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Predire la mobilità del futuro, senza dimenticare i disastri energetici del passato

Sara Ibrahim

I veicoli elettrici stanno spopolando e si fanno ormai strada anche le auto a guida autonoma. Ma quando queste tecnologie saranno sufficientemente mature per rispondere alle sfide climatiche e integrarsi nello spazio urbano?

Molti Paesi mirano ad arrivare alla neutralità carbonica nei prossimi anni. In Europa, il Green DealCollegamento esterno ha sancito un piano per raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero entro il 2050 e anche la Svizzera si è data la medesima scadenza.

Un proposito ambizioso, che punta subito i riflettori sul settore dei trasporti, responsabile di circa il 16% delle emissioni globali di CO2Collegamento esterno. Come sarà dunque la mobilità del futuro? E che fine faranno le auto? Secondo Herbert Diess, amministratore delegato del gruppo tedesco Volkswagen, le auto non spariranno dalle nostre strade, anzi, aumenteranno. “Le auto saranno ancora più attrattive nel futuro, poiché saranno più rispettose dell’ambiente e più sicure”, ha spiegato l’imprenditore in un podcast dell’EconomistCollegamento esterno dedicato alla mobilità elettrica. Diess pronostica che la gente passerà più tempo di qualità in macchina, grazie alle auto senza conducente.

Se guardiamo la Svizzera, in effetti, oggi circolano più veicoli rispetto a una trentina di anni fa. Il mio collega Luigi Jorio ha recentemente riportato che il numero delle automobili nel Paese alpino è aumentato del 50% rispetto al 1990.

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Il futuro è elettrico, ma quando?

Oggigiorno, le speranze di un “riscatto ecologico” nel settore della mobilità sono riposte ampiamente nelle auto elettriche. L’adozione da parte dei consumatori di veicoli elettrici (EV) potrebbe contribuire in modo significativo a rallentare gli effetti del riscaldamento globaleCollegamento esterno e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, sia per i viaggi dei passeggeri che per il trasporto merci. Tuttavia, le sfide da superare sono ancora numeroseCollegamento esterno.

Una di queste riguarda la disponibilità di infrastrutture di ricarica e la possibilità di caricare l’auto comodamente da casa. Il mio collega Simon Bradley, che ha recentemente affrontato la questione in un articolo, inquadra il problema in Svizzera:

I politici e gli esperti del settore concordano sul fatto che la Svizzera abbia bisogno di obiettivi più ambiziosi per le auto e le infrastrutture di ricarica.

Una preoccupazione riguardo il fatto che la rete di ricarica della Svizzera – 5’700 punti pubblici sparsi nelle città e nei Paesi – non sia all’altezza del compito.

Anthony Patt, professore di politica climatica al Politecnico federale ETH di Zurigo, teme un blocco nei prossimi anniCollegamento esterno: “Il fattore che influenza di più la scelta di comprare un’auto elettrica in Svizzera è: ‘Posso caricarla a casa?'”

In Svizzera il 57% delle persone vive in affitto. Non tutti possono lasciare il loro veicolo collegato durante la notte fuori casa.

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Oltre a ciò, bisogna aggiungere il fatto che la mobilità elettrica non riduce la congestioneCollegamento esterno delle strade e crea un altro problema, sia ambientale che sociale: le batterie necessitano di litio, rame e cobalto, la cui estrazione ricade principalmente sulle spalle di lavoratori sfruttati e sottopagati nei Paesi in via di sviluppo.Collegamento esterno

Voi cosa ne pensate? Passereste all’elettrico o siete scettici? O forse possedete già un’auto elettrica e volete raccontarci la vostra esperienza? Contattateci!

“Le auto elettriche autonome sono il presente”

Nonostante gli ostacoli, l’era delle auto di massa a combustione interna pare essere giunta al tramontoCollegamento esterno. La via è segnata non solo da veicoli più puliti, ma anche da software sempre più sofisticati e in grado di gestire autonomamente la guida su strada. Il laboratorio Visual Intelligence for TransportationCollegamento esterno (VITA) del Politecnico federale di Losanna (EPFL), diretto da Alexandre AlahiCollegamento esterno, sta sviluppando l’intelligenza artificiale (IA) per consentire alle auto autonome di coesistere con gli esseri umani in modo sicuro, efficiente, affidabile e socialmente consapevole.

Abbiamo intervistato Alahi nel quadro della nostra collaborazione con l’NCCR – il Centro nazionale di competenza nella ricerca roboticaCollegamento esterno.

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Alexandre Alahi, direttore del laboratorio Visual Intelligence for Transportation (VITA), EPFL

SWI swissinfo.ch: Alexandre, in che senso un’auto può essere “socialmente consapevole”?

Alexandre Alahi: Nel mio laboratorio, stiamo lavorando a un nuovo tipo di cognizione che chiamiamo “IA socialmente consapevole”, cioè IA dotata di intelligenza sociale. Secondo noi, l’intelligenza sociale è la capacità di prevedere/anticipare le interazioni tra tutti gli attori nel traffico stradale. La nostra ricerca affronta i tre pilastri di un sistema di IA socialmente consapevole: il primo è la percezione, cioè rilevare e classificare le attività dei partecipanti al traffico; il secondo è la previsione, cioè prevedere la loro mobilità; il terzo è la pianificazione di una serie di azioni conseguenti.

Pensa che le auto elettriche autonome siano la tecnologia del futuro?

Le auto elettriche autonome sono il presente. Sono già presenti nelle autostrade e in alcune città. C’è una competizione accesa tra le startup e le aziende che lavorano nel settore per estendere il campo di applicazione e aumentare il livello di autonomia di queste auto.
I governi di tutto il mondo hanno riconosciuto che l’IA influenzerà ogni segmento della società e hanno messo “la mobilità a un bivio”.
Il nostro obiettivo, nel mondo accademico, è garantire che queste auto autonome siano sicure e affidabili in tutti gli scenari.

La sicurezza è proprio il tasto dolente. Quali sono i limiti di questa tecnologia al momento?

Lo stato attuale della tecnologia porta a incidenti inaccettabili a causa della mancanza di capacità di previsione. Un recente rapporto ha mostrato che il 98% degli incidenti delle auto a guida autonoma sono dovuti a un arresto imprevisto (facendo scontrare altri automobilisti). Tutti questi incidenti fanno parte della sfida della mobilità in ambienti affollati, dove gli attori si influenzano fortemente a vicenda.

Quali sono invece le opportunità che la mobilità autonoma offre alla società?

Le auto a guida autonoma ridurranno gli errori umani e salveranno milioni di vite ogni anno in tutto il mondo, diminuiranno il traffico e l’inquinamento, aumenteranno la mobilità per gli anziani e le persone con disabilità. Allo stesso modo, nuovi tipi di veicoli autonomi gireranno sui marciapiedi per ridurre i costi di consegna o assistere le persone anziane/cieche in aree affollate.

Cosa deve o dovrebbe fare un veicolo autonomo per poter guidare in sicurezza sulle nostre strade?

Negli ultimi decenni, la comunità di ricerca si è concentrata sullo sviluppo di metodi per consentire ai veicoli autonomi di percepire il mondo e pianificare una serie di azioni di conseguenza. Abbiamo fatto notevoli progressi. Le auto autonome possono oggi operare in autostrada o in aree residenziali con traffico a bassa densità. Tuttavia, non possono girare efficacemente nelle città dove lo stile di guida non è basato su delle regole precise ma su un’etichetta sociale (come accade a Parigi e a Napoli). L’intelligenza sociale manca nella tecnologia attuale.

Come diceva Aristotele, noi esseri umani siamo animali sociali dotati di libero arbitrio. Abbiamo la capacità di scegliere tra diversi possibili scenari e possiamo anticiparli. Un veicolo autonomo deve avere la stessa capacità per guidare in sicurezza sulle nostre strade. Deve capire e anticipare le convenzioni sociali, l’etica e obbedire a regole non scritte di buon senso.

Una catastrofe da non ripetere: Chernobyl, per non dimenticare

Quando si parla di transizione ecologica e di energia pulita, non si può non menzionare il nucleare. Nonostante le critiche e i contraccolpi subiti sulla scia del disastro di Fukushima di 10 anni fa, nell’UE un quarto della produzione di elettricità dipende ancora dall’energia nucleare.Collegamento esterno

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Un futuro senza energia nucleare è possibile?

Questo contenuto è stato pubblicato al L’incidente nucleare di Fukushima dell’11 marzo 2011 ha segnato l’inizio della fine dell’atomo in Svizzera. Ma non ovunque nel mondo.

Di più Un futuro senza energia nucleare è possibile?

Di recente, ho visto la serie tv ChernobylCollegamento esterno, un’eccellente ricostruzione del disastro nucleare peggiore della storia avvenuto in Ucraina (allora ancora sotto l’Unione Sovietica) il 26 aprile 1986. Questa catastrofe ci ricorda perché il nucleare non può essere il futuro.

Per commemorare il trentacinquesimo anniversario dell’incidente, il mio collega Luigi Jorio condivide il suo ricordo della visita, assieme ad altri giornalisti, della centrale di Chernobyl nel 2006:

A quell’epoca, l’iconica ciminiera della centrale era ancora visibile e il reattore numero 4 era ricoperto “soltanto” dal vecchio sarcofago costruito frettolosamente nei mesi successivi alla catastrofe.

La Svizzera era tra i Paesi che stavano finanziando un nuovo rivestimento, un arco di acciaio e cemento installato nel 2016 e costato un miliardo e mezzo di euro.

Ricordo che una volta arrivati alla centrale, sono rimasto sorpreso dall’intenso andirivieni di operai e militari. Pensavo che fosse un impianto se non abbandonato, perlomeno poco frequentato.

E invece a Chernobyl lavoravano ancora quasi 4’000 persone. Alcune di loro, quelle che dovevano avvicinarsi maggiormente al reattore danneggiato, lavoravano a turni di al massimo tre minuti, cronometro in mano.

Non abbiamo avuto modo di parlare con loro. Avrei voluto sapere che cosa motivasse gli operai ad assumere un rischio così grande per un salario di poche centinaia di franchi al mese.

Ma soprattutto avrei voluto ringraziarli per quel lavoro di bonifica e messa in sicurezza di cui oggi sta beneficiando l’intero pianeta.

Voi cosa ne pensate? Dovremmo rinunciare al nucleare? Parliamone di fronte a un caffè (virtuale).

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I bambini di Chernobyl sono diventati grandi

Questo contenuto è stato pubblicato al Nel 2016 il mondo ricorda i 30 anni dalla catastrofe nucleare di Chernobyl. Invece di parlare delle conseguenze dell’incidente, già illustrate a più riprese, ho scelto di guardare verso il futuro seguendo per tre anni i giovani di Slavutych, la città più giovane dell’Ucraina, nata appunto dalla catastrofe. Il reportage segue Yulia, un’adolescente che ho…

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