Crisi climatica, una minaccia per i diritti umani?
L'azione giudiziaria intentata da un'associazione svizzera presso la Corte europea dei diritti umani potrebbe creare un precedente in Europa e nel mondo. Un gruppo di anziane accusa la Svizzera di portare avanti una politica climatica che viola il loro diritto alla vita.
“Sappiamo da tempo che la crisi climatica va affrontata con urgenza, ma non abbiamo fatto nulla. Se il politico non svolge il suo lavoro, allora deve intervenire la giustizia. In gioco ci sono i diritti fondamentali alla vita e alla salute”, afferma a swissinfo Anne Mahrer, copresidente dell’associazione svizzera ‘Anziane per il clima’.
La donna, 72 anni, è rientrata a fine ottobre da Strasburgo, dove “con grande emozione e molte speranze” ha presentato una serie di rivendicazioni di fronte all’edificio della Corte europea dei diritti umani (CEDU). Un atto simbolico, che accompagna però un’azione decisa e concreta: la denuncia delle negligenze della Svizzera in materia di protezione del clima presso l’alta istanza giuridica internazionale.
Perseguendo un obiettivo climatico insufficiente, la Svizzera viola il diritto alla vita sancito dalla Costituzione federale e dalla Convenzione europea dei diritti umani, sostiene Mahrer, che in quanto donna in età avanzata si sente particolarmente minacciata dal riscaldamento globale. “Non si tratta di un’azione egoistica. Se vinciamo, tutti vincono”, afferma.
Per capire come l’anziana si è ritrovata di fronte alla CEDU di Strasburgo è necessario tornare indietro di alcuni anni, e più precisamente al 24 giugno 2015, data in cui è stata proclamata una sentenza definita “rivoluzionaria”.
L’esempio dell’Olanda
“Ero parlamentare a Berna e si discuteva della nuova legge sul CO2 e di come non ci fossero passi in avanti in materia di politica climatica”, ricorda Anne Mahrer, ex deputata ecologista alla Camera del popolo. “L’ispirazione ci è venuta dall’Olanda”.
Mahrer fa riferimento alla decisione del Tribunale distrettuale dell’Aia, che accogliendo le istanze di un gruppo di 886 cittadini sostenuto dalla fondazione ambientalista Urgenda ha imposto al governo olandese di impegnarsi maggiormente nella riduzione delle emissioni di CO2. Era la prima volta che un tribunale obbligava uno Stato a rispettare degli accordi internazionali sul clima. Una sentenza poi confermataCollegamento esterno nel dicembre 2019 dalla Corte suprema olandese.
“L’Olanda è direttamente minacciata dall’innalzamento del livello del mare, un problema che qui in Svizzera ovviamente non abbiamo. Ma il nostro Paese e le Alpi sono anch’essi particolarmente colpiti. I ghiacciai si stanno sciogliendo e il disgelo del permafrost aumenta il rischio di frane, ciò che costituisce una minaccia per i villaggi e le popolazioni di montagna”, sostiene Anne Mahrer.
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Nell’agosto 2016, con l’aiuto di Greenpeace, in Svizzera viene così fondata l’associazione Anziane per il climaCollegamento esterno. “In Svizzera non è possibile portare avanti un’azione collettiva [class action]. Abbiamo quindi creato un’associazione che riunisse le persone più vulnerabili al cambiamento climatico e in particolare alle ondate di calore”, spiega Mahrer.
Donne più colpite degli uomini
Come indica l’Ufficio federale della sanità pubblica, gli individui maggiormente colpiti dalle ondate di calore sono le persone di oltre 65 anni. Durante la canicola dell’estate 2003 (975 decessi prematuri in Svizzera, oltre 70’000 in Europa), la mortalità in questa categoria della popolazione è fortemente aumentata.
Secondo degli studi citatiCollegamento esterno dall’Organizzazione mondiale della sanità, le donne sono più vulnerabili degli uomini.
L’associazione di Anne Mahrer è consapevole che anche gli uomini in età avanzata, le persone malate e i bambini soffrono a causa delle canicole e degli effetti del riscaldamento globale. Il fatto di focalizzarsi sulle donne anziane, e quindi su un gruppo ben specifico, accresce però le possibilità di successo a livello legale, “il che andrà a beneficio di tutti”, puntualizza.
Richieste respinte
Le anziane per il clima non perdono tempo e un paio di mesi dopo l’assemblea costitutiva presentano ufficialmente la loro richiesta alle autorità federali: entro il 2020, la Svizzera deve ridurre le sue emissioni di almeno il 25%, invece del 20% stabilito dal governo, e assumersi impegni più ambiziosi per il 2030. In caso contrario, avvertono, l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 2°C non sarà raggiunto, ciò che metterebbe in pericolo la salute e la vita delle donne in età avanzata.
“Se il politico non svolge il suo lavoro, allora deve intervenire la giustizia.”
Anna Mahrer, Anziane per il clima
Il Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (DATEC) decide non entrare nel merito della domanda delle richiedenti, che fanno ricorso presso il Tribunale amministrativo federale (TAF).
Un ricorso però respinto dal TAF, per il quale le ultrasessantacinquenni non sono l’unico gruppo demografico a essere toccato dalle conseguenze del cambiamento climatico. Le anziane non si danno per vinte e si rivolgono al Tribunale federale.
“La giustizia deve intervenire”
Ma anche dalla più alta istanza giuridica in Svizzera giunge una risposta negativa, sebbene per altri motivi. Secondo i giudici, l’obiettivo dei 2°C è lontano e non è quindi ancora possibile affermare che non sarà raggiunto. In sostanza, è troppo presto per fare sì che la giustizia si occupi del problema.
Inoltre, sostiene il TF, richieste del genere non devono essere trattate per via giudiziaria, ma tramite gli strumenti politici e democratici.
“Ci siamo rivolti al popolo più di una volta con numerose iniziative. L’ultima in ordine di tempo è quella sui ghiacciai [che nei prossimi anni verrà sottoposta a voto popolare, ndr]. Ma a un certo punto, se la politica non fa il suo lavoro e se reagisce alle iniziative con dei controprogetti edulcorati, tocca alla giustizia intervenire”, afferma Anne Mahrer.
Purtroppo, prosegue, i giudici in Svizzera non hanno avuto il coraggio di affrontare la questione di fondo, ovvero il rispetto dei diritti fondamentali in ambito climatico. “È per questo che siamo andate a Strasburgo”.
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L’associazione svizzera, che riunisce circa 1’700 donne in età di pensionamento, è tra i primi a portare alla CEDU la problematica dei diritti umani e dell’ambiente. Non è però l’unica a rivolgersi a un tribunale.
Azioni giudiziarie in tutto il mondo
“I tribunali sono un luogo sempre più importante per affrontare il problema del cambiamento climatico”, osserva Hari M. Osofsky, decana della Penn State Law School of International Affairs, citata dall’agenzia di stampa ReutersCollegamento esterno. Se una ventina di anni fa le cause legali sul clima erano appena una decina in tutto il mondo, oggi sono 1’600, di cui 1’200 solo negli Stati Uniti.
Sulla scia del caso olandese, sono state intraprese azioni giudiziarie contro i governi nazionali in Canada, Colombia, Germania, Francia, Belgio, Gran Bretagna, Norvegia, Nuova Zelanda, India, Messico, solo per citarne alcuni.
A fine luglio, la Corte suprema irlandese ha ordinato al governo di rivedere la sua politica climatica, giudicata insufficiente. Più di recente, il 19 novembre, il Consiglio di Stato ha impostoCollegamento esterno un ultimatum al governo di Parigi, concedendogli tre mesi per dimostrare che la traiettoria di riduzione delle emissioni (-40% entro il 2030) potrà essere rispettata.
“Bisogna rafforzare la capacità dei tribunali internazionali di pronunciare decisioni in materia di ambiente.”
Seraina Petersen, FORAUS
“In generale, ognuno agisce nel quadro della propria legislazione nazionale. Formiamo però una grande rete mondiale”, rileva Anna Mahrer.
Analogamente all’associazione svizzera Anziane per il clima, un gruppo di giovani attivisti portoghesi si è rivolto alla CEDU di Strasburgo, dove ha presentato una denuncia climatica nei confronti di 33 Paesi, tra cui la SvizzeraCollegamento esterno. Gli Stati sono accusati di “minare il diritto di stare all’aperto e di vivere senza ansia” a causa delle loro emissioni. La Corte ha annunciato il 1° dicembre che tratterà il caso.
“La maggior parte degli accordi sul clima e l’ambiente non sono ancora sufficienti per lottare contro i problemi ambientali più imminenti e urgenti, osserva Seraina Petersen, codirettrice del Programma ‘Diplomazia e Attori internazionali’ del Forum svizzero di politica estera (FORAUS). Lo Stato di diritto ambientale va consolidato e per farlo “bisogna rafforzare la capacità dei tribunali internazionali di pronunciare decisioni in materia di ambiente, la chiarezza e la portata dei principi giuridici, così come il rispetto e l’attuazione delle decisioni”, scriveCollegamento esterno.
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Un precedente in Europa e nel mondo
Nell’attesa che la CEDU si pronunci sull’ammissibilità del ricorso e giunga eventualmente a un verdetto – ciò che potrebbe richiedere alcuni anni -, Anne Mahrer si dice fiduciosa. “La Corte sembra prendere sempre più sul serio la relazione tra la protezione del clima e i diritti umani. Anche l’Alta Commissaria ONU per i diritti umani ha affermatoCollegamento esterno che il cambiamento climatico rappresenta una minaccia per i diritti umani e che gli Stati devono proteggere la loro popolazione”, sottolinea la copresidente dell’associazione.
Georg Klinger, specialista di clima presso Greenpeace Svizzera, sostiene che ci sono molte probabilità che l’azione giudiziaria svizzera venga trattata dalla CEDU, ciò che creerebbe “un precedente in Europa e nel mondo”.
Una considerazione condivisa da Rainer J. Schweizer, professore di diritto pubblico all’Università di San Gallo. Sebbene di solito la CEDU respinga la stragrande maggioranza delle richieste, ha dichiaratoCollegamento esterno alla radio svizzera di lingua tedesca SRF, il caso svizzero è “di tale importanza fondamentale per l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione europea dei diritti umani che la CEDU potrebbe benissimo occuparsi della questione”.
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