Il WEF combatte davvero la disuguaglianza?
Il Forum economico mondiale è un forum adeguato dove i rappresentanti della società civile possono discutere di povertà, disuguaglianza e cambiamento climatico. La sua utilità è però limitata. È l’opinione di Lesley-Anne Knight, esperta di campagne per i diritti sociali.
Anche quest’anno il Forum economico mondiale (WEF)Collegamento esterno è stato costretto a difendersi dalle accuse di non essere nient’altro che un club esclusivo in cui i ricchi e i potenti del mondo possono discutere tra loro a porte chiuse.
WEF Davos
Il 45° incontro annuale del Forum economico mondiale si terrà a Davos, in Svizzera, tra il 21 e il 24 gennaio. Titolo dell’incontro è «Il nuovo contesto globale».
A Davos si riunirà un numero record di delegati, 2500, in rappresentanza dell’economia, della politica, della società civile, della cultura, della religione e della scienza. Tra i capi di Stato attesi nella cittadina grigionese ci sono il presidente francese François Hollande, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il primo ministro cinese Li Keqiang.
Numerosi dibattiti analizzeranno 10 temi principali: ambiente e scarsità di risorse; competenze professioni e capitale umano; parità di genere; investimenti a lungo termine, infrastrutture e sviluppo; sicurezza alimentare e agricoltura; commercio internazionale e investimenti; futuro di internet; crimine globale e anti-corruzione; inclusione sociale; futuro dei sistemi finanziari.
Il Forum economico mondiale è stato fondato nel 1971 a Davos da Klaus Schwab con il nome di European Management Symposium. In origine voleva creare legami tra mondo dell’economia europeo e statunitense. Il WEF ha assunto il nome attuale nel 1987 e ha allargato i suoi orizzonti per offrire una piattaforma di discussione sui problemi internazionali.
Il forum attira però anche un ampio ventaglio di ONG – Oxfam, Amnesty International e il WWF sono tra quelle che parteciperanno all’incontro annuale del WEF a Davos dal 21 al 24 gennaio.
Lesley-Anne Knight ha partecipato quattro volte al WEF nelle vesti di segretaria generale della Caritas; ora è direttrice dell’organizzazione umanitaria The EldersCollegamento esterno, fondata da Nelson Mandela nel 2007 e che riunisce ex leader politici di tutto il mondo.
swissinfo.ch: Cosa offre davvero il WEF alle organizzazioni della società civile e alle loro cause?
Lesley-Anne Knight: Mi ricordo di essermi tormentata ogni anno con questa domanda e sono sicura che quelli che continuano a partecipare si domandano: «Devo andarci oppure no?», ma d’altro canto si chiedono anche: «Cosa posso fare per utilizzare al meglio quello spazio, per aumentare la consapevolezza sui problemi globali?»
Davos è uno dei pochissimi luoghi che offrono l’opportunità di avere accesso a leader economici davvero influenti, a politici e a organizzazioni della società civile. Questi tre gruppi chiave stanno cooperando sempre di più perché siamo tutti interconnessi e abbiamo tutti un ruolo nello sforzo di affrontare e risolvere i problemi sociali. La società civile non pretende di avere tutte le risposte, abbiamo bisogno gli uni degli altri per trovare le soluzioni migliori.
Allora, il WEF è il luogo giusto per parlare della disuguaglianza e della povertà, considerando che chi vi partecipa è proprietario di gran parte delle ricchezze mondiali? Sì, è il luogo dove dev’essere fatto.
swissinfo.ch: Come può dire che i leader dell’economia non si limitino ad annuire e a dire le cose giuste in pubblico, solo per rimangiarsi più tardi la parola?
L.A.K.: I leader dell’economia sanno che per investire con successo in un paese devastato dalla guerra devono lavorare a stretto contatto con la società civile. C’è un’affinità nella ricerca dell’ambiente migliore affinché le persone possano prosperare. Fare affari e fare del bene sono due cose che non si escludono per forza a vicenda.
Credo che questo sia un sentimento sincero anche in un posto come Davos. Credo che le persone ascoltino con sincerità quello che la società civile ha da dire.
L’impegno dei leader dell’economia e della finanza per una maggiore responsabilità aziendale non è solo di facciata. Al contrario, nell’ambito dell’aiuto allo sviluppo e umanitario i leader economici hanno dato grandi contributi.
swissinfo.ch: Quali sono i risultati emersi dai Forum precedenti a cui ha partecipato?
L.A.K.: In che misura cambiamenti reali avvengano grazie al WEF è una cosa che gli organizzatori dovrebbero comunicare meglio di quello che fanno ora. Su questo punto si potrebbe essere cinici e chiedersi: «Dopo 45 anni di Davos, qual è stato il suo contributo sostanziale al cambiamento?» Ma è un cosa molto difficile da misurare.
Chiunque sia stato a Davos se n’è andato via con contatti che sono serviti alla sua organizzazione. Le cose più preziose succedono nei corridoi dopo che i dibattiti sono finiti. Davos è un luogo molto conveniente da questo punto di vista. Se i vantaggi valgano i costi, su questo si può discutere.
swissinfo.ch: A parte i costi per partecipare al WEF, ci sono altre limitazioni?
L.A.K.: Una delle cose che disturba le persone a proposito di Davos, e credo che non abbiano tutti i torti, è la sua esclusività. Anche una ONG internazionale con molte risorse finanziarie ha difficolta ad entrare nella cerchia ristretta di quanti fanno davvero funzionare il WEF.
Dobbiamo stare in guardia rispetto all’esclusione sociale a tutti i livelli. Da qualunque parte si guardi, uno dei pericoli è che i detentori della ricchezza siano una minoranza rispetto a quelli che non ce l’hanno. Non credo che Davos serva a cambiare questo dato di fatto.
Altri sviluppi
Nel cuore dell’universo del WEF
Mi ricordo che dopo i miei primi due forum ho pensato: «Ho davvero bisogno di tutto questo? Ci devo tornare?» Avevo il timore di perdere qualcosa e che forse dovevo andarci comunque. Oggi mi sento abbastanza sicura e fiduciosa da poter dire che non perdo niente e che non ho bisogno di andarci solo perché si veda che ci sono.
Se dobbiamo essere onesti, per le organizzazione della società civile è un po’ come andare allo zoo ed è difficile di accedere alle cose utili o avere incontri faccia a faccia con le persone interessanti. Inoltre si è molto tenuti a freno su quello che si può dire nei dibattiti.
swissinfo.ch: Allora quest’anno non ci andrà?
L.A.K.: Non sto cercando un invito a Davos. Credo di poter divulgare il messaggio della mia organizzazione – dei nostri obiettivi, dei nostri valori – in un altro modo. Non guardo a Davos come mia area di influenza o come luogo per curare i miei contatti. Non è necessario.
Ci sono altri forum di grande valore: la Conferenza di Monaco sulla sicurezza, il vertice dell’ONU sul clima dello scorso anno e il Forum sociale mondiale.
Non c’è poi questo grande bisogno di incontrarsi in questi forum molto costosi e con grandi dispositivi di sicurezza quando grazie alle nuove tecnologie e ai media sociali siamo in contatto reciproco costante. Oggi selezioniamo con molta più attenzione le manifestazioni a cui partecipiamo.
Quelli che vanno al WEF devono sapere perché sono stati invitati e quello che vogliono fare quando saranno lì. Altrimenti li si può accusare di voler solo partecipare a un meraviglioso party nella neve. Ora non abbiamo il tempo per cose del genere, siamo molto più concentrati su ciò che vogliamo raggiungere.
Oxfam
Secondo il rapporto “Grandi disuguaglianze” presentato dall’ong Oxfam alla vigilia del Forum di Davos, il mondo è sempre più diseguale. I ricchi diventano sempre più ricchi e la povertà sempre più diffusa.
Nel 2016 l’1% della popolazione mondiale (cioè 72 milioni di persone circa) avrà in mano più ricchezza del restante 99% (oltre 7 miliardi di persone che continuano a moltiplicarsi).
Durante gli anni della crisi globale, cioè dal 2009, questa elite di “paperoni” ha visto la suo quota di ricchezza mondiale crescere dal 44% del 2009 al 48% del 2014 e – secondo le previsioni dell’Oxfam – supererà il 50% nel 2016.
Nel 2014 i 72 milioni di ricchi che possedevano una media di 2,7 milioni di dollari pro capite saranno ancora più benestanti nel 2016. Nel contempo, denuncia il rapporto Oxfam, oltre un miliardo di persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno, e 1 su 9 non ha nemmeno abbastanza da mangiare.
Traduzione di Luca Beti
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