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Negoziati Svizzera – UE: impieghi in fumo?

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All'industria del tabacco svizzera sono legati migliaia di posti di lavoro. I negoziati in campo agroalimentare e sanitario con l'Unione europea potrebbero metterli a repentaglio.

Il fumo uccide. Il fumo dà lavoro. Due aspetti della stessa medaglia non sempre di facile gestione per un paese. In Svizzera, per esempio, le imposte sui pacchetti di sigarette finanziano contemporaneamente le campagne di prevenzione del tabagismo e un fondo destinato a sostenere la coltivazione di tabacco su suolo elvetico.

Per qualcuno si tratta di una contraddizione in termini, per altri è una questione di pragmatismo, un modo di far convivere politica sanitaria e politica economica. Quest’autunno – l’Ufficio federale della sanità pubblica non dà indicazioni più precise – il dilemma si ripresenterà durante il quarto ciclo di negoziati con l’Unione europea in ambito agroalimentare e sanitario.

Per quanto riguarda il tabacco, le normative comunitarie e quelle svizzere differiscono in modo sostanziale in un punto: l’UE proibisce l’esportazione di sigarette con un contenuto di catrame, nicotina e monossido di carbonio superiore ai limiti stabiliti per il mercato interno (10mg / 1mg / 10mg), la Svizzera no. Se la Confederazione dovesse adeguarsi alla regolamentazione europea, un terzo circa dell’attuale produzione di sigarette sarebbe fuori legge.

Posti di lavoro a rischio

«È chiaro che se la Svizzera dovesse riprendere l’acquis comunitario, ci chiederemmo se vale ancora la pena di produrre qui o se è il caso di chiudere completamente la nostra fabbrica di Dagmersellen e trasferirci altrove», dice Sadi Brügger di Japan Tobacco (JT).

Anche Saskia Braunholz della British American Tobacco (BAT) fa una constatazione simile: senza adattamenti della normativa, «la metà dei volumi destinati all’esportazione sarebbe trasferita in siti di produzione extraeuropei» e questo implicherebbe «una ridefinizione del ruolo della nostra fabbrica di Boncourt».

A Boncourt sono impiegate più di 500 persone e questo fa della BAT il secondo datore di lavoro del canton Giura. A Lucerna, con 400 posti circa, anche JT è tra i principali datori di lavoro. E l’altra multinazionale del tabacco, la Philip Morris nella cui fabbrica di Serrières lavorano 800 persone, è il primo contribuente del cantone e della città di Neuchâtel.

Secondo Sadi Brügger, considerando i fornitori e tutte le aziende che ruotano attorno alle tre multinazionali del tabacco, il settore impiega «circa 10’000 persone». La Segreteria di Stato dell’economia (Seco) e l’Ufficio federale della sanità pubblica non vogliono rilasciare dichiarazioni ufficiali prima dei negoziati con l’Unione europea. Un collaboratore della Seco, però, fa notare che è molto difficile stimare la reale posta in gioco; gli impieghi interessati potrebbero essere molti di meno, anche se è evidente che per le regioni interessate, la questione è delicata.

Aspetto marginale dei negoziati

In campo sanitario, i negoziati tra Svizzera e Unione europea riguardano in particolare la lotta alle malattie trasmissibili e la sicurezza alimentare. La normativa sul tabacco riveste un’importanza marginale, ma l’UE sembra poco propensa ad accordare deroghe alla linea di condotta decisa nel 2001: se certe sigarette sono ritenute nocive per i propri cittadini e la loro vendita è vietata, allora non possono essere fabbricate nemmeno se destinate all’esportazione in paesi dove sono legali.

La Svizzera, che ha rivisto l’ordinanza sul tabacco nel 2004, ha invece scelto di non decidere per gli altri. E così sul suo territorio si fabbricano sigarette che – dice Sadi Brügger – «vanno in paesi dove fumare tabacco forte è una tradizione, soprattutto in Medio Oriente, Israele, Siria e Iraq. Ad ogni modo, non esportiamo in Europa sigarette non a norma. Per dei rapporti bilaterali questo dovrebbe bastare».

Se basta, lo si vedrà al tavolo delle trattative. In gioco ci sono la partecipazione della Svizzera al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e all’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Inoltre, la Confederazione vorrebbe aderire al programma UE di sanità pubblica e a tre sistemi di allarme rapido. Un accordo in questo senso – si poteva leggere fino alla fine di settembre sul sito dell’Ufficio federale dell’integrazione – «implica un adeguamento della legislazione svizzera alla regolamentazione europea in particolar modo nel settore del tabacco, delle malattie infettive, del sangue, degli emoderivati, delle cellule e dei tessuti nonché nel campo della sicurezza alimentare e della sicurezza dei prodotti in generale». Come dire, senza adeguamento, niente accordo.

Promesse

Un qualche spazio di manovra è dato forse dal fatto che gli stessi esperti non concordano sull’affidabilità della formula 10-1-10 per descrivere i limiti oltre i quali il contenuto di catrame, nicotina e monossido di carbonio delle sigarette va considerato eccessivamente nocivo. Sadi Brügger la definisce «una formula che probabilmente è stata scelta perché facile da ricordare». A suo avviso, non ci sono le basi scientifiche per affermare che le sigarette destinate all’esportazione, il cui contenuto di catrame è di 12-14 mg, siano più dannose di quelle vendute in Europa.

L’unica scelta veramente salutare è quella di non fumare. In questo senso le campagne di lotta al tabagismo e al fumo passivo stanno dando i loro frutti: il numero di fumatori è in calo un po’ ovunque. Resta il problema di chi rischia di perdere il lavoro. E resta una promessa che le autorità svizzere forse non riusciranno a mantenere.

«Quando nel 2004 si è discussa l’ordinanza federale sul tabacco», ricorda Sadi Brügger, «noi abbiamo acconsentito ad investire in Svizzera e a creare nuovi posti di lavoro. In cambio ci è stato promesso che avremmo potuto continuare a produrre sigarette forti per l’esportazione. Mi aspetto che questa promessa venga mantenuta. Coi tempi che corrono non mi pare il caso d’indirizzare altre persone verso gli uffici di collocamento».

Che quella dei licenziamenti non sia un’ipotesi remota, lo dimostra l’esempio della Gran Bretagna e dell’Olanda, dove un paio d’anni fa la BAT ha chiuso le sue fabbriche. Produzione fermata? No, in quel caso trasferita in Svizzera.

Doris Lucini, swissinfo.ch

In Svizzera hanno una sede tre multinazionali del tabacco: Philip Morris, British American Tobacco (BAT) e Japan Tobacco (JT). Le tre imprese sono riunite nell’associazione Swiss Cigarette.

La quota di mercato svizzero di Philip Morris sfiora il 45%; la BAT segue con poco meno del 42%. JT ha una quota del 13,6% (dati 2007).

Nel 2008, hanno venduto sul mercato svizzero 12,1 miliardi di sigarette (2004: 13,8 miliardi; 2007: 11’8 miliardi).

Le sigarette esportate sono state circa 49,2 miliardi (2004: 24,4). Non ci sono dati ufficiali, ma quelle che superano i limiti fissati dall’UE dovrebbero essere poco meno della metà.

La Svizzera ha gli stessi standard europei per le sigarette vendute sul suo territorio (al massimo 10 mg catrame, 1 mg nicotina, 10 mg monossido di carbonio), ma non pone limiti per i prodotti destinati all’esportazione.

Nel 2008, le imposte sul tabacco hanno fruttato alla Confederazione 2,17 miliardi di franchi. (Dati Swiss Cigarette)

I proventi delle imposte sono utilizzati soprattutto per finanziare le assicurazioni sociali. Rappresentano il 30% circa delle entrate dell’Assicurazione vecchiaia e superstiti.

Il 60% del prezzo di vendita di un pacchetto di sigarette è dovuto a imposte. Produzione e commercializzazione sono responsabili del restante 40%.

I primi campi di tabacco sono stati coltivati nella zona di Basilea intorno al 1680. La produzione è aumentata in modo importante durante la Seconda guerra mondiale, quando l’area coltivata passò da 780 a 1’450 ettari.

Oggi al tabacco sono destinati 670 ettari, l’85% dei quali si trova nella Svizzera francese (regione della Broye e Ajoie). Sono attive nella coltivazione di tabacco 325 aziende agricole (650 persone).

Per legge, tutto il tabacco coltivato in Svizzera (fino ad una superficie di 1’000 ettari) deve essere acquistato dai fabbricanti presenti sul territorio della Confederazione. Il tabacco svizzero copre meno del 5% del fabbisogno nazionale.

La coltivazione è sostenuta attraverso un fondo alimentato da una tassa di 2,6 centesimi per pacchetto di sigarette venduto (la stessa cifra destinata alla prevenzione del tabagismo).

Attualmente sono circa 18 milioni di franchi l’anno. Il governo giustifica questa sovvenzione indiretta con la volontà di mantenere «la molteplicità dell’agricoltura svizzera» e la constatazione che la scomparsa del tabacco indigeno non contribuirebbe ad una riduzione del numero dei fumatori.

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