“L’orologeria svizzera non ha sofferto a causa dell’arrivo di imprese e capitali stranieri”
Jean-Daniel Pasche sostiene che l'acquisizione di marchi e subfornitori svizzeri da parte di gruppi stranieri non sia un problema. Stando al presidente della Federazione dell'industria orologiera svizzera, sarebbe incoerente rivendicare da una parte il libero accesso ai mercati e dall'altra limitarlo.
Dopo una ventina d’anni come presidente della Federazione dell’industria orologiera svizzera FH, Jean-Daniel Pasche lascerà l’incarico alla fine di dicembre 2023. A colloquio con SWI swissinfo.ch, il dottore in legge ripercorre i momenti salienti della sua presidenza.
Nell’intervista, Pasche parla delle sfide che deve affrontare l’associazione mantello che conta quasi 450 membri e che rappresenta oltre il 90% delle aziende svizzere attive nella produzione e nella vendita di orologi e di componenti.
Jean-Daniel Pasche è nato nel 1956 a Servion, nel Canton Vaud, e ha conseguito la laurea e il dottorato in legge presso l’Università di Neuchâtel. Dal 1982 ha lavorato per l’ex Ufficio Federale della Proprietà Intellettuale come avvocato, poi come capo della Divisione Marchi e vice-direttore. Nel 1993 è stato nominato direttore della Federazione dell’industria orologiera svizzera FH e, dal 2002, è presidente di questa organizzazione.
SWI swissinfo.ch: Quali sono stati i maggiori successi e rimpianti durante i due decenni di presidenza?
Jean-Daniel Pasche: Rappresentare l’orologeria svizzera nel mondo è sempre stato per me motivo di grande orgoglio. Il mio successo più grande è stata la capacità di mantenere dei buoni rapporti con gli attori del settore, nonostante non sia sempre stato possibile soddisfare tutte le richieste e attese.
Ha gestito interessi molto divergenti. Ritiene che una sola federazione possa davvero rappresentare l’intero settore orologiero svizzero?
Sì, è possibile conciliare gli interessi di attori molto diversi, come i grandi gruppi, le piccole aziende indipendenti, produttori di articoli di lusso e ditte specializzate in orologi per un vasto pubblico. Per soddisfare le attese di tutti è essenziale impegnarsi su temi che interessano l’intero settore, come la politica economica, fiscale ed energetica, il diritto della concorrenza, la difesa della proprietà intellettuale, la lotta alla contraffazione o la promozione della raccolta dati e delle statistiche. Naturalmente è fondamentale essere disposti ad ascoltare, dialogare e lavorare continuamente al networking.
Ha ricordato uno dei compiti principali dell’organizzazione: la lotta alla contraffazione. Siete riusciti a fare dei passi avanti?
La contraffazione è un flagello permanente poiché ci sarà sempre qualcuno che vorrà imitare gli orologi di successo. La nostra federazione combatte attivamente questo fenomeno: confisca e distrugge gli orologi contraffatti, istruisce le autorità, studia le tecniche di contraffazione e cancella gli annunci di orologi svizzeri contraffatti pubblicati online ecc.
Nessuna tecnologia è in grado di eliminare completamente la contraffazione, ma grazie ai progressi siamo in grado di limitare questo problema. Ad esempio, è stato possibile sviluppare delle tecnologie che permettono di analizzare i prodotti e i materiali, di migliorare la tracciabilità, in particolare grazie alla blockchain, e di individuare più facilmente le pubblicità dei prodotti contraffatti.
Di recente, molte società straniere hanno aperto una loro succursale in Svizzera. È un fenomeno che si registra anche nel settore orologiero?
Anche l’orologeria svizzera attira investimenti stranieri provenienti dall’Europa e dall’Asia. È un’evoluzione positiva poiché questi finanziatori contribuiscono allo sviluppo del nostro settore sul lungo termine. Secondo me, in generale il nostro settore non ha sofferto a causa dell’avvento di aziende e capitali stranieri, anche se abbiamo registrato alcuni fallimenti.
Leggendo il lavoro di ricerca dello storico Pierre-Yves Donzé, scopriamo che l’industria nipponica si è sviluppata grazie agli svizzeri espatriati in Giappone. Attirando imprese straniere in Svizzera, non corriamo il rischio di rivelare il nostro sapere?
Certo, c’è il rischio di un trasferimento di tecnologia, soprattutto nel caso in cui un’azienda svizzera venga acquistata da un attore straniero, ma è una conseguenza dell’economia di mercato. Chiudere le frontiere e bloccare i trasferimenti di capitali non sarebbe certamente una soluzione saggia, visto che l’orologeria è un’industria votata all’esportazione che dipende dai mercati aperti e dal libero trasferimento di capitali. Sarebbe incoerente rivendicare il libero accesso in una direzione e limitarlo nell’altra.
Attualmente, le esportazioni di orologi hanno il vento in poppa. In quali mercati principali vede un potenziale di crescita significativo?
In effetti, le esportazioni sono in crescita e guardiamo al futuro con ottimismo. Sul breve termine, tuttavia, dobbiamo essere cauti a causa del contesto geopolitico, dell’inflazione e della forza del franco svizzero, in particolare presso i subfornitori che sono confrontati con l’annullamento delle ordinazioni.
Sul lungo termine, vediamo ancora delle opportunità di crescita nei mercati classici come nei mercati negli Stati Uniti e in Cina, o in quelli emergenti di India, Brasile e Indonesia. Tuttavia, per l’India e il Brasile dobbiamo migliorare le condizioni quadro, garantendo la protezione della proprietà intellettuale, riducendo i dazi doganali e le tasse e semplificando le procedure amministrative.
L’importo delle esportazioni sta raggiungendo livelli record, il numero di orologi venduti all’estero invece è in costante calo. Quali sono le conseguenze per i subfornitori?
Nel corso degli anni, si è registrato un aumento delle vendite di orologi di lusso e una diminuzione di quelli di fascia inferiore e media, ad eccezione degli ultimi due anni. Visto che è fondamentale che l’industria svizzera continui a proporre orologi per tutte le categorie di consumatori e consumatrici, è importante che le vendite rimangano a un buon livello affinché sia possibile preservare il tessuto industriale svizzero e i posti di lavoro nell’orologeria.
«È importante che le vendite rimangano a un buon livello affinché sia possibile preservare il tessuto industriale svizzero e i posti di lavoro nell’orologeria.»
Lei ha avuto un ruolo importante nel rafforzamento del marchio Swiss Made, entrato in vigore nel 2017. Con il senno di poi, quale impatto ha avuto questa modifica legislativa?
La nuova legislazione ha evidenziato l’importanza della Swissness e ha spinto molte aziende a rivalutare i loro processi per garantire il rispetto delle nuove regole. In concreto, alcune imprese hanno aumentato la percentuale di componenti prodotti in Svizzera e hanno promosso la produzione regionale.
Altre aziende, invece, hanno semplicemente interrotto la produzione in Svizzera poiché non potevano più (o non volevano più) rispettare le regole del marchio Swiss Made. Ciò ha comportato che migliaia di pezzi non vengono più prodotti in Svizzera. Non è stata una sorpresa perché eravamo consapevoli che l’inasprimento della legge avrebbe potuto promuovere la delocalizzazione della produzione.
Non tutti erano favorevoli all’inasprimento della Swissness. Soprattutto alcuni marchi di fascia inferiore e media erano contrari. Qual è la situazione attuale?
In effetti, alcuni marchi, soprattutto nella Svizzera tedesca, si sono opposti al progetto della Swissness. Il nostro obiettivo non è mai stato quello di favorire una categoria di aziende, ma di mantenere la fiducia delle consumatrici e dei consumatori nei confronti del marchio svizzero. Siamo rimasti in contatto con chi si era detto contrario all’inasprimento legislativo, soprattutto durante l’attuazione della normativa. Le tensioni si sono attenuate, anche se l’attuale definizione non è ancora accettata da tutti.
Secondo la legge sulla Swissness, lo sviluppo tecnico, il controllo finale e l’assemblaggio dei movimenti devono essere svolti in Svizzera, ma la maggior parte dei componenti può essere prodotta all’estero. Non è una contraddizione?
Infatti, per quanto riguarda i componenti, solo il movimento deve essere svizzero. Ad esempio, è possibile impiegare componenti stranieri per l’assemblaggio della cassa a condizione che vengano rispettati i criteri minimi e che il processo venga eseguito in Svizzera.
In realtà, abbiamo dovuto rispettare gli impegni internazionali presi dalla Svizzera in materia di libero scambio e non discriminazione e ciò ha limitato il nostro margine di manovra. Rischiavamo altrimenti misure di ritorsione da parte dell’UE, della Cina e di Hong Kong.
In altre parole, non potevamo semplicemente vietare l’importazione di componenti per orologi. D’altro canto, capisco molto bene la frustrazione di alcuni subfornitori svizzeri.
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A cura di Samuel Jaberg
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