trasparente, che permette al singolo di avere una sicurezza nel pianificare il futuro.
“Abbiamo analizzato innumerevoli certificati di stipendio nel settore finanziario, per sapere quanto guadagna una persona sulla base della formazione e dell’esperienza. Tenendo conto di questi dati abbiamo creato curve di sviluppo medio delle retribuzioni e ci siamo orientati al 25% superiore”, spiega il 51enne, che ha fondato la sua impresa nel 2010. “L’obiettivo era di pagare stipendi superiori alla media e nel contempo eliminare tutte le forme di incentivo finanziario”.
Concretamente ciascun collaboratore riceve un aumento di stipendio annuo indipendentemente da come viene valutato il suo lavoro. Non vi sono colloqui sulle remunerazioni, anche perché questi vengono percepiti in generale come poco corretti dai dipendenti stessi: un uomo estroverso ottiene di più di una sua timida collega. “Noi non assumiamo nessuno al di fuori della fascia retributiva stabilita, né versiamo partecipazioni agli utili”.
Ma questo approccio – chiede l’intervistatore – non rischia di svantaggiare chi ha prestazioni migliori? “Sono spesso confrontato con questo timore, quasi che l’essere umano corra solo se si trova una carota davanti al naso. Abbiamo 40 dipendenti divisi in cinque team che si organizzano da soli e assumono in autonomia nuovi collaboratori. Il controllo sociale è forte. Tutti vedono come ciascuno lavora e nessuno deve impressionare il capo”.
Secondo van der Lubbe quello dei salari diventa un tema di discussione solo quando la distribuzione degli stipendi è ingiusta e quando la dirigenza proibisce al personale di parlarne. “Da noi vi è stato un piccolo caso solo quando una donna assunta come segretaria con il trascorrere del tempo ha assunto compiti sempre più importanti e per questa veniva considerata chiaramente sottopagata: abbiamo corretto la situazione”.
“Con il nostro modello retributivo segnaliamo in primo luogo che tutti sono importanti per lo sviluppo dell’azienda: il consulente, che genera il fatturato, l’informatico e anche l’ex maestra di greco e di latino che si occupa della formazione continua”, continua l’imprenditore.
Secondo van der Lubbe nemmeno chi comanda deve incassare. “Perché una persona che assume un ruolo dirigenziale dovrebbe guadagnare di più? Affinché tutti, per avere più soldi, vogliano diventare capi, anche se non ne hanno il talento? Non ha senso”. Presso Viisi si lavora con il sistema del primus inter pares: ogni sei mesi qualcun altro assume il ruolo di coordinamento.