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Svizzera, una cooperativa

Musica, detersivi e rider: alla scoperta di giovani cooperative svizzere

Band Alois
Paul Märki

Molte nuove imprese nascono come cooperative, spesso per idealismo. Ritratto di un'etichetta discografica, di un negozio partecipativo e di un servizio di consegne a domicilio.

Le cooperative sono importanti per l’economia svizzera. Giovani imprenditrici e imprenditori che danno vita a una start-up fondano però raramente una cooperativa.

Le cooperative sono considerate in genere poco dinamiche. Falliscono meno spesso delle società per azioni e sono stabili, quando l’economia attraversa periodi difficili. L’indagine sulle cooperative 2020 (Genossenschaftsmonitor 2020) di Idée CooperativeCollegamento esterno indica però che la popolazione svizzera si fida delle cooperative, ma le ritiene “poco innovative”. 

Questo vale anche per le giovani imprenditrici e i giovani imprenditori: l’indagine individua un “problema start-up”. Chi vuole diventare ricco fonda piuttosto una società anonima.

A colloquio con SWI swissinfo.ch tre giovani cooperative che si oppongono a questa tendenza spiegano perché abbiano optato per questa forma societaria.

Il negozio partecipativo “Güter”

Il negozio partecipativo Güter si trova in una via residenziale di Berna. Gli scaffali sono pieni di prodotti alimentari e per l’igiene, barili colmi di riso e pasta attendono i loro clienti. Due membri della cooperativa creano pile con le verdure appena consegnate dai fornitori.

Alcune bottiglie di latte nel frigorifero sono in offerta. L’etichetta che indica la riduzione del prezzo è l’unica cosa che ricordi un normale supermercato. La vendita al dettaglio in Svizzera è dominata dalle cooperative, ma facendo la spesa non ci si pensa.

Chi compra da Güter non può invece ignorare gli ideali sui quali si basa il progetto: qui può fare la spesa solo chi partecipa con il suo lavoro alla gestione del negozio. Ogni mese è richiesto un turno di lavoro di circa 2-3 ore.

La motivazione per partecipare si basa su una visione del mondo condivisa. Nicholas Pohl di Güter dice: “Il nostro desiderio principale è di dare un contributo alla democratizzazione dell’economia.” In una cooperativa come la loro, questo principio è vissuto nella quotidianità. “Da noi si può fare l’esperienza di come sia bello cooperare.”

Güter vuole limitare i costi di gestione attraverso il lavoro non retribuito dei soci e offrire così la stessa gamma di prodotti di un negozio biologico, a prezzi più bassi. Questo obiettivo è raggiunto per alcuni prodotti, per esempio gli articoli per l’igiene. Nel caso di altri prodotti, il margine di manovra è piuttosto ridotto, soprattutto se le quantità ordinate sono piccole, com’è il caso per il negozio partecipativo.

Complessivamente, il risparmio nel fare la spesa da Güter è di circa il 10-20% rispetto a un negozio biologico convenzionale. Inoltre l’1% del valore della spesa può essere donato per aiutare i membri della cooperativa con redditi bassi.

Güter ha appena avviato la sua attività e sta imparando ogni giorno cose nuove. Il negozio partecipativo di Berna si è ispirato ad alcune cooperative statunitensi, in particolare alla Park Slope Food Coop di New York.

“Per noi le cooperative rappresentano i valori democratici fondamentali e il principio del mutuo soccorso economico”, dice Pohl. “Ma non ci consideriamo prioritariamente come parte del movimento cooperativo.” L’organizzazione in forma di cooperativa “purtroppo non è un marchio di qualità”.

La realtà indica che “anche le cooperative possono diventare grandi aziende orientate al profitto”. Il negozio partecipativo non ha niente in comune con le grandi cooperative attive nella vendita al dettaglio in Svizzera.

Red Brick Chapel: la cooperativa come fucina di canzoni

Il quotidiano liberal-conservatore Neue Zürcher Zeitung ha definito una volta Red Brick Chapel un “organizzazione di mutuo soccorso”. Nonostante il nome, l’etichetta discografica non ha però relazioni con l’Esercito della salvezza o con altre organizzazioni religiose. Si tratta piuttosto di una comunità per musiche sensibili.

Red Brick Chapel è un’etichetta discografica che non si limita a un pubblico di nicchia e può vantare anche qualche successo. In Germania per esempio il gruppo indie dei Mnevis e il cantante folk Long Tall Jefferson hanno raggiunto con le loro canzoni milioni di persone sulle piattaforme di streaming. Il gruppo degli Alois è finito persino in un’importante playlist statunitense, che ha aperto loro la porta al grande pubblico.

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Red Brick Chapel è l’unica etichetta musicale svizzera organizzata in forma di cooperativa. “È questa la differenza con quasi tutte le case discografiche europee: l’azienda appartiene a musicisti e produttori”, dice Christian Müller di Red Brick Chapel. In questo modo artiste e artisti posso determinare l’evoluzione dell’azienda e mantenere il controllo sulla loro produzione. “Sono loro a decidere cosa succede con le loro opere dopo la produzione.”

Alle origini del progetto non c’era una scelta di campo per le cooperative, bensì la volontà di mantenere e condividere il controllo sul prodotto. Oggi Müller è però entusiasta del principio cooperativo. “Non posso immaginarmi altra forma per la nostra azienda. Tutto il resto sarebbe ideologico.” Se un numero sufficiente di persone con interessi economici comuni si unisce c’è a suo avviso “solo una forma giuridica adatta e sensata”: la cooperativa.

All’epoca dello streaming la maggior parte delle etichette discografiche indipendenti ha un personale limitato, ma in Svizzera per l’iscrizione come cooperativa servono almeno sette partecipanti: è questo secondo Müller il motivo per cui Red Brick Chapel è rimasta un’eccezione.

Rispetto al “problema start-up” delle cooperative in Svizzera, Müller invita a considerare i margini di manovra offerti dalla redazione degli statuti. La farraginosità o l’agilità di una cooperativa o anche il suo grado di democrazia dipendono in larga misura da questi ultimi.

Quando pensa alle cooperative, il pensiero di Müller – come quello degli iniziatori di Güter – non va tanto alla Svizzera, quanto piuttosto alle “cooperative alimentari alla moda” degli USA. In Svizzera gli vengono in mente “solo le grandi” cooperative, che a suo parere non sono più davvero riconoscibili come tali e non corrispondono per nulla alla sua idea di movimento cooperativo.

Un classico moderno: Veloblitz

Solitamente giovani, vestiti con colori sgargianti per essere visibili nel traffico, sono ormai un’immagine comune nelle città svizzere: parliamo dei corrieri in bicicletta o rider. Nei centri urbani è a volte più efficiente inviare dei pacchetti importanti in biciletta.

Mentre di recente grandi aziende globali hanno creato servizi di consegna di cibo a domicilio su due ruote, conquistandosi la fama di datori di lavoro poco rispettosi dei diritti dei loro dipendenti, i servizi di corrieri in bicicletta di prima generazione in Svizzera sono spesso organizzati in forma di cooperativa.

È il caso di Veloblitz a Zurigo, che dà lavoro a 120 rider in tenuta giallonera. Il direttore Simon Durscher non era presente quando negli anni Ottanta in un alloggio condiviso zurighese l’azienda è stata fondata. “Il fondatore mi ha detto di non aver mai voluto creare e possedere un’azienda propria. Ha intravisto il potenziale imprenditoriale, ma ha voluto condividere fin dall’inizio le responsabilità.”

Durscher dice di capire perché le cooperative siano considerate poco dinamiche rispetto ad altre forme societarie. “Nei 10 anni in cui ho lavorato a Veloblitz ho sentito i più disparati punti di vista su quel che l’azienda sia e debba essere. Nella cooperativa si riuniscono persone che poi creano il proprio datore di lavoro”. Per questo le opinioni su Veloblitz sono molto diverse.

L’idea di base è che nell’azienda di rider gli impiegati siano anche proprietari. Ci sono tuttavia anche ex impiegate e impiegati che rimangono membri della cooperativa e impiegati che non lo sono. Non per questo la loro opinione è ignorata.

Secondo il direttore, le gerarchie di Veloblitz sono orizzontali e la responsabilità è distribuita. “Non vige però un sistema di democrazia diretta”, dice Durscher. “Non ci serve. Non tutti possono decidere su tutto.” Piuttosto che in un’assemblea generale, è meglio suddividere compiti e decisioni tra piccoli gruppi.

Uno dei motivi per cui poche start-up scelgono la forma cooperativa risiede secondo Durscher nella norma dei sette soci fondatori. Ma per le persone che le creano, le cooperative hanno anche un vantaggio pragmatico: “A differenza delle società anonime o delle società a responsabilità limitata non serve un capitale di partenza. Le cooperative permettono a persone con poco denaro a disposizione di avviare un’attività economica.”

A cura di David Eugster

Traduzione: Andrea Tognina

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