Era il 10 luglio 1976 quando nella fabbrica dell’ICMESA – in mano al gruppo svizzero Givaudan – scoppiò la valvola di un reattore, lasciando fuoriuscire una nube tossica che devastò Seveso e altri villaggi della Brianza. Circa 200 persone, soprattutto bambini, furono contaminati dalla diossina. Molti di loro portano ancora oggi sul volto i segni della tragedia.
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swissinfo.ch e RSI
A Seveso la vera dimensione dell’accaduto si manifestò soltanto alcuni giorni dopo. I primi casi di intossicazione vennero segnalati il 15 luglio, quando gli arrossamenti sulla pelle cominciarono a trasformarsi in piaghe.
Si dovette però attendere fino al 26 luglio prima che la zona più colpita fosse evacuata: 736 persone dovettero lasciare le loro abitazioni, molte case vennero rase al suolo, e 80’000 animali morirono o furono abbattuti.
Ancora oggi non si sa esattamente quanta diossina sia stata dispersa nell’ambiente: le stime vanno dai 2 ai 18 chili.
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Sul fronte giudiziario, la Givaudan (allora di proprietà della Roche) – difesa da uno stuolo di avvocati – non venne intaccata oltre misura. Complessivamente dovette versare circa 300 milioni di franchi, in particolare ai comuni, alla Regione Lombardia e allo Stato italiano.
Due dirigenti della Givaudan frono condannati a pene sospese condizionalmente. A detta di molti, però, i due erano soprattutto delle pedine, sacrificate per non inquietare i vertici della multinazionale.
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