L’arma a doppio taglio del lavoro a tempo parziale
La possibilità di lavorare a tempo parziale in Svizzera può essere una benedizione per le madri lavoratrici, ma anche una maledizione. Molte donne chiedono ora la fine delle discriminazioni delle madri sul posto di lavoro. Non ne va solo della loro carriera, ma anche dello sviluppo del paese.
La carriera di Ingrid Bringas all’interno di una grande multinazionale con sede in Svizzera era sulla buona strada, finché ha detto al suo datore di lavoro di essere incinta. “Gestivo un progetto globale per Ceva Logistics, con 13 o 14 progetti più piccoli a fianco. Ho detto loro che ero incinta e l’incarico per gestire il progetto è andato a un altro manager, mentre io sono stata messa da parte.”
Ma il colpo più duro è arrivato quando le è stato detto di non tornare al lavoro il giorno dopo il termine del suo congedo maternità e le sono stati offerti tre mesi di salario come buona uscita. Interpellata da swissinfo.ch, Ceva Logistics ha risposto che non commenta casi individuali, ma che la sua priorità è di trattare tutti gli impiegati allo stesso modo.
Una donna che abita nella regione di Zurigo e che preferisce rimanere anonima ha avuto un’esperienza simile in una grande multinazionale tecnologica di Zurigo, dove è stata esclusa dalle riunioni importanti appena ha annunciato di essere incinta.
Lei e il suo datore di lavoro si sono accordati su un congedo non pagato di sei mesi dopo il congedo maternità e sulla possibilità di rientrare con un tempo parziale del 60% e la prospettiva di tornare gradualmente al tempo pieno. Il suo datore di lavoro l’ha però chiamata durante il congedo non pagato, annunciandole che era stata licenziata.
L’azienda si è giustificata con una ristrutturazione in corso. Ma la donna, che ha lavorato nell’azienda per oltre cinque anni, confida a swissinfo.ch: “Le dimissioni sono state per me una sorpresa e mi è stato fatto capire che il fatto di essere una madre lavoratrice e di voler lavorare a tempo parziale sono stati fattori decisivi”.
“La discriminazione contro le donne che lavorano esiste da tempo, ma ritorna regolarmente perché il problema non è mai stato davvero affrontato.” Valérie Borioli Sandoz, Travail.Suisse
Discriminazioni nascoste
Queste storie non sono delle eccezioni. Secondo uno studio commissionato di recente dal governoCollegamento esterno una donna su dieci in Svizzera subisce discriminazioni dopo il congedo maternità.
Un’analisiCollegamento esterno delle sentenze dei tribunali cantonali relative alla legge sulla parità dei sessi tra il 2004 e il 2015 mostra che un terzo di tutte le discriminazioni è in relazione a gravidanza o maternità e in molti casi si tratta di licenziamenti avvenuti dopo il congedo maternità. In questi casi, le possibilità per le ricorrenti di ottenere ragione in tribunale sono molto limitate (vedi quiCollegamento esterno un elenco di casi attuali).
In Svizzera non è inusuale che durante il colloquio di assunzione a una donna si chieda se pensa di essere in grado di gestire il lavoro con due figli a casa o se vuole avere figli o persino se è incinta.
Porre queste domande è una forma di discriminazione contemplata dalla Legge federale sulla parità dei sessiCollegamento esterno (articolo 3: Divieto di discriminazione), ma in Svizzera non suscita la stessa indignazione che spesso scatena in altri paesi, come per esempio negli Stati Uniti, dove i datori di lavoro rischiano di essere sommersi dalle querele. Il formato di curriculum vitae accettato in Svizzera continua a comprendere lo stato civile, l’età e il numero di bambini, rendendo più difficile evitare le discriminazioni.
Alkistis Petropaki dirige Advance Women, un’associazione che sostiene le donne attive a livello manageriale. Dice che “la discriminazione è una parola grossa. In molte aziende non c’è discriminazione cosciente o attiva di madri e padri.”
Consapevole o meno, la discriminazione colpisce le donne che vogliono far carriera dopo aver avuto bambini, spesso considerate impiegate “difficili” o “complicate”.
Petropaki, di origini greche ma che ha trascorso buona parte della sua vita in Svizzera, ricorda l’esistenza di uno “stereotipo per cui se una donna diventa madre finirà per lavorare a tempo parziale, sarà meno interessata alla sua carriera e diventerà un problema. Questo comporta discriminazioni al momento di decidere una promozione.”
Crede che questa sia una delle ragioni per cui le donne occupano solo il 7% delle posizioni di top manager.
Possibilità di lavoro a tempo parziale
In particolare il lavoro a tempo parziale è un’arma a doppio taglio per le madri che lavorano. La Svizzera ha le percentuali tra le più alte fra i paesi dell’OCSE di donne che lavorano a tempo parziale: le donne in part time raggiungono una quota di quasi il 60%Collegamento esterno.
Valérie Borioli Sandoz, responsabile della politica sulla parità nella federazione sindacale Travail.Suisse, considera il part time la “meno peggio delle soluzioni a nostra disposizione per conciliare lavoro e famiglia. Ma può essere una trappola a cui è difficile sfuggire.”
In effetti, il lavoro a tempo parziale può essere una benedizione per molte donne. Una madre svizzera originaria del Ticino e che lavora per l’amministrazione federale a Berna, dice di sentirsi fortunata di avere un part time del 60% e di avere ancora possibilità di fare carriera. Molte madri straniere dicono che nei loro paesi di origine non sarebbe stato possibile lavorare e nello stesso tempo occuparsi dei bambini come accade in Svizzera.
Sarah Meier, che ha lavorato per una multinazionale tedesca a Zugo prima di fondare parents@work, un programma di coaching per genitori che lavorano, dice che nel suo paese di origine, il Sudafrica, “non abbiamo il lusso di poter lavorare a tempo parziale. Le persone lavorano al 100% o non lavorano del tutto. In Svizzera le persone possono permettersi il part time”.
“È come se si sentisse sempre colpevole per la mia famiglia. I capi si preoccupano che il lavoro interferisca con altre responsabilità familiari.” Una madre statunitense in Svizzera
La madre spagnola Valle Nieto ha un punto di vista diverso. È una delle tre donne ingegnere nella sede della compagnia tecnologica cinese Huawei a Zurigo e dice che non si è mai dovuta confrontare con discriminazioni. È anzi convinta di gestire uno dei progetti migliori all’interno dell’azienda.
Il lavoro a tempo parziale presso Huawei non è possibile, ma Nieto ha la possibilità di lavorare da casa quando è necessario. Questo tipo di accordo a lei va benissimo.
Ritiene che la società non dovrebbe chiederle di rinunciare alla sua carriera riducendo la sua percentuale di lavoro solo perché ha un bambino.
“Ho studiato tanto. I miei genitori hanno speso un sacco di soldi per mandarmi all’università e ho un figlio. Non dovrei perdere tutto solo perché la società non è pronta. Non credo che sia corretto.”
Scelta oppure no?
Ma c’è un altro elemento unico della cultura svizzera che rende il lavoro a tempo parziale l’opzione più logica per i genitori che lavorano, se non l’unica opzione.
In Svizzera è ancora comune che le scuole chiudano a mezzogiorno e i bambini tornino a casa per pranzo. Molti scolari delle primarie hanno dei pomeriggi liberi. Ci sono stati anche tagli alle sovvenzioni per le offerte di servizio nido. Tre giorni alla settimana in un asilo nido non sovvenzionato possono costare fino a 20’000 franchi l’anno.
Ciò significa che i genitori devono spesso fare bene i calcoli per pagare il nido o uno di loro – spesso la madre – deve ridurre la sua percentuale di occupazione.
La rincorsa
In effetti, molte madri che hanno parlato con swissinfo.ch dicono che le idee tradizionali sui ruoli di genere – come quella che le donne devono stare a casa per il bene dei bambini – sono ancora molto diffuse. Molte madri ricordano che i loro capi hanno giustificato un licenziamento affermando di preoccuparsi per loro e per il bene della loro famiglia.
In un recente articoloCollegamento esterno, Alexandra Dufresne, una madre statunitense, avvocata per i diritti umani in Svizzera, ha scritto che “la credenza che la maternità sia la priorità per le donne è talmente radicata che spesso le donne perdono le posizioni di responsabilità che hanno ricoperto a lungo quando rientrano da un congedo maternità, sia che vogliano fare un passo indietro, sia che non lo vogliano fare.”
“Oltre 100’000 uomini prendono congedo per il servizio militare, ma questo non è mai stato considerato un problema.” Valérie Borioli Sandoz, Travail.Suisse
Borioli Sandoz di Travail Suisse dice che “queste idee tradizionali sul ruolo delle donne a casa spinge di datori di lavoro a credere che le donne scelgano di lavorare meno e che quando i bambini sono malati debba sempre essere la madre a rimanere a casa. Dovremmo ricordarci che c’è anche un padre e che anche un padre può prendere un congedo quando il bambino è malato.”
Adattare il sistema
Travail.Suisse spera che l’iniziativa popolare per congedo paternità di almeno due settimane, da loro sostenuta, sia accettata e apra la strada a una maggiore equità sia a casa, sia sul posto di lavoro. Meier ammette “che ci sarà sempre un gap di genere se le donne sono le sole a prendere congedo e a lavorare a tempo parziale.”
Alcune grandi compagnie stanno rispondendo alle rivendicazioni di un congedo paternità. Novartis ha appena annunciato di voler offrire ai padri 14 settimane di congedo, mentre le assicurazioni Axa stanno sperimentando il job sharingCollegamento esterno in ruoli dirigenziali. Swisscom offre da anni modelli di lavoro flessibili. Molti impieghi a tempo pieno, compresi ruoli manageriali, in aziende multinazionali con sede in Svizzera sono ora considerati posti all’80-100%, per permettere anche soluzioni part time.
Alla fine, molti genitori interpellati da swissinfo.ch ritengono che la società debba assolutamente compiere uno sforzo affinché le persone possano conciliare lavoro e cura dell’infanzia. In caso contrario, il rischio è quello di privarsi del contributo di donne con un alto grado di formazione. Come sottolineato da Petropaki, “ci sono più donne laureate che uomini. Se stanno a casa, è un disastro socio-economico.”
Altri sviluppi
Un padre svizzero e il part time
Traduzione dall’inglese: Andrea Tognina; collaborazione per i grafici: Alexandra Kohler
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