Negozi per i poveri, uno «scandalo» che dura da 25 anni
Un negozio per i poveri nella ricca Svizzera? Christoph Bossart, tra i fondatori della prima bottega di Caritas, a Basilea, ci racconta la storia di uno «scandalo» diventato col tempo un sostegno irrinunciabile per migliaia di persone.
«Guarda, qualcosa è rimasto», mi dice Christoph Bossart indicando un’insegna sulla facciata di un edificio. Sul cartello è indicato il nome del primo negozio di alimentari della Svizzera destinato ai poveri, inaugurato nel 1992. «Inizialmente si chiamava “Carisatt”, dall’unione di “Caritas” e “satt”, che in tedesco significa “sazio”. Non tutti hanno apprezzato il gioco di parole e oggi parliamo semplicemente di negozi Caritas», afferma Bossart.
Siamo a KleinbaselCollegamento esterno, un quartiere del centro storico di Basilea affacciato sul Reno. Questa zona popolare dalla forte presenza di stranieri è tra le più vivaci di Basilea con ristoranti, bar e negozi di ogni genere. Tra questi c’è anche una bottega poco appariscente, dove i prezzi sono la metà di quelli nel commercio al dettaglio.
È il negozio di CaritasCollegamento esterno, che rispetto al primo di 25 anni fa si è trasferito qualche via più in là. Col tempo l’assortimento è stato ampliato e sugli scaffali si trova un po’ di tutto, dalla frutta fresca ai profumi.
L’obiettivo, invece, è sempre lo stesso: «Sgravare le persone che dispongono di un budget limitato affinché possano fare la spesa senza spendere troppo. Con i soldi risparmiati possono permettersi un paio di scarpe nuove o un’entrata al cinema. È un modo per fare parte della società», spiega Bossart.
Tra i clienti del negozio ci sono persone con redditi bassi, cittadini indebitati e beneficiari dell’assistenza sociale o di prestazioni complementari d’invalidità o di vecchiaia. Insomma, quelli che in Svizzera sono considerati poveri.
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Christoph Bossart, oggi in pensione, ha lavorato per oltre due decenni presso l’organizzazione di aiuto cattolica ed è stato tra i fondatori del primo negozio di Caritas. «Già allora c’erano persone che si erano trovate nell’indigenza perché non avevano un lavoro oppure a causa di una malattia», ricorda.
A cavallo degli anni Novanta, prosegue, è emersa una nuova forma di povertà. «Sempre più persone non riuscivano a garantire il proprio sostentamento, malgrado avessero un impiego. C’erano anche disoccupati di lunga durata, mamme single e in generale gente con un basso livello di formazione».
Secondo un rapporto ufficiale dell’epoca, che suscitò un certo scalpore, le persone minacciate da questa nuova povertà nel cantone di Basilea Città erano circa 20’000, una su dieci. Come aiutarle?
Il modello francese
La risposta è giunta da un articolo apparso su un giornale della Chiesa. «Parlava della “Banque AlimentaireCollegamento esterno” in Francia, un sistema per recuperare le eccedenze alimentari e redistribuirle alle strutture caritative a sostegno degli indigenti», ricorda Bossart, che si era recato di persona a Parigi per studiarne il funzionamento.
Il collaboratore di Caritas si è reso conto che il sistema francese non poteva essere esportato tale e quale in Svizzera. «Si basava essenzialmente sul volontariato, un concetto che in Svizzera, e più precisamente nei cantoni germanofoni, non era affatto diffuso», spiega Bossart.
Anche la distribuzione gratuita o a prezzi simbolici della merce, una delle particolarità della Banque Alimentaire, non corrispondeva alla filosofia della sezione basilese di Caritas. «La nostra intenzione non era di fare regali. Volevamo lasciare alla gente la possibilità di scegliere e di fare acquisti a prezzi abbordabili. Non volevamo che i clienti chiedessero la carità, ma che si assumessero delle responsabilità», osserva Bossart.
Cioccolata per “errore”
Di ritorno in Svizzera, Bossart si è messo in contatto con produttori e grossisti locali. «L’obiettivo era di ricevere, gratuitamente o a prezzi stracciati, della merce invendibile ma perfettamente commestibile. Per i produttori, ciò era vantaggioso: non dovevano pagare per eliminare le eccedenze. I grossi dettaglianti hanno invece reagito con reticenza. Temevano di perdere parte della clientela e volevano mantenere il controllo della qualità dei loro prodotti».
Alla sede basilese di Caritas sono così iniziati ad arrivare prodotti con etichettature errate, scatolame ammaccato, errori di produzione o articoli prossimi alla data di scadenza o stralciati dall’assortimento. All’inizio, era lo stesso Bossart, a bordo del suo furgone, ad andare a ritirare le scatole di banane o di caramelle.
«Una volta abbiamo ottenuto della cioccolata di qualità da un noto fabbricante svizzero. Aveva messo sul mercato una nuova linea, che però non era stata accolta bene dai consumatori. Grazie a questo errore di produzione, abbiamo potuto metterla a disposizione dei poveri», racconta.
Il successo di uno «scandalo»
L’apertura del primo negozio di Caritas, il 1° luglio 1992, non è passata inosservata, rammenta Bossart. «In Svizzera, ma non solo, c’è stata una grande eco mediatica. Alcuni giornali hanno scritto che la presenza di un negozio per poveri in un paese così ricco come la Svizzera era uno scandalo».
L’opinione pubblica, aggiunge, era divisa. «Alcuni condannavano la scelta di nutrire i poveri con gli scarti, con i rifiuti», racconta Bossart, per il quale il negozio va oltre la semplice bottega di quartiere. «È anche un luogo d’incontro, dove ottenere consulenza e sostegno. Ma soprattutto, permette di dare un volto alla povertà».
Sempre più persone in situazione di precarietà sono così uscite allo scoperto. «All’inizio ci rivolgevamo soprattutto agli svizzeri. Ma rapidamente l’accento si è spostato verso i migranti e i rifugiati provenienti dall’ex Jugoslavia». In poco tempo, quello che è stato lanciato come un semplice progetto pilota si è ingrandito e già nel 1994 sono stati aperti negozi simili anche a Lucerna, San Gallo e Berna.
Grazie a un accordo con una grande ditta di trasporti, e alla progressiva professionalizzazione dell’attività – con una cooperativa centrale che si occupa della logistica – la rete di negozi si è poi estesa a tutto la Svizzera. Nei 24 punti di vendita del paese lavorano, a seconda dei cantoni, dei collaboratori a tempo parziale, dei disoccupati o dei volontari.
Nel 2015 i negozi di Caritas hanno registrato un giro d’affari complessivo di oltre 13 milioni di franchi. In un anno sono stati venduti 1,3 milioni di litri di latte, 140’000 chili di farina e 240’000 chili di zucchero.
Malgrado un successo crescente, Christoph Bossart non può dirsi soddisfatto. Ora che non deve più occuparsi della contabilità del negozio di Basilea, vede l’evoluzione da un altro punto di vista. «L’aumento del numero di negozi e del fatturato è una cattiva notizia. Sarebbe meglio non averne bisogno», afferma. L’apparizione di nuove catene di “hard discount”, osserva, è positiva. «Ben vengano offerte più a buon mercato, se queste permettono di dare una mano alla gente in difficoltà».
I numeri della povertà in Svizzera
Circa 530’000 persone in Svizzera, il 6,6% della popolazione, hanno un reddito inferiore alla soglia di povertà, secondo le stime di CaritasCollegamento esterno. La Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale situa tale soglia a 2’600 franchi per una persona sola e a 4’900 franchi per una famiglia di quattro persone (dati del 2015). Ci sono poi circa altre 500’000 persone che si trovano in una situazione finanziaria precaria, che al minimo imprevisto rischiano di ritrovarsi nell’indigenza.
I gruppi più a rischio sono le persone senza un’attività professionale o sprovviste di una formazione post-obbligatoria, i lavoratori con redditi bassi (i cosiddetti “working poor”), le famiglie con più di due bambini e le persone che crescono da sole i figli. In Svizzera, una famiglia monoparentale su sette vive nella povertà.
Da un recente rapportoCollegamento esterno dell’Ufficio federale di statistica emerge che i bambini toccati dalla povertà in Svizzera sono 73’000, ovvero uno su venti.
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