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Bruno Giacometti, cent’anni fra arte e architettura

Bruno Giacometti a Maloja negli anni Novanta Ernst Scheidegger/NZZ

Bruno Giacometti, fratello di Alberto, compie 100 anni il 24 agosto. L'architetto vive vicino a Zurigo, circondato dalle opere dei suoi famigliari.

Ultimo superstite della grande famiglia di pittori e scultori, Bruno Giacometti non considera sé stesso un artista. «L’arte non era la mia strada. Ho costruito case pensando alla loro funzione».

La casa è appena visibile, dietro la siepe del giardino a Zollikon, periferia residenziale di Zurigo. Un edificio uscito dalla matita di Bruno Giacometti, moderno e sobrio, all’insegna di un’architettura che guarda innanzitutto alla funzione e non alla forma.

Oltre la porta d’ingresso sono però le forme che attraggono lo sguardo del visitatore. Bruno Giacometti, centenario lucidissimo, siede in un luminoso soggiorno circondato da un bel pezzo di storia dell’arte moderna: dipinti del padre Giovanni, quadri e sculture del fratello Alberto, mobili del fratello Diego…

«Queste opere sono parte della mia vita. Se me ne dovessi separare, allora me ne andrei anch’io», dice. In realtà negli ultimi anni Bruno Giacometti, insieme alla moglie Odette – morta pochi mesi fa dopo oltre 70 anni di matrimonio – ha donato numerose opere alla fondazione Alberto Giacometti di Zurigo e ad altri musei, contribuendo a tenere in Svizzera buona parte dell’eredità dei Giacometti.

Dalla valle al mondo

Una storia sorprendente, quella dei Giacometti, famiglia originaria della Bregaglia, piccola valle italofona dei Grigioni. Una famiglia di artisti, con le radici che affondano nella storia dell’emigrazione dei pasticceri grigionesi nelle principali città d’Europa.

«La Bregaglia è una valle abbastanza speciale, che lascia il segno, volenti o nolenti. Noi eravamo abituati a vivere per tre mesi l’anno senza sole, le condizioni di vita erano un po’ primitive», ricorda Bruno Giacometti. «Ma credo che quest’esperienza sia stata una buona base per affrontare la vita».

Dalla Bregaglia i Giacometti sono partiti alla scoperta del mondo, con l’attitudine per nulla intimorita di chi ha secoli d’esperienza migratoria alle spalle. Giovanni soggiorna a Monaco e Parigi, Alberto e Diego vivono per lunghi anni a Parigi, Bruno impara il mestiere di architetto al politecnico federale di Zurigo.

La via dell’architettura

«I miei mi hanno sostenuto in questa scelta, erano contenti che imparassi qualcosa di creativo», dice Bruno Giacometti. «Mio padre del resto sarebbe stato un ottimo architetto. Ha disegnato tutti i mobili che avevamo in casa. E ha progettato l’ampliamento della nostra casa a Maloja. Sarebbe stato un architetto abbastanza moderno».

A Zurigo Giacometti studia con Otto Salvisberg e Karl Moser, due figure chiave dell’architettura moderna in Svizzera. Poi entra nello studio di Karl Egender, dove lavora ai progetti per l’Hallenstadion di Zurigo.

Dopo la guerra realizza il suo progetto forse più noto: il padiglione svizzero alla Biennale di Venezia. E altre decine e decine di progetti, tra edifici pubblici e privati, soprattutto nel canton Zurigo e nei Grigioni.

Architetto, non artista

Senza esagerazioni Bruno Giacometti può essere considerato uno fra i più importanti architetti svizzeri del secondo dopoguerra. E forse oggi sarebbe anche più noto, se non fosse ricordato soprattutto per essere il fratello di Alberto (un ruolo che del resto svolge con piacere). Ma lui stesso non si ritiene un artista.

«Sono nato in una famiglia di artisti e l’arte era presente ogni ora, ogni giorno. L’interesse per l’arte è rimasto, ho collaborato per diversi anni con il Kunsthaus di Zurigo. Ma diventare artista non era la mia strada», precisa.

Un atteggiamento che si ritrova nel suo modo di fare architettura, tutto rivolto alla funzione dell’edificio, non alla sua forma. «Esagerando un po’: una buona architettura è un’architettura che quasi non si vede, ma che è apprezzata da chi ci vive e lavora».

Ritorno a Stampa

Aperti sul mondo, i Giacometti non hanno però mai perso le loro radici bregagliotte. A tenere saldi i legami famigliari c’era la mamma Annetta, figura quasi leggendaria, immortalata con i suoi folti capelli bianchi nelle fotografie di Henri Cartier-Bresson e di Ernst Scheidegger.

Bruno Giacometti parla ancora l’italiano con un forte accento della Bregaglia e con un lessico che sembra uscito dritto dalla traduzione seicentesca della Bibbia del calvinista Giovanni Diodati. E ricorda Stampa, il villaggio in cui è cresciuto, con una certa nostalgia.

«La stalla che si vede su quella parete, disegnata da Alberto, è la stessa che si vede lì, dipinta da mio padre», dice indicando due quadri diversi. «Quasi senza volerlo, vivo ancora a Stampa. Non ci potrei più andare, per ragioni di salute, ma il clima, l’atmosfera le sento sempre», aggiunge, sfiorando con lo sguardo le opere d’arte che lo circondano.

swissinfo, Andrea Tognina

Bruno Giacometti è nato a Stampa, in Val Bregaglia (Canton Grigioni), il 24 agosto 1907, ultimo dei quattro figli di Giovanni e Annetta Giacometti. Ha studiato architettura al Politecnico federale di Zurigo.

Nel 1930 è stato assunto nello studio di architettura di Karl Egender a Zurigo, dove ha lavorato per una decina d’anni, realizzando tra le altre cose i piani dell’Hallenstadion di Zurigo.

Nel 1935 si è sposato con Odette Duperret, che è stata al suo fianco fino alla morte, nel febbraio 2007.

Fra i progetti principali realizzati da Bruno Giacometti si possono ricordare il Padiglione svizzero alla Biennale di Venezia (1952), gli Istituti di igiene e farmacologia dell’Università di Zurigo (1960), il municipio di Uster (1965), il Museo di storia naturale di Coira (1982), gli insediamenti per gli impiegati dell’azienda idroelettrica a Vicosoprano e Castasegna (1956-1959), le scuole di Brusio (1962)

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