Da funzionale il design svizzero si fa divertente
Per decenni il design industriale svizzero è stato apprezzato per la sua robusta funzionalità e l’elegante semplicità. L’allegria e l’immaginazione di una nuova generazione di designer stanno portando una ventata di freschezza nel settore.
«Il design non può più essere definito sulla base di certe caratteristiche nazionali. Oggi bisogna pensare su scala internazionale», afferma Patrick Reymond, presidente della Commissione federale del design.
Il risultato è che il design industriale svizzero ha conosciuto un’evoluzione radicale, perdendo la sua identità funzionale a assumendone una più immaginativa, condivisa da molti designer all’estero. Una nuova identità che «suscita emozioni e racconta una storia», riassume Reymond, uno dei fondatori dell’Atelier Oï, tra gli studi di design più famosi in Svizzera.
Ciò che continua invece a contraddistinguere il settore in Svizzera, è la prossimità dei designer con il processo di produzione.
«Siamo coinvolti in tutte le fasi della fabbricazione, ciò che permette di avere una maggiore attenzione per il dettaglio e, occasionalmente, di rettificare il design», spiega.
Reymond è convinto che la maestria del design rossocrociato sia da ricercare nelle radici rurali degli svizzeri. «Ci piace pensare con le nostre mani», dice. Ciò conduce a sperimentare nuovi materiali e a sfruttare il loro potenziale. La libreria dell’Atelier Oï, ad esempio, si arricchisce costantemente di nuove opere sui materiali.
Visto che i bisogni dei clienti sono aumentati, anche il ruolo dei designer è cambiato: «Siamo spesso chiamati per allestire degli eventi», osserva Reymond.
Interdisciplinarità
L’interdisciplinarità, ad esempio tra l’architettura e il design grafico, è diventata la norma. Per un piccolo paese come la Svizzera questo approccio è sicuramente vantaggioso.
L’architetto italiano Alberto Sartoris, che ha vissuto e insegnato a Losanna, ha svolto un ruolo di primo piano nella ricerca di questa interdisciplinarità, difendendo il concetto secondo cui un oggetto deve essere progettato in funzione dello spazio che occuperà.
Chantal Prod’Hom, direttrice del mudac, il museo di design e arti applicate di Losanna, condivide l’idea che questo superamento delle frontiere tra le diverse discipline faccia ormai parte dell’identità nazionale.
In passato il design industriale svizzero è stato caratterizzato dal minimalismo, spiega, concatenazione logica di un certo rigore industriale elvetico e di una straordinaria capacità di miniaturizzare. Di fatto, molti oggetti diventati di culto, come il pelapatate Rex o il coltellino svizzero, sono nati in maniera anonima in un normale processo industriale.
Prod’Hom osserva che i crescenti scambi tra designer di paesi diversi stanno avendo come risultato un approccio basato sul principio dello ‘story-telling’.
«Il design è la strada migliore per porsi le domande giuste», dice. Per questo al mudac ci si focalizza soprattutto sul design contemporaneo.
Approcci diversi
L’interdisciplinarità, ad esempio tra l’architettura e il design grafico, è diventata la norma. Per un piccolo paese come la Svizzera questo approccio è sicuramente vantaggioso.
L’architetto italiano Alberto Sartoris, che ha vissuto e insegnato a Losanna, ha svolto un ruolo di primo piano nella ricerca di questa interdisciplinarità, difendendo il concetto secondo cui un oggetto deve essere progettato in funzione dello spazio che occuperà.
Chantal Prod’Hom, direttrice del mudac, il museo di design e arti applicate di Losanna, condivide l’idea che questo superamento delle frontiere tra le diverse discipline faccia ormai parte dell’identità nazionale.
In passato il design industriale svizzero è stato caratterizzato dal minimalismo, spiega, concatenazione logica di un certo rigore industriale elvetico e di una straordinaria capacità di miniaturizzare. Di fatto, molti oggetti diventati di culto, come il pelapatate Rex o il coltellino svizzero, sono nati in maniera anonima in un normale processo industriale.
Prod’Hom osserva che i crescenti scambi tra designer di paesi diversi stanno avendo come risultato un approccio basato sul principio dello ‘story-telling’.
«Il design è la strada migliore per porsi le domande giuste», dice. Per questo al mudac ci si focalizza soprattutto sul design contemporaneo.
L’industria segue
Alla domanda se l’industria manifatturiera ha risposto positivamente a questa giocosità, Patrizia Crivelli cita l’esempio del distributore di mobili Pfister, che sponsorizza il programma Nuovo Design Svizzero, centrato su mobili e tessili anticonvenzionali, poi venduti nei suoi negozi.
La responsabile design dell’Ufficio federale della cultura cita anche il Premio del design svizzero, sponsorizzato dagli industriali svizzeri, che rappresenta un trampolino di lancio per i giovani designer. O ancora il Concorso federale del design, finanziato dal governo.
«In Svizzera il design si sta lentamente trasformando in un motore per il successo», afferma Patrick Reymond, menzionando alcune idee che hanno addirittura portato alla creazione di società, come i sacchi di tela Freitag o gli orologi sportivi di lusso Hublot.
«Il prossimo passo è di farci conoscere meglio e di aumentare la nostra visibilità», sottolinea, aggiungendo che la presenza di quattro culture differenti all’interno del paese – fonte di un dinamismo particolare – possono essere un vantaggio quando si impara ad esportare.
«In Svizzera abbiamo la capacità di seguire un’idea dall’inizio alla fine. È questa la nostra grande forza», conclude.
Questi designer degli anni ’40, ’50 e ’60 sono diventati oggi tra i principali beniamini degli appassionati del ‘vintage’:
– Max Bill, architetto, pittore, scultore e designer, ispiratore della cosiddetta Scuola di Ulm.
– Jürg Bally, conosciuto soprattutto per il suo tavolino pieghevole.
– Susi e Ueli Berger, conosciuti, tra l’altro, per la loro lampada nuvola.
– Hans Coray, famoso per la sua sedia Landi.
– Will Guhl, anche lui conosciuto per una sedia, la Loop, e mobili da giardino in Eternit.
– Jacob Müller, conosciuto per la seggiola Plio.
Oggi, tra i designer o gli studi di design svizzeri conosciuti a livello internazionale, si possono citare Alfredo Häberli, Atelier Oï, Big Game, D’Esposito & Gaillard, Moritz Schmid e Nicolas Le Moigne.
Il Concorso federale di design, organizzato dall’Ufficio federale della cultura, attribuisce ogni anno 18 premi dal valore di 25’000 franchi ciascuno. Inoltre sono offerti dei soggiorni di studio di una durata di sei mesi a New York e Amsterdam.
Il Premio del design svizzero è finanziato dall’industria manifatturiera ed è conferito ogni due anni. L’obiettivo è di incoraggiare idee nuove nell’ambito della moda, dei mobili, del tessile.
(traduzione di Daniele Mariani)
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