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Freddo e paura nelle montagne d’Abruzzo

Nelle zone colpite dal terremoto si lotta contra il freddo, la pioggia e la paura di nuove scosse. Keystone

Nella zona dell'Aquila, devastata dal terremoto del 6 aprile, la terra continua a tremare. Il freddo e la paura di nuove scosse mettono a dura prova il morale delle persone sopravvissute, poiché molte località si trovano a mille metri d'altezza. Reportage da Ovindoli.

La neve che da sempre attira turisti e sciatori, la neve che ha portato il benessere, gli alberghetti, le seconde case dei romani, gli impianti sciistici, la stessa neve adesso è il nemico. Fa freddo a Ovindoli, 800 anime e 1400 metri sulle montagne d’Abruzzo, uno dei villaggi più alti tra quelli che il terremoto ha colpito nella sua bizzarra e crudele traiettoria.

“Stufette, non altre coperte, solo stufette da campo, e al più presto”, grida al telefonino Pino Angelosanto, giovane sindaco, anche lui sfollato tra i concittadini che, tutti, vivono fuori dalle proprie case.

L’emergenza ora si è spostata quassù, sui paesini del Velino, sull’altopiano che snocciola anche Rocca di Mezzo, Fontecchio, Faina e altri centri incollati ai piedi delle alture.

“A Ovindoli abbiamo abitazioni lesionate, soprattutto attorno alla vecchia chiesa, l’edificio più danneggiato; spero che le verifiche di agibilità comincino al più presto, ma per noi in queste ore l’urgenza è affrontare il gran freddo, perché durante la notte il termometro arriva anche a meno cinque. E poco fa ho ricordato agli amici della Protezione civile che l’ultima nevicata dello scorso anno fu a fine maggio”.

Il grande freddo

Il gran freddo, e la paura. Anzi “il terrore”, come titola a tutta pagina il giornale locale “Il Centro”, anche se qui ci sono stati feriti leggeri, ma nessun morto. La terra continua infatti a tremare. Durante la notte l’ultima scossa è stata vicinissima al quinto grado della scala Richter, la quarta per violenza da quando il terremoto ha spezzato la vita di queste vallate. Certo, nulla di paragonabile all’Aquila, a Onna, a Paganica.

Nel centro storico ci sono calcinacci, e case che sicuramente avranno bisogno di interventi di rafforzamento. Ma non vediamo cumuli di macerie, palazzi collassati, tetti sfondati dalla furia del grande sisma.

“Adesso il problema è di farsi coraggio, di infondere coraggio. Sono molto preoccupato per il futuro. Qui, durante l’estate, e soprattutto d’inverno, il turismo gonfiava il paese, gli abitanti diventavano tre o quattro volte di più, ci sono tante seconde case, soprattutto di romani. Ma chi se la sentirà di venire ancora? Il vero modo di aiutarci sarà di tornare in vacanza a Ovindoli”.

Il difficile distacco

Nella tendopoli hanno già aperto un “municipio da campo”, dentro un container, gente che fa la fila per iscrivere la propria casa alle ispezioni che ne dovranno certificare l’abitabilità.

L’altro ieri il campo è diventato un pantano, la pioggia intensa e fredda ha messo in difficoltà gli sfollati, certe tende sono state sostituite perché rivelatesi non sufficientemente impermeabili.

Arriva un’auto, a bordo una giovane coppia, e una bambina di cinque mesi. “Meglio l’auto, almeno possiamo accendere il motore e avere un po’ di caldo. Ma ormai ci siamo arresi, nel pomeriggio andremo da amici che ci ospiteranno a Sulmona”.

Nel centro storico di Ovindoli, le scene sono quelle già viste nelle città grandi e piccole del dopo-terremoto. Famiglie che si avvicinano con cautela alle loro abitazioni. Entra una sola persona, torna con qualche vestito, si riavvia verso la propria automobile, o verso la tendopoli che sta all’entrata del paese.

“Sì, per entrare nella mia casa devo proprio farmi un gran coraggio; e di notte non entrerei mai”, ci dice un capo famiglia. Per il sindaco Angelosanto tutti vivono ancora nel ricordo della notte del terrore: “Il problema è che andò via anche la corrente elettrica, vagavamo nel buio, bussavamo a tutte le porte, preoccupati soprattutto di tirar fuori gli anziani”.

“Non mi muovo dalla mia casa”

I vigili del fuoco chiamano il sindaco. C’è da fare un controllo nella banca del paese. Si teme che l’ultima scossa abbia aperto fessure, e che dalla cantina si possa facilmente penetrare nell’edificio. Li accompagna il direttore Adolfo Colagrande. Qui lo chiamano tutti e solo per nome.

Evidentemente, nello sviluppo un po’ disordinato ma vitale del paese, il ruolo della banca è stato importante. “Ma non possiamo riaprire – conferma dopo il sopralluogo -, i vigili del fuoco ci dicono che tutta una parte dell’edificio non è affatto sicura”.

Tornando nel centro storico troviamo l’unico abitante di Ovindoli che ha deciso di non muoversi più dalla sua casa.

“Ci ho provato a stare nella tenda, ma ho trascorso solo notti in bianco. Del resto come si fa a passare il resto della vita là sotto? Per me è impossibile. Quando arriva la scossa esco, aspetto, e rientro. La casa tiene”.

“Ci vogliamo ancora più bene”

Di tanto in tanto i vicoli sono attraversati da famiglie salite da Roma, un paio d’ore d’auto al massimo. Anche loro a controllare cosa è rimasto della loro casa di vacanza. Se ne vanno quasi sempre sollevati. La casa è ancora in piedi, e, quel che più conta, loro hanno la fortuna di non doversi sistemare in una tenda.

Gli anziani più bisognosi di assistenza li hanno sistemati in un capannone, al caldo. Ce ne sono una ventina. Qui si tenevano le feste di paese, e c’è anche un bar. Stranamente aperto.

“Non ho paura, ma se dovesse accadere qualcosa sa qual è il problema mio e di mia moglie? È che non abbiamo gambe per scappare, perché le gambe le abbiamo malate e ferme da tempo”.

Ma quelli di Ovindoli sono anziani tosti. Ne incontriamo due, entrambi ultraottantenni, marito e moglie che girano per il campo nella loro auto davvero piccolissima. Ci vivono dentro da nove giorni e nove notti. “Ci siamo voluti bene per tutta la vita. E sa cosa ci ha fatto capire il terremoto? Che possiamo volerci ancora più bene”.

swissinfo, Aldo Sofia, Ovindoli

Ora che tutti gli sfollati hanno trovato un ricovero sicuro nelle tendopoli, le nuove emergenze nelle zone terremotate dell’Aquila e dintorni sono diventate il freddo e la paura di nuove scosse.

Lo sciame sismico non si placa: ben 10mila le scosse registrate in questi sette giorni, alcune delle quali con una magnitudo sempre molto vicina al 3.0, con punte fino al 5.6.

Il personale della protezione civile e i volontari hanno dovuto accelerare le operazioni di completamento delle tendopoli con la fornitura di tutte le attrezzature che le rendano sufficientemente autonome.

Secondo le cifre fornite dall’ambasciata d’Italia a Berna, in Svizzera vivono circa 24mila abruzzesi.

Un decimo (2’860 persone) risiede in Ticino. Circa 150 famiglie provengono dalla provincia dell’Aquila.

Nella zona dell’Aquila sono registrati 104 svizzeri.

Le offerte possono essere effettuate sul conto postale della Catena della solidarietà 10-15000-6 con l’annotazione «Terremoto Italia», oppure direttamente via internet.

swissinfo.ch

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