“È inconcepibile gestire il sistema sanitario con soli professionisti svizzeri”
Grazie agli accordi bilaterali tra Berna e Bruxelles, Salvatore Stagnitta è potuto venire facilmente in Svizzera dove ha trovato lavoro come infermiere. Un incontro con un cittadino italiano perfettamente integrato nel cantone di Vaud, che ritiene che l'accettazione da parte della popolazione dell'iniziativa "per un'immigrazione moderata" il 27 settembre sarebbe catastrofica per il sistema sanitario svizzero.
“Il cantone di Vaud con il suo lago e le sue spiagge mi ricorda il mare”, dice Salvatore Stagnitta, sorridendo, mentre sorseggia un’acqua tonica al limone in un piccolo caffè nel centro di Vevey. L’infermiere è cresciuto in Sicilia e ha completato la sua formazione di base in Italia: una laurea triennale in infermieristica seguita da un Master in gestione della salute.
“Ho fatto un concorso nel Nord Italia dove 15’000 infermieri hanno fatto domanda per circa 15 posti”.
Ma quando ha cominciato a cercare un lavoro, Stagnitta si è scontrato con un muro: “Ci sono pochissimi posti disponibili, perché alcuni ospedali più piccoli hanno chiuso e l’età della pensione è stata posticipata. Ho fatto un concorso nel Nord Italia dove 15’000 infermieri hanno fatto domanda per circa 15 posti”. Il giovane infermiere si iscrive ai concorsi, fa qualche mese di lavoro non retribuito, poi decide di emigrare per poter finalmente esercitare la professione.
Grazie all’accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’Unione Europea (UE), Salvatore Stagnitta può facilmente raggiungere la sua ragazza in Svizzera e rimanervi per tre mesi mentre cerca un lavoro. Quando arriva nel gennaio 2015, decide di iniziare con i corsi intensivi di francese.
“Come infermiere, è importante essere in grado di comunicare bene. Volevo quindi imparare il vocabolario specifico per l’assistenza infermieristica e anche il linguaggio quotidiano”, spiega. Mentre risiede nella parte orientale cantone di Vaud, si reca ogni giorno a Losanna per i corsi di lingua e invia quasi trecento curriculum vitae. È invitato a una decina di colloqui e alla fine ha ottiene un posto di infermiere psichiatrico nel cantone di Neuchâtel, dove inizia a lavorare in aprile.
Un investimento
“L’inizio è sempre un po’ più difficile, perché se hai bisogno di un indirizzo in Svizzera, devi conoscere qualcuno”, dice Salvatore Stagnitta. “Hai molte meno possibilità di trovare un lavoro se invii un CV da un indirizzo straniero. E poi bisogna imparare la lingua, sistemarsi, cambiare le proprie abitudini, stare lontano dalla famiglia e dagli amici…”.
E occorre far fronte al costo della vita molto più elevato in Svizzera rispetto ai Paesi vicini. “È comunque un investimento. I mesi trascorsi in Svizzera alla ricerca di un lavoro costano molto”, sottolinea il siciliano.
La panemia di Covid-19 ha meso particolarmente in risalto la dipendenza del sistema sanitario svizzero dall’estero. Una delle priorità del governo è stata quella di negoziare con i paesi limitrofi un lasciapassare di frontiera per i frontalieri, al fine di evitare una catastrofe sanitaria. In Ticino, ad esempio, dei quasi 70’000 lavoratori che ogni giorno attraversano la frontiera, oltre 4’000 sono attivi nel settore sanitario.
Fin dal suo arrivo in Svizzera, l’infermiere vive per lo più nel cantone di Vaud, una regione che gli piace particolarmente. Nel 2016, per evitare di fare il pendolare, cerca un lavoro più vicino a casa e si unisce alla Fondation de Nant di Vevey, dove ora è a capo di un’unità di assistenza.
“Se chiudiamo le porte sarà un disastro, perché c’è molto personale straniero”.
“Sono stato in grado di raggiungere i miei obiettivi professionali, di continuare a formarmi e di progredire abbastanza rapidamente. Ho anche imparato una lingua. Onestamente, mi sento bene”, confida. “Qui i datori di lavoro usano il CV come base per i colloqui e per le decisioni di assunzione del personale. Non devi fare concorsi e prove per diversi mesi come in Italia. Alla fine, sono le competenze che contano per ottenere un lavoro”.
Appena inizia a lavorare, si sente il benvenuto e ha il sostegno dei suoi colleghi. “Ho anche fatto in modo di integrarmi bene in Svizzera, perché il mio obiettivo era di rimanere qui”, dice Salvatore Stagnitta. “Mi sono sempre impegnato molto nel mio lavoro e i datori di lavoro hanno riconosciuto il mio impegno e le mie capacità.”
Carenza di personale infermieristico
Salvatore Stagnitta è anche membro del comitato della sezione vodese dell’Associazione Svizzera Infermieri (ASICollegamento esterno) e si adopera per una migliore valorizzazione di questa professione. Egli osserva che la Svizzera deve far fronte a una carenza di personale infermieristico perché i compiti e gli orari sono impegnativi, gli stipendi sono bassi e il lavoro è poco riconosciuto. Per questi motivi, lui e altri professionisti della salute sono impegnati nell’iniziativa popolare “per cure infermieristiche fortiCollegamento esterno“.
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In questo contesto di carenza di personale infermieristico, Salvatore Stagnitta osserva che le istituzioni sanitarie svizzere hanno bisogno di assumere molti collaboratori stranieri, non solo infermieri ma anche altri professionisti della salute. “Se chiudiamo le porte, come richiesto dall’iniziativa popolare ‘per un’immigrazione moderata’, sarà un disastro, perché c’è molto personale straniero”, osserva l’infermiere. “Attualmente è impensabile gestire il sistema sanitario solo con professionisti svizzeri formati in Svizzera”.
Salvatore Stagnitta è in Svizzera da quasi sei anni e sta per ottenere il permesso di domicilio C. Non pensa di essere direttamente coinvolto se il 27 settembre la popolazione voterà “sì” all’iniziativa ‘per un’immigrazione moderata’. “Ma per le persone qualificate sarà più difficile entrare in Svizzera”, prevede. “Questo impedirà ad altre persone ben preparate, che possono dare un grande contributo a questa professione e alla Svizzera in generale, di venire e di seguire la mia stessa strada”.
L’infermiere italiano dice che se le condizioni per entrare in Svizzera diventeranno più dure, le persone qualificate andranno a lavorare altrove. “Per quanto ne so, dei miei colleghi universitari, solo io e la mia ragazza siamo in Svizzera su 160 persone. La maggior parte di loro è emigrata in Inghilterra, alcuni in Germania e il resto è rimasto in Italia”.
Traduzione dal francese: Andrea Tognina
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