Il progetto della diga di Ilisu va ritirato
La costruzione di una centrale idroelettrica in Turchia è sempre più contestata in Svizzera. Si rinnovano così gli appelli al Governo perché ritiri il sostegno finanziario concesso alle ditte elvetiche coinvolte nel progetto.
Nel marzo 2007, il governo svizzero ha deciso di sostenere le quattro ditte impegnate nella costruzione della diga di Ilisu con un’assicurazione di 225 milioni di franchi contro i rischi d’esportazione per le forniture e i servizi ingegneristici. Al finanziamento del progetto, vincolato a precise condizioni, partecipano anche Austria e Germania.
La Turchia è però accusata dalle organizzazioni non governative e da alcuni parlamentari di non rispettare gli standard internazionali a livello di ambiente, insediamenti e beni culturali. E questo malgrado i numerosi appelli lanciati negli ultimi anni.
Di fronte alle crescenti critiche, nel corso della sessione di autunno delle Camere federali la ministra dell’economia Doris Leuthard ha garantito ai parlamentari che il governo svizzero è pienamente cosciente delle lacune della Turchia in questo campo.
La Leuthard ha poi descritto in grandi linee la procedura per un eventuale ritiro della Svizzera dal progetto, senza però precisare a che condizioni potrebbe essere portata avanti.
“Se i requisiti stabiliti non saranno rispettati, le tre assicurazioni di copertura dei rischi all’esportazione potranno prendere dei provvedimenti contro il contraente, secondo i termini del contratto. Quale ultima opzione, l’accordo può dunque essere sciolto”.
Sta comunque agli enti preposti, ha ricordato la consigliera federale, far rapporto sull’evoluzione del progetto e iniziare la procedura per una sospensione dei crediti indispensabili per la costruzione della diga. Una misura estrema, che finora non è mai stata applicata.
Altri sviluppi
Assicurazione contro i rischi dell’esportazione (ASRE)
Pressioni dal mondo politico
L’attuale situazione di stallo in Turchia fa comunque ben sperare, secondo la consigliera nazionale Marlies Bänziger, che invita le autorità svizzere a cogliere la palla al balzo varando misure concrete.
“La Svizzera rischia davvero di perdere credibilità se non si ritirerà per tempo dal progetto. Se il governo non prenderà le misure adeguate, farò pressione perché la società di assicurazione contro i rischi all’esportazione venga privatizzata”, ammonisce la rappresentante dei Verdi. Un’iniziativa simile da parte dello stato ha senso unicamente se la Confederazione può imporre alle ditte coinvolte il rispetto di determinati criteri sociali, ecologici e culturali.
Dello stesso parere anche la socialista Silvia Schenker, che invita il governo ad informare la Turchia dell’intenzione di ritirarsi dal progetto. È importante che la Svizzera getti la spugna prima dell’inizio dei lavori di costruzioni sulla diga dell’Ilisu, sul fiume Tigris, previsto a inizio ottobre.
Le autorità turche abbiano avuto più di due anni per adempiere agli oltre 150 criteri necessari per garantirsi l’investimento estero di oltre 530 milioni di franchi. Un lasso di tempo più che sufficiente, secondo le deputate rosso-verdi.
Relazioni bilaterali a rischio
Un passo indietro da parte della Svizzera potrebbe avere pesanti implicazioni politiche ed economiche e destabilizzare i rapporti con Ankara.
Le relazioni tra i due paesi si erano già incrinate nel 2003, quando il Consiglio nazionale (camera bassa), e alcuni parlamenti cantonali, avevano riconosciuto il massacro degli armeni del 1915 come genocidio.
Da notare, comunque, che secondo indiscrezioni le delegazioni di Ankara e Yerevan si sarebbero incontrate il mese scorso proprio a Berna, per tentare di normalizzare le relazioni tra i due paesi. Una notizia che non trova però conferma ufficiale presso il Dipartimento federale degli affari esteri.
Per rafforzare il legame tra la Svizzera e la Turchia, in particolare in ambito energetico, ambientale e migratorio, a novembre è prevista una vista ad Ankara del presidente della Confederazione Pascal Couchepin e della collega di governo Doris Leuthard.
“Dalle parole ai fatti”
L’ONG svizzera “Dichiarazione di Berna” attende con impazienza un’azione concreta da parte della Confederazione. “È da diverse settimane ormai che le autorità elvetiche hanno promesso di fare il necessario per lanciare il terzo e ultimo avvertimento”, ha commentato la portavoce Christine Eberlein.
Non solo critiche però all’indirizzo del governo svizzero. “Bisogna riconoscergli il merito di aver provato fino all’ultimo a convincere la Turchia a rispettare le convenzioni internazionali”, ammette Eberlein.
Stando all’ONG, il rapporto degli esperti indipendenti – presentato a inizio settembre – rileva una situazione davvero devastante per la regione toccata dall’impianto di Ilisu. Senza contare che in Turchia non è ancora stata istituita una commissione ad hoc incaricata di porre rimedio a queste falle. Per sensibilizzare la comunità internazionale e le stesse autorità locali, nei prossimi giorni sono in programma numerose azioni di protesta nella regione di Batman.
Se la costruzione della diga dovesse iniziare nel mese di ottobre come previsto, oltre 65’000 persone si ritroverebbero in una situazione di estrema precarietà, precisa Christine Eberlein. A destare preoccupazione, inoltre, il rischio di una repressione della popolazione curda in Turchia, così come l’acuirsi delle tensioni con Iraq e Siria.
swissinfo, Urs Geiser
(Traduzione e adattamento di Stefania Summermatter)
La diga di Ilisu fa parte di un ampio progetto idroelettrico avviato dal governo turco nel 1991. È prevista la costruzione di 22 dighe e 19 centrali elettriche sui fiumi Tigri e Eufrate.
L’impianto di Ilisu sarà alto 135 metri e largo 1’820 metri. Creerà un bacino di 10,4 miliardi di metri cubi.
Secondo le ONG, la costruzione della diga provocherà lo sfollamento di oltre 60’000 persone, in maggioranza curde.
Quattro compagnie svizzere – Alstom, Colenco, Maggia e Stucky – fanno parte di un consorzio internazionale.
Il governo svizzero ha garantito loro un’assicurazione definitiva di 225 milioni di franchi contro i rischi all’esportazione per le forniture e i servizi ingegneristici.
Un precedente consorzio è fallito nel 2002 in seguito alle proteste di associazioni ambientaliste e gruppi di pressione.
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