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Pace del lavoro o prova di forza?

In molti paesi, scioperi e azioni di protesta sembrano essere un passaggio obbligato per lanciare i negoziati tra partner sociali. La Svizzera punta invece sul dialogo all'insegna della cosiddetta "pace del lavoro". Qual è secondo voi il modello più efficace?

In Svizzera, da 75 anni a questa parte, il numero di scioperi è molto basso. Le relazioni di lavoro si basano sul dialogo tra padronato e sindacati e l’elaborazione di contratti collettivi di lavoro (CCL).

Per molti, questo modello ha contribuito al benessere materiale, alla sicurezza sociale e alla stabilità politica del paese. Ed è ormai diventato un elemento costitutivo dell’identità nazionale.

Ma questa strategia del dialogo riuscirà a rispondere alle mutazioni profonde del mondo del lavoro e dell’economia? Oppure è soltanto attraverso una prova di forza che i lavoratori possono conquistare e difendere i diritti sociali e lavorativi?

Il contratto collettivo di lavoro (CCL) è un accordo sottoscritto tra le organizzazioni a difesa dei salariati e il padronato. Stabilisce le condizioni di lavoro in un settore determinato e regola i rapporti reciprochi tra partner sociali.

Un CCL contiene disposizioni normative, in particolare sui salari e il tempo di lavoro, così come disposizioni contrattuali relative ai diritti e ai doveri dei due partner, come ad esempio il rispetto della pace del lavoro.

  

Di fatto, soltanto un salariato su due in Svizzera è coperto da un CCL. A titolo di paragone, questa proporzione è di 2 su 3 in Germania, 4 su 5 in Italia e in Austria sfiora la totalità dei lavoratori.

  

L’altra metà dei salariati sottostà esclusivamente alle norme del diritto del lavoro, che in Svizzera sono sviluppate rispetto alla maggior parte dei paesi europei.

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