L’acqua non basta a garantire la pace
Per prevenire i conflitti legati all'utilizzo delle risorse idriche non ci vuole soltanto più acqua. Bisogna anche intervenire a livello istituzionale e politico.
È quanto emerso dalla conferenza annuale dell’istituto di ricerca elvetico swisspeace, che si è chinato sulla gestione pacifica dell’acqua in un mondo in pieno mutamento.
L’emergenza di conflitti violenti nelle regioni aride e semi-aride del pianeta, laddove l’acqua rappresenta un bene sempre più prezioso, è spesso collegata alla riduzione della disponibilità delle risorse idriche. Il riscaldamento globale – e l’annunciato aumento dei periodi di siccità – non può quindi che esacerbare le tensioni.
Invocare i cambiamenti climatici come causa prima dell’instabilità in alcune aree dell’Africa, dell’America latina o dell’Asia è tuttavia errato. «Il legame tra il degrado ambientale e i conflitti non è sempre diretto e chiaro, come invece siamo portati a pensare», osserva il professor Simon Dalby, dell’Istituto di geografia e studi ambientali dell’Università canadese di Carlton.
«Alcuni ricercatori – aggiunge – si sono persino chiesti se tale correlazione esista veramente».
Più acqua, ma non solo
Per swisspeace, i conflitti relativi all’impiego delle risorse (i cosiddetti “conflitti ambientali”) sono innanzitutto di natura politica. La constatazione – emersa durante la conferenza annuale di metà novembre – si basa su indagini condotte tra il 2001 e il 2005 nel quadro del Polo di ricerca nazionale Nord Sud (NCCR).
«Non basta aumentare la disponibilità di acqua – rileva Christine Bichsel, ricercatrice e consulente presso l’NCCC, presentando i risultati del suo lavoro in Asia centrale – bisogna pure migliorare le relazioni tra le comunità».
Analizzando la situazione della valle di Fergana in Kirghizistan – un contesto reso difficile non soltanto dalla scarsità d’acqua, ma anche dalla trasformazione dell’agricoltura (da collettiva a individuale) che ha fatto seguito alla caduta del sistema sovietico – Bichsel è giunta alla conclusione che per risolvere questo conflitto sono necessarie, in primo luogo, delle modifiche a livello istituzionale.
«Vanno considerate le ragioni sociali e culturali degli agricoltori, così come il complicato quadro politico e normativo che regola l’accesso alle risorse», spiega la ricercatrice. «Ovviamente, le infrastrutture idriche sono anch’esse da migliorare».
Risolvere i problemi parlando
Anche nell’Africa subsahariana si sta tentando di risolvere le controversie su terra e acqua tra pastori nomadi e agricoltori sedentari con un approccio che coinvolge le istituzioni.
Sulla scia del processo di decentralizzazione in atto, la responsabilità del rifornimento idrico in Mali è stata ad esempio trasferita a nuove entità: i quadri di concertazione comunali.
«Si tratta di strumenti di mediazione che raggruppano sia i capi tradizionali, sia coloro che solitamente non hanno diritto alla parola: i giovani e le donne», dice a swissinfo Claire Fischer di Helvetas, l’associazione svizzera che ha lanciato il programma (Ascolta l’audio).
«La possibilità di esprimersi e di scambiarsi informazioni all’interno di questo luogo di dibattito – prosegue Fischer – crea inoltre nuove dinamiche di sviluppo».
Intensificare la cooperazione
Oltre a numerosi esperti svizzeri ed internazionali, all’incontro annuale di swisspeace ha partecipato anche l’ambasciatore elvetico alle Nazioni Unite, Peter Maurer, il quale è giunto da New York con notizie poco rallegranti.
«All’ONU si parla di ambiente e di prevenzione dei conflitti (peacebuilding), ma i due temi sono affrontati separatamente. Il legame tra i due non trova consenso a livello politico», afferma. «Ho l’impressione di essere passato dall’età della pietra al XXI secolo», commenta Maurer, paragonando i dibattiti intrapresi all’interno delle Nazioni Unite e quelli intavolati da swisspeace.
Secondo Maurer, codirettore di un gruppo di lavoro creato dall’Assemblea generale dell’ONU per esaminare i problemi legati all’ambiente, si deve intensificare la cooperazione tra le istituzioni che lavorano sul terreno.
«Un passo, questo, al quale può contribuire anche la Svizzera, sostenendo progetti pionieristici e promuovendo il dibattito».
Avvicinare ricerca e politica
Parlare di degrado delle risorse, di conflitti ambientali e del rafforzamento della pace, mettendoli nello stesso calderone per formulare proposte d’intervento, risulta un’impresa complessa. Le situazioni specifiche – e quindi le soluzioni da proporre – variano considerevolmente.
Se in alcune zone le tensioni sono alimentate dalla scarsità d’acqua, in altre sono al contrario accentuate dall’abbondanza. E mentre in Mali si interviene decentralizzando, in Bolivia – che qualche anno fa ha vissuto “la guerra dell’acqua” di Cochabamba – si è riportato il controllo dell’approvvigionamento idrico nelle mani dello Stato.
Le conoscenze scientifiche e la collaborazione tra ricercatori e istanze decisionali vanno infine migliorate. «Dobbiamo colmare il fossato tra ricerca e politica – osserva Cristina Hoyos, responsabile della sezione Prevenzione e Superamento dei Conflitti presso la Direzione per lo sviluppo e la cooperazione – altrimenti si resta ad un livello troppo teorico, quando invece sul terreno bisogna essere operativi».
swissinfo, Luigi Jorio
L’istituto di ricerca swisspeace ha sede a Berna ed è stato creato nel 1988 con lo scopo di promuovere gli studi indipendenti sulla pace e l’analisi dei conflitti.
I suoi membri, una quarantina, studiano le cause all’origine di guerre e di conflitti violenti, sviluppano strumenti per un’individuazione precoce delle tensioni e formulano strategie per ridurre i conflitti e promuovere la pace.
swisspeace collabora frequentemente con il Dipartimento federale degli affari esteri e con il Fondo nazionale della ricerca scientifica.
La coesistenza pacifica tra i popoli è uno degli obiettivi della politica estera della Svizzera.
Con sapere specifico e metodologico, nonché con contributi finanziari, segnala il Dipartimento federale degli affari esteri, la Confederazione sostiene i processi politico-diplomatici e della società civile che mirano ad una risoluzione pacifica dei conflitti.
Per attenuare le tensioni, la Confederazione invia esperti sul posto, promuove programmi di gestione civile dei conflitti (come ad esempio in Guatemala o in Sri Lanka), propone delle iniziative diplomatiche tematiche e intrattiene una rete di partenariati con varie organizzazioni internazionali.
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