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Turchia: una vittoria elettorale pagata a caro prezzo

Le elezioni generali in Turchia riconfermano in carica per altri cinque anni Recep Tayyip Erdogan, che disporrà anche di una maggioranza in Parlamento. La stampa svizzera si preoccupa per la concentrazione di potere nelle mani del presidente turco, che imprime sempre più il suo sigillo autoritario al paese. 

“Dopo 16 anni al potere, Recep Tayyip Erdogan prosegue sulla sua via vincente, mentre, l’opposizione deve accontentarsi ancora una volta della sensazione di aver preso parte allo scrutinio. Questa volta con una campagna elettorale più potente e creativa di quanto non si sia visto in Turchia da molto tempo. Ma ciò non è bastato per un cambio di potere”, osservano il Tages-Anzeiger e il Bund, per i quali si è comunque trattato di “una campagna elettorale con possibilità molto disuguali. L’AKP del Presidente Erdogan controlla quasi tutti i canali televisivi e persino i più grandi giornali turchi sono ora vicini al governo”. 

In Turchia vi è una maggioranza conservatrice che continua ad avere fiducia nell’uomo forte del paese, notano ancora i due giornali. Vi è una classe media conservatrice “che vive meglio oggi, rispetto a prima dell’ascesa al potere di Erdogan, che è cresciuta con lui e che rappresenta la sua clientela più fedele”. 

Il servizio della Radiotelevisione svizzera:

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Ma vi sono molti altri “che hanno preferito lasciare il paese o portare il loro denaro all’estero, per salvare la loro testa o il loro capitale”, ricordano il Tages-Anzeiger e il Bund. “Sono persone che non vogliono veder crescere i loro figli e le loro figlie in un paese, in cui possono essere arrestati durante una manifestazione di studenti e sparire poi per sempre nelle prigioni. E sono anche imprenditori che non vogliono vivere in un paese, in cui lo Stato di diritto funziona solo in modo limitato, perché anche i giudici temono il governo”. 

A detta dei due quotidiani, “l’incertezza continuerà, i capitali e le menti continueranno a fuggire. Il declino della lira turca non è solo dovuto a fattori interni, ma le condizioni politiche svolgono un ruolo importante nella fiducia in una moneta. Questa situazione ha già spinto molte imprese sull’orlo della solvibilità. Anche lo Stato ha vissuto al di là dei propri mezzi, ha distribuito denaro a mani piene per soddisfare gli elettori. Questa vittoria elettorale è stata pagata a caro prezzo. La generosità non può continuare, sta portando la Turchia in una crisi del debito”. 

Democratura turca 

“Da due anni la Turchia è governata in uno stato di emergenza, non vi è più una separazione funzionante dei poteri e i mezzi di comunicazione sono sintonizzati al 90% sulla stessa frequenza. La democrazia, che è sempre stata deficitaria, è degenerata sotto Erdogan in una democratura”, rileva la Neue Zürcher Zeitung. 

Tuttavia, “una cosa è chiara: sebbene queste elezioni siano state, molto probabilmente, manipolate su larga scala e sebbene si siano moltiplicate le segnalazioni di irregolarità, intimidazioni e attacchi agli osservatori elettorali, milioni di turchi hanno votato a favore di Erdogan”, sottolinea il foglio zurighese. “In lui continuano a vedere il loro ‘leader forte’ che ha permesso loro di progredire socialmente, che condivide i loro bisogni religiosi, che parla la loro lingua. La politica turca è sempre stata incentrata sull’identità, sull’appartenenza e sull’esclusione, sul ‘noi’ contro ‘gli altri’, un gioco che nessuno, così come Erdogan, padroneggia”. 

“Ma cosa succederà ora?”, si chiede ancora la Neue Zürcher Zeitung. “I suoi avversari dovranno adattarsi al fatto che l’era di Erdogan è ben lungi dall’essere finita. Il presidente turco ha affermato molto tempo fa di non voler rinunciare al potere. Erdogan dovrà affrontare immediatamente la difficile situazione economica, dovrà ridurre notevolmente la spesa pubblica e tenere sotto controllo la crisi del debito. Vi sono segni di disordini sociali. E poi scoprirà che anche l’estrema concentrazione di potere non porta la pace”. 

Mano di ferro 

“Nulla è servito. Né i rapporti di Amnesty International che criticano il suo paese, né l’alleanza dei suoi oppositori. Se i risultati comunicati ieri sera sono confermati (nonostante le denunce di frode elettorale), Recep Tayyip Erdogan sarà riuscito a vincere il suo colpo di poker. Vale a dire, far approvare ancora una volta dalle urne un cambiamento di regime del paese”, osserva La Liberté. “In concreto, si trattava di ratificare la transizione verso un sistema segnato dal sigillo dell’autoritarismo, in cui la maggior parte del potere è ormai concentrata nelle mani di un uomo forte. Un presidente impassibile, con una mano di ferro, sicuro del suo ruolo quasi messianico per il mondo musulmano”. 

“Di fronte alle democrazie rese impotenti dalle loro divisioni – lo si vede ora, in modo caricaturale, sulla questione dell’immigrazione in Europa – la Turchia di Erdogan vuole mostrare un’altra via. Quella di una leadership ‘à la Poutine’, dove le sembianze democratiche mascherano sempre meno la messa in riga delle libertà individuali o politiche”, aggiunge il giornale friburghese. 

Per La Liberté rimane però una domanda importante: “Erdogan non mette a repentaglio le fondamenta dello Stato ereditate da Atatürk, immaginandosi infallibile? Meno di cinque anni prima delle celebrazioni del centenario della repubblica kemalista, il ‘Reïs’ prepara la Turchia del futuro manipolando, senza scrupoli, un’identità culturale e una storia nazionale a volte solo sognata”. 

Deriva autoritaria 

Il risultato di domenica sera “conferma la concentrazione di potere e la deriva autoritaria degli ultimi anni”, ritiene anche Le Temps. “Recep Tayyip Erdogan ha ora la possibilità di sfruttare appieno il regime presidenziale che si era tagliato su misura e che una ristretta maggioranza di turchi (51,4%) ha approvato con referendum nell’aprile 2017. Questo regime, che entrerà in vigore lunedì, conferisce al presidente prerogative senza precedenti nella storia della Repubblica”. 

“Il capo dello Stato diventa l’unico capo dell’esecutivo”, prosegue il quotidiano romando. “Può nominare e destituire i suoi ministri e vicepresidenti, governare per decreto, sciogliere il parlamento, che non ha alcun controllo su di esso ed è addirittura privato del diritto di proporre il bilancio. Il presidente turco può anche decidere, da solo, di dichiarare lo stato di emergenza quasi ogniqualvolta lo ritenga opportuno”.

L’analisi dell’inviato della RSI ad Ankara Alessandro Chiara:

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