Il diritto di dire addio
In oltre cinquant'anni di conflitto armato in Colombia, decine di migliaia di persone sono state uccise e fatte sparire nel nulla. Oggi i famigliari dei cosiddetti "desaparecidos" rivendicano verità e giustizia, grazie anche all'aiuto della Svizzera. Reportage.
Era una calda mattina di novembre del 1999. Jolman Lozano si era alzato presto, come di consueto. Aveva 25 anni e un lavoro come conducente indipendente a Medellín del AriariCollegamento esterno, un piccolo villaggio agricolo 200 km a sud di Bogotà.
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Quel giorno era stato incaricato di trasportare dei medici, quando lungo il cammino due uomini fermarono il suo veicolo. Paramilitari del blocco Centauros, si legge sul rapporto della procura. I due sanitari furono lasciati andare, Jolman preso in ostaggio, ucciso brutalmente e fatto sparire.
Da quel giovedì di novembre, sua sorella Azucena Loaiza non ha mai smesso di cercarlo. “A volte qualcuno mi diceva di averlo visto da qualche parte e allora ricominciavo a sperare, ma in fondo sapevo che non sarebbe più tornato”.
Ritrovato quasi per caso nel 2011 in una tenuta agricola, il corpo di Jolman è stato identificato nel 2016, grazie alla prova del DNA, e restituito alla famiglia due anni dopo. “Rispetto ad altre persone posso ancora ritenermi fortunata, perché anche se ho dovuto aspettare 19 anni, oggi posso finalmente dire addio a mio fratello”, racconta Azucena, il volto segnato dalle lacrime.
Durante gli oltre cinquant’anni di conflitto armato, le sparizioni forzate erano infatti moneta corrente in Colombia. Il Centro nazionale di memoria storicaCollegamento esterno, il cui lavoro è stato accompagnato e finanziato dalla Svizzera, stima che dal 1970 al 2015 almeno 60’600 persone siano state assassinate e fatte sparire nel nulla. Di queste, il 92% figura ancora come ‘desaparecidos’, in una macabra lista che non accenna a diminuire.
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“Decidemmo di cercarlo tra i cadaveri”
Un momento di lutto e di speranza
Per il funerale di Jolman, Azucena ha scelto il bianco – il colore della pace. Tra le braccia tiene una piccola bara, frammenti di ossa sopravvissuti al tempo e alle intemperie. In questo pomeriggio di inizio marzo, la chiesa di Medellín del Ariari è gremita di gente. È la prima volta che il villaggio ospita una cerimonia di restituzione del corpo di una vittima del conflitto e per la popolazione locale è un momento collettivo di lutto, ma anche di speranza.
Situato in una regione strategica tra la cordigliera e la selva, l’Alto Ariari è stato a lungo considerato come una “zona rossa”Collegamento esterno per la massiccia presenza dei guerriglieri delle FARC.
Isolata e stigmatizzata, a partire dagli anni Ottanta la popolazione è stata vittima di una lunga serie di abusi, per mano dei paramilitari, dell’esercito e della guerriglia. “In questi villaggi sono morte centinaia di persone e molte famiglie sono dovute partire a causa della violenza. Nei primi anni Duemila, alcuni villaggi erano completamente deserti”, ricorda padre Henry Ramírez Soler, che dal 1996 accompagna le comunità dell’Alto Ariari.
“Questa mattina mi sono svegliato con un velo di tristezza, perché anche se oggi accogliamo il corpo di Jolman, mancano ancora all’appello troppe persone”, afferma il missionario clarettiano.
“In questi villaggi sono morte centinaia di persone” Henry Ramírez Soler, missionario
144 anni per identificare i morti
La ricerca e l’identificazione dei ‘desaparecidos’ rappresenta una delle principali sfide che dovrà affrontare la Colombia nei prossimi decenni, afferma la ginevrina Joelle Kuhn, responsabile del dossier per il CICR a Bogotà.
Eppure il governo non ha ancora stanziato i mezzi finanziari necessari per rispondere a un tale bisogno umanitario e la tanto attesa Unità di ricerca per le persone disperse, la cui creazione è accompagnata dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), non è ancora operativa. E questo ad oltre un anno dalla firma degli accordi di pace.
Considerato tra i massimi esperti del paese nel campo della ricerca dei ‘desaparecidos’, padre Henry Ramírez Soler è lapidario: “Abbiamo calcolato che se andiamo avanti a questo ritmo, ci vorranno almeno 144 anni per identificare tutti i morti del conflitto colombiano. Come possiamo pensare di costruire la pace in queste condizioni?”.
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“Senza un corpo è impossibile cominciare un lutto”
Archivio della memoria
Con l’accordo di pace tra le FARC e il governo colombiano, sottoscritto nel novembre 2016 e depositato in Svizzera, un numero crescente di vittime ha trovato il coraggio di denunciare apertamente la scomparsa dei propri cari.
Una sfida non indifferente dato che talvolta i responsabili dei crimini sono tuttora a piede libero, spiega Yina Avella, laureata in diritto all’università di Neuchâtel. Figlia di rifugiati colombiani in Svizzera, da un anno questa giovane accompagna la Corporazione clarettiana Norman Pérez Bello nella difesa giuridica delle vittime del conflitto, in qualità di cooperante per l’ONG svizzera COMUNDOCollegamento esterno.
A fianco di Padre Henry, Yina Avella sta creando un archivio della memoria, con casi non ancora risolti di ‘desaparecidos’. “Ci sono ad esempio persone che hanno sporto denuncia, ma dopo 15-20 anni non sanno ancora dove sono stati sepolti i loro cari o persone che non ricordano nemmeno se hanno sporto denuncia e presso quale entità. È dunque importante raccogliere informazioni in modo sistematico, per poter avere un minimo di possibilità di avere giustizia”.
Una giustizia che Azucena non ha ancora ottenuto. L’inchiesta sull’omicidio di Jolman è infatti ancora aperta. Chi è stato ad ucciderlo e perché? Risposte di cui Azucena ha bisogno per poter finalmente voltare pagina e colmare, forse, un vuoto durato quasi vent’anni. La sfida di una pace duratura in Colombia passa anche da qui.
Il conflitto colombiano in cifre
In oltre cinquant’anni di conflitto armato, in Colombia si sono registrate oltre 8,5 milioni di vittime, di cui circa 250’000 morti (l’80% civili) e decine di migliaia di “desaparecidos”.
Secondo il rapporto “¡Basta ya!”Collegamento esterno – realizzato dal Centro nazionale di memoria storica – dei quasi 2’000 casi di massacri censiti tra il 1980 e il 2012, il 60% circa sono stati commessi da gruppi paramilitari, il 17% da gruppi guerriglieri, l’8% dall’esercito regolare e il restante 15% da gruppi armati non identificati.
La Colombia registra inoltre il numero più alto di sfollati interni al mondo, oltre 7 milioni stando al rapporto 2016 dell’UNHCRCollegamento esterno.
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