La Grecia, vittima tra le altre della “dittatura finanziaria”
Il debito soffoca la Grecia, come molti altri paesi, anche i più ricchi. Il debito soffoca pure le famiglie. Ma chi vende, compra, fraziona e rivende il debito? Il sistema finanziario, diventato il vero motore dell’economia, afferma Marc Chesney. In un libro pungente, l’economista franco-svizzero denuncia gli ingranaggi di una presa di potere che minaccerebbe perfino la democrazia.
Durante la crisi finanziaria, gli Stati dell’UE hanno speso circa 4500 miliardi di euro per mantenere a galla le loro banche dette “sistemiche”, che ostentano bilanci del tutto inimmaginabili. Nel 2011 in Svizzera, i due giganti UBS e Credit Suisse gestivano congiuntamente una somma pari a circa 4 volte il PIL nazionale. E la cifra sale a 75 volte il PIL se si prendono in considerazione le enormi attività fuori bilancio, che sfuggono ad ogni controllo.
In queste condizioni, i governi devono accontentarsi di accompagnare un sistema in cui i guadagni finiscono nelle tasche di una cerchia ristretta, mentre le perdite sono a carico di tutti?
Nel suo saggio intitolato “De la Grande Guerre à la crise permanenteCollegamento esterno” (“Dalla Grande guerra alla crisi permanente”, la versione italiana sarà pubblicata tra qualche mese, ndr), Marc Chesney presenta in 110 pagine la sua risposta, incisiva e ben argomentata.
swissinfo.ch: In che modo la crisi greca è rivelatrice di ciò che lei definisce come la presa di potere da parte di un’aristocrazia finanziaria?
Marc Chesney: Sono ormai lontani i tempi in cui il generale de Gaulle poteva dire – eravamo nel 1966 – che “la politica francese non si fa alla borsa”. Oggi sono i mercati finanziari a dettare l’orientamento economico, finanziario e di conseguenza anche quello sociale dei paesi.
Nel caso della Grecia, è chiaro che i mercati, il Fondo monetario internazionale (FMI) o la Commissione europea impongono esigenze che devono prevalere sulla scelta degli elettori. Le misure d’austerità che Alexis Tsipras è stato finalmente costretto ad accettare a inizio luglio sono più severe di quelle respinte a grande maggioranza dal popolo greco una settimana prima, tramite referendum. La Grecia è ormai sotto tutela, la democrazia non viene rispettata – e non solo in questo paese. L’obiettivo di questa politica è di schiacciare ogni velleità di resistenza in Grecia, per non dare idee agli elettori di altri paesi, anche loro sottoposti all’austerità.
swissinfo.ch: L’austerità e la riduzione del debito dovrebbero però aiutare i paesi a rialzarsi. Non è così?
M.C.: Al contrario. L’aumento dell’IVA indebolirà ancor di più le frange più povere della popolazione. Le privatizzazioni imposte a questo paese portano a situazioni assurde. Lo Stato greco è stato ad esempio costretto a vendere degli edifici che continua ad utilizzare e per i prossimi vent’anni dovrà pagare un affitto corrispondente a circa il triplo del prezzo al quale ha venduto questi beni.
Marc Chesney
Cittadino franco-svizzero, Marc Chesney ha studiato matematica ed economia a Parigi e a Ginevra, dove ha difeso la sua tesi di dottorato sui prodotti derivati. Dopo aver lavorato all’HEC di Parigi, oggi è professore di finanza all’università di Zurigo. È membro di Finance WatchCollegamento esterno e kontrapunktCollegamento esterno.
La Grecia è certo in preda alla corruzione, ma la stessa Europa non è esente da gravi problemi. In che modo l’attuale presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker può intimare alla Grecia di ridurre il suo deficit, mentre per anni il paese che dirigeva, il Lussemburgo, ha permesso a società attive in Grecia di praticare l’evasione fiscale a spese della Repubblica ellenica? È una farsa.
Questa evasione fiscale praticata su larga scala da una piccola minoranza è una delle principali cause della rovina dello Stato. Non dimentichiamo che in Grecia l’imposta sui salari è prelevata alla fonte. Ma visto che le paghe sono basse, molte persone hanno più lavori e una parte importante dei redditi proviene dall’economia informale. La base imponibile è dunque nettamente insufficiente.
Pensare che tutti i greci condividano gli stessi interessi e le stesse caratteristiche è fuorviante e stereotipato. La stessa cosa vale per la Germania. Gli interessi della Deutsche Bank non corrispondono a quelli dell’immensa maggioranza dei contribuenti tedeschi. Ma sono comunque loro a farsi carico dei rischi sconsiderati presi da questa banca, incluso in Grecia.
swissinfo.ch: Ciò non toglie che oggi tutti concordano nel dire che la Grecia, nel 2001, non era matura per raggiungere la zona euro…
M.C.: All’epoca però nessuno lo ha pensato, oppure nessuno ha voluto pensarlo. La Grecia era già fortemente indebitata. La banca Goldman Sachs ha manipolato i conti – mediante uno swap di titoli – per permettere alla Grecia di mascherare parte del suo debito. Questo paese è riuscito ad ottenere dei crediti che non figuravano nella contabilità nazionale utilizzando un cambio euro-dollaro sulla base di un corso fittizio. È una prassi corrente, che mostra come l’innovazione in campo finanziario è senza limiti. E non è l’unico caso.
Questa montatura ha permesso alla Grecia di rispettare, per lo meno in apparenza, i criteri di Maastricht. Per inciso, la banca ha intascato quasi 300 milioni di euro di commissioni. E l’attuale presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, che tra il 2002 e il 2005 è stato vice-presidente della Goldman Sachs Europa, non ha mai denunciato pubblicamente queste operazioni.
A pesare poi sono stati le Olimpiadi del 2004, per le quali la Grecia ha speso somme enormi, e gli acquisti massicci di armi soprattutto dalla Francia e dalla Germania. Un ottimo affare per le industrie d’armamento di questi due paesi e per le banche che hanno finanziato questi acquisti. Ma avrebbero dovuto sapere che la solvibilità del cliente era problematica.
Oggi s’impone una revisione del debito. È la strada che ha seguito ad esempio un paese come l’Ecuador: ha analizzato il carattere legittimo o illegittimo dei suoi debiti e nel 2008 ha annunciato la sospensione del rimborso di una parte importante del suo debito. Un debito è illegittimo se è stato contratto contro gli interessi della popolazione e con la piena consapevolezza da parte dei creditori.
D’altronde Berlino sa come funziona, visto che nel 1953 oltre il 50% del debito tedesco è stato annullato nell’ambito dell’accordo di Londra. All’epoca si trattava soprattutto di non ostacolare il rilancio economico del paese. Perché non fare lo stesso con la Grecia?
swissinfo.ch: Torniamo al libro. “Bulimia”, “patologia”, “truffa”, “dittatura”: non usa certo parole tenere nei confronti del settore finanziario…
M.C.: Perché essere teneri? La borsa è diventata un casinò, dove le grandi banche giocano denaro che nella maggior parte dei casi non appartiene loro. Non sono più degli investimenti, ma delle puntate. Il settore finanziario è sempre più lontano dall’economia reale e le banche centrali falsano ancora il gioco, inondando i mercati di liquidità. A dominare sono la venalità, la vacuità morale e l’assenza di valori che non siano quelli finanziari.
“La borsa è diventata un casinò, dove le grandi banche giocano denaro che nella maggior parte dei casi non appartiene loro”.
In teoria, la borsa dovrebbe essere il luogo in cui si finanziano le imprese. Ad esempio, nel 2011 in Francia le aziende hanno attinto solo al 5,4% dei loro capitali. Dieci anni prima, la quota era del 27%.
Oggi si stima che la metà delle transazioni sui mercati europei (e fino al 70% negli Stati Uniti) siano “ad alta frequenza”, ossia effettuate da computer che comprano e rivendono titoli nello spazio di qualche microsecondo. L’80-90% di questi ordini sono annullati con la stessa velocità, per indurre in errore la concorrenza. Si tratta di investimenti responsabili? Dal mio punto di vista è più che altro un poker ingannevole.
Per l’utilità sociale di queste transazioni, la borsa potrebbe aprire anche solo un’ora a settimana. Lo stesso vale per i mercati di cambio. Sei giorni di transazioni l’anno basterebbero per permettere lo svolgimento di tutto il commercio internazionale dei beni e servizi.
swissinfo.ch: Non è il riscatto del liberalismo?
M.C.: Non siamo più di fronte al liberalismo. Riportare a galla delle banche “too big to fail” con fondi pubblici, come fanno gli Stati, è contrario alla dottrina liberale, secondo cui chi prende dei rischi deve assumersene la responsabilità.
“Per la stragrande maggioranza della popolazione, il neoliberalismo non funziona. Il mondo ha bisogno di una nuova scuola di pensiero economico”.
Nel XIX secolo, il liberalismo ha portato a un sviluppo economico, sociale, umano, scientifico e culturale, anche se era lungi dall’essere ideale. Poi ci sono state due guerre mondiali e il dominio in Occidente del modello keynesiano di uno Stato sociale e intervenzionista. A partire dagli anni Settanta, con le crisi petrolifere, la stagnazione e la guerra in Vietnam, questo modello ha cominciato a mostrare le sue debolezze. I neo-liberali erano già pronti, con la Scuola di Chicago di Milton Friedman, ma hanno conquistato il potere solo nei primi anni Ottanta con l’arrivo di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan. Da allora, il settore finanziario si è gonfiato a dismisura ed è diventato il centro nevralgico dell’economia.
Oggi questo modello ci sta portando alla rovina. Per la stragrande maggioranza della popolazione, il neoliberalismo non funziona. Il mondo ha bisogno di una nuova scuola di pensiero economico. La dottrina keynesiana ha portato molto, ma non siamo più nell’epoca di Keynes. Una simile politica di rilancio, attraverso investimenti pubblici supplementari, produrrebbe un debito, che per la maggior parte dei paesi è già preoccupante.
swissinfo.ch: Cosa fare allora?
M.C.: È questo l’aspetto terribile: sappiamo cosa bisognerebbe fare, ma non lo stiamo facendo. Prima di tutto bisogna rimettere la finanza a servizio dell’economia. Ciò implica effettivamente una forte diminuzione del debito pubblico, attraverso un audit, come già fatto in passato. Inoltre, affinché il contribuente non debba più finanziare le perdite delle grandi banche, queste dovrebbero ridimensionarsi radicalmente. Così, in caso di decisioni sbagliate potrebbero far fallimento, come accade per la maggior parte delle altre imprese.
La regolazione dovrebbe essere trasparente e più facile, in modo da rafforzarne l’impatto. È inoltre necessario imporre alle banche più fondi propri e una certificazione dei loro prodotti. Non è normale che il settore finanziario possa emettere dei prodotti tossici in assoluta impunità.
Bisogna anche reintrodurre la separazione tra banca di deposito e banca d’affari, come era il caso negli Stati Uniti tra il 1933 e il 1999, con il Glass-Steagall Act. Così facendo, le banche che vogliono prendere dei rischi smisurati, devono farlo coi loro soldi e non con quelli del cliente o del contribuente.
Vi è poi anche la proposta di introdurre una tassa sui pagamenti elettronici, avanzata dal finanziere zurighese Felix Bolliger. Non è la Tassa Tobin, ma un sistema semplice ed efficace che potrebbe potenzialmente rimpiazzare tutte le imposte riscosse dagli Stati, per il beneficio di tutti.
swissinfo.ch: Lei appartiene a una corrente molto critica nei confronti del settore finanziario. Eppure questo continua a godere di un certo prestigio, soprattutto tra i media che danno regolarmente spazio ai corsi delle borse, come se si trattasse di un’informazione importante…
M.C.: I movimenti verso l’alto o il basso si susseguono giorno dopo giorno, senza che il cittadino possa dedurne un gran che. È un linguaggio ermetico riservato agli addetti ai lavori, un po’ come la messa in latino prima del Concilio Vaticano II. Sono cifre incomprensibili, confezionate con una verbosità complessa.
Le radio danno i risultati della borsa alla fine di ogni notiziario, con il meteo, quasi potesse essere associata a un fenomeno naturale. Si dovrebbe piuttosto presentarla con i risultati del lotto. Con la sola differenza che la borsa non è nemmeno più un gioco d’azzardo, tanto le manipolazioni e le malversazioni sono frequenti.
swissinfo.ch: Verso la fine del libro, cita “Indignatevi!” di Stéphan Hessel. Vuole portare la gente ad indignarsi?
M.C.: Sì. Per tentare di conservare la propria dignità, è necessaria prima di tutto l’indignazione e poi l’impegno per una ricerca di soluzioni.
Marc Chesney sostiene l’idea di una micro-tassa sui pagamenti elettronici. A differenza della Tassa Tobin, che si applicherebbe solo alle transazioni finanziarie, questa sarebbe prelevata su tutti i pagamenti, inclusi i prelievi al bancomat o il pieno di benzina. Solo in Svizzera, queste transazioni rappresentano circa 100mila miliardi di franchi all’anno. Basterebbe dunque un prelievo molto piccolo, dello 0,2 per cento, per raccogliere 30 miliardi in più rispetto a tutte le imposte pagate su suolo svizzero, pari a 170 miliardi di franchi. Potenzialmente questa nuova imposta potrebbe dunque sostituire tutte le altre.
Obiezione: la sua introduzione farebbe fuggire immediatamente i principali attori della piazza finanziaria, i più colpiti da questa misura. Nessun problema, replicano i sostenitori della tassa, visto che in ogni caso queste attività sono nocive. Il calo delle entrate potrebbe essere compensato, dicono, da un aumento della tassa, che anche se fissata all’1% resterebbe favorevole alla maggioranza dei cittadini e delle imprese.
Marc Chesney ritiene che la Svizzera potrebbe dare l’esempio in questo settore e che il sistema di democrazia diretta sarebbe l’ideale per introdurre questa tassa, attraverso lo strumento dell’iniziativa popolare.
(Traduzione dal francese, Stefania Summermatter)
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