La fascia pluviale si sposta verso nord
La zona della Terra con le più abbondanti precipitazioni, situata vicino all'equatore, si sta lentamente spostando verso nord. Un moto iniziato oltre 300 anni fa, dimostrato ora da un gruppo internazionale di ricerca, di cui fa parte il Politecnico federale di Zurigo.
Se questo spostamento dovesse continuare, potrebbero esserci gravi ripercussioni socio-economiche nelle aree in questione, che contano circa un miliardo di abitanti. In gran parte di esse, infatti, l’approvvigionamento di acqua dolce dipende esclusivamente dalle precipitazioni, perché sono prive di falda acquifera.
I risultati della ricerca sono pubblicati nel numero di luglio della rivista specializzata Nature Geoscience. Gli studiosi hanno calcolato che la cosiddetta zona di convergenza intertropicale (internazionalmente nota come ITCZ) negli ultimi tre secoli, in media, si è spostata verso nord di 1,4 chilometri all’anno.
Nella ITCZ, che si trova poco più a nord dell’equatore, gli alisei provenienti dall’emisfero settentrionale e da quello meridionale entrano in collisione, mentre nell’atmosfera si riversa il calore del sole tropicale. Un fenomeno che provoca una concentrazione di precipitazioni con picchi che possono superare i quattro metri di acqua all’anno.
Il gruppo di scienziati ha focalizzato le ricerche nell’area del Pacifico centrale – in una cintura che da est a ovest va dalle isole Galapagos a quelle di Palau – dove la ITCZ si allunga fra i 3 e i 10 gradi a nord dell’equatore a seconda dei periodi dell’anno. I ricercatori hanno così scoperto qualcosa di sorprendente.
“Qualche secolo fa, all’epoca della Piccola era glaciale – quando i ghiacciai alpini erano nettamente più vasti – questa fascia pluviale nel Pacifico si trovava molto più a sud di oggi”, spiega a swissinfo.ch Rienk Smittenberg del Politecnico di Zurigo, coautore dello studio. “Da allora la fascia si è spostata in direzione nord”. Secondo i calcoli dei ricercatori, lo spostamento è di più di di 500 chilometri.
La chiave della ricerca nelle molecole
Il gruppo di scienziati è arrivato a queste conclusioni dopo avere analizzato i sedimenti depositati nei laghi e nelle lagune di quattro isole dell’Oceano Pacifico. Smittenberg è un geochimico organico, vale a dire che esamina i composti organici – alghe, piante, batteri – presenti nei sedimenti. I processi organici “registrano la vita delle piante in modo simile ai fossili per i dinosauri, ma su scala molecolare. Ci forniscono molte informazioni”, spiega lo scienziato.
Grazie a questi “fossili molecolari” e alle analisi chimiche, il gruppo di ricercatori è riuscito a determinare dove il clima era umido o secco nei secoli scorsi. Nella minuscola Isola di Washington, a sud delle Hawaii, che oggi riceve piogge abbondanti ed è ricoperta da una foresta tropicale, il cambiamento è evidente. Smittenberg ha analizzato campioni di acqua lacustre.
A un metro di profondità il sedimento si è improvvisamente trasformato da residui di vegetazione tropicale e alghe in residui batterici. “Sono esattamente gli stessi fenomeni che si riscontrano abitualmente all’Isola di Natale (Australia), situata a 300 chilometri a sud, che è arida”, osserva il ricercatore del Politecnico di Zurigo.
“Ulteriori test hanno provato che il lago in passato è stato ipersalino. Ha ospitato specie microbiche che tollerano il sale al posto del lago di acqua dolce che attualmente occupa l’isola tropicale. Lì abbiamo assistito ad un netto mutamento”.
Al contrario, i ricercatori hanno trovato prove evidenti di come le isole Galapagos (Ecuador), più a sud, – dove ora c’è un clima arido – durante la Piccola era glaciale fossero molto più umide.
L’enigma delle cause
Le cause dello spostamento verso nord dell’ITCZ sono attualmente al centro di discussioni, indica Smittenberg. Ciò dev’essere legato alla quantità di radiazione solare o di calore che riceve la Terra, prosegue lo scienziato. Durante la Piccola era glaciale (1400-1850) il nostro pianeta riceveva una minore quantità di radiazione solare. Si suppone che ciò possa avere causato la chiusura dell’ITCZ verso l’equatore finché la radiazione è cresciuta.
Scienziati dell’università di Washington a Seattle, negli Stati Uniti, stanno ora valutando cosa potrebbe succedere in futuro. Julian Sachs, professore associato di oceanografia nell’ateneo di Seattle che fa parte del gruppo di ricerca, afferma che se la migrazione di 1,4 chilometri all’anno continuasse, “la zona di convergenza intertropicale arriverebbe a 126 chilometri a nord dalla posizione attuale nella seconda metà di questo secolo”.
Ciò significherebbe che isole del Pacifico attualmente caratterizzate da abbondanti precipitazioni diventerebbero aride nel giro di alcuni decenni e viceversa, zone secche diventerebbero umide. Se ciò si avverasse, le conseguenze sarebbero particolarmente drammatiche per quelle popolazioni per le quali le precipitazioni rappresentano l’unica fonte di acqua dolce.
Peraltro, i ricercatori temono che il riscaldamento globale possa accelerare il fenomeno. Precisano che quanto hanno scoperto fa supporre che “l’aumento dei gas a effetto serra potrebbe potenziare lo spostamento della fascia primaria delle precipitazioni nei tropici, con profonde implicazioni per le società e le economie che dipendono da esse”.
Isobel Leybold-Johnson, swissinfo.ch
(Traduzione dall’inglese: Sonia Fenazzi)
Lo studio è stato condotto da sei ricercatori interdisciplinari di quattro paesi: Rienk Smittenberg del Politecnico federale di Zurigo, Julian Sachs e David Battisti dell’univeristà di Washington di Seattle (USA), Stjepko Golubic dell’università di Boston (USA), Dirk Sachse dell’università di Potsdam (Germania) e Zhaohui Zhang dell’università di Nanjing (Cina).
Le ricerche sono state condotte nelle isole di Palau, Washington, Natale e Galapagos, nell’Oceano Pacifico.
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