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La savana ammalata non canta più

I climatologi prevedono per l'Africa subsahariana un aumento dei periodi di siccità Keystone

L'inquinamento ambientale, le malattie un tempo sconosciute e gli sconvolgimenti climatici sono solo alcune delle calamità annunciate che stanno mettendo in ginocchio l'Africa occidentale.

Seppur a piccoli passi, i programmi di coltivazione biologica dell’associazione svizzera Helvetas tentano d’invertire la tendenza in paesi come il Mali o il Burkina Faso. Reportage.

Ancor prima del sorgere del sole, i rapaci sono già in volo per la caccia mattutina. A bordo della jeep, Pierluigi Agnelli chiude il pugno e tende il braccio verso il parabrezza. «È una credenza locale: così facendo si evita che il vetro dell’auto si frantumi in mille pezzi se gli uccelli ci sbattono contro».

Non è la prima volta che il direttore del programma di Helvetas in Burkina Faso e il suo autista Arsène ripetono il gesto scaramantico. I grossi volatili non sono rari, lungo la carreggiata che dall’arido sahel maliano porta verso le più verdi colline burkinesi.

Una strada che il 40enne toscano conosce bene: due giorni prima l’ha percorsa in senso opposto, partendo dal suo ufficio di Ougadougou per recarsi ad un meeting organizzato nel vicino Mali dall’associazione svizzera per la cooperazione internazionale.

«Lo scopo dell’incontro era di fare il punto sul progetto di cotone biologico ed equo solidale nell’Africa occidentale, lanciato da Helvetas nel 2002», spiega Agnelli. «È stata un’occasione unica per mettere tutti gli attori della filiera uno di fronte all’altro: dai produttori del Sud agli acquirenti del Nord».

Il silenzio della pernice

«La produzione di cotone convenzionale ha un impatto negativo sull’ambiente», rileva Agnelli, in Africa da una quindicina d’anni.

«L’uso di prodotti chimici tossici, i dosaggi e le precauzioni non rispettate hanno portato ad una contaminazione del suolo e delle falde acquifere», prosegue. Nonostante il cotone occupi soltanto il 3% delle superfici coltivate del pianeta, la sua produzione assorbe un quarto dei pesticidi venduti nel mondo. «Un inquinamento che poi compromette la salute pubblica».

Nei polverosi villaggi di terra battuta e paglia che spezzano la monotonia del paesaggio del sud del Mali, i casi d’intossicazione sono numerosi. L’Organizzazione mondiale della sanità stima a 3 milioni il numero di persone che ogni anno si ammala a causa dei pesticidi del cotone.

A Faragouaran, poco distante dal confine con la Guinea, il capo villaggio si ricorda di almeno due morti. Nella comunità locale sono apparse malattie che all’epoca della produzione senza pesticidi non esistevano. Al contrario, i canti degli animali che una quindicina di anni fa s’innalzavano dalla savana, come quello della pernice, non si odono più.

Un granello di sabbia nel deserto

Sebbene il cotone biologico e fair trade si stia diffondendo rapidamente (l’offerta non soddisfa la domanda), la produzione ecologica rimane per ora un granello di sabbia nel deserto. Meno dell’1% delle coltivazioni è stato riconvertito.

Nel frattempo, le multinazionali dell’industria chimica sono passate al livello superiore. L’Africa, lontana dalle rivendicazioni ambientaliste del mondo industrializzato, è il terreno ideale per testare nuove tecnologie.

«Alcune grosse ditte hanno già introdotto piante geneticamente modificate a titolo sperimentale», indica Agnelli. «Facile farlo qui, dove le norme di sicurezza sono difficili da applicare e controllare e dove la gente, per la maggior parte analfabeta, non conosce ancora la differenza tra “biologico” e “biotecnologie”».

Piogge sballate

Poco prima della frontiera tra Mali e Burkina, l’asfalto è bagnato da una fine pioggerella. Paradossalmente, una spruzzata tutt’altro che benefica.

«Queste precipitazioni fuori stagione rovinano i prodotti esposti ad essiccare. Anche la qualità del cotone ne risente», osserva il collaboratore di Helvetas.

Che con il clima qualcosa non va, i contadini della regione ne hanno avuto la prova nell’estate del 2007. Le piogge sono arrivate in ritardo, posticipando la semina. In seguito ci sono state inondazioni e poi lunghi periodi di siccità. Una catastrofe per un’agricoltura dipendente dalle precipitazioni: per il cotone si contano già perdite del 30%.

«Purtroppo non abbiamo il controllo dell’acqua come in altri paesi e di fronte al problema non abbiamo soluzioni», hanno constatato gli abitanti di Faragouaran.

L’applicazione di misure di risparmio e di protezione delle risorse idriche, prevista dalla coltivazione biologica, potrebbe rappresentare un primo passo nella giusta direzione.

Jatropha nel motore

Se all’Africa manca l’acqua, il Mali (tra i paesi più poveri al mondo) detiene invece un prodotto che interessa al Nord. Si chiama jatropha, ed è un’erba infestante apparentemente senza valore. Eppure da un ettaro di questa pianta si può ricavare parecchio combustibile, tanto quanto da altre fonti di biocombustibili, come il granoturco.

«Con Helvetas stiamo studiando da vicino questa possibilità», dice a swissinfo Pierluigi Agnelli. «Prima di promuovere questa coltura dobbiamo però assicurarci che la produzione agricola e la sicurezza alimentare siano garantite».

Uno dei nostri obiettivi – aggiunge – è anche lo sviluppo sostenibile di una produzione ortofrutticola locale (mango, sesamo, anacardi, pomodori…), in modo da promuovere il mercato locale e il commercio internazionale.

Piccoli progetti, quelli sostenuti dalla Svizzera, ma dal grande potenziale. D’altronde, fa notare Agnelli, la cooperazione elvetica gode di buona fama da queste parti. «Il lavoro degli svizzeri è apprezzato siccome è affrontato con serietà, dalla pianificazione alla realizzazione».

swissinfo, Luigi Jorio, di ritorno dal Mali

La cooperazione svizzera concentra la sua attività nell’Africa occidentale in cinque paesi prioritari: Mali, Niger, Burkina Faso, Benin e Ciad.

Il budget della Direzione dello sviluppo e della cooperazione in questa zona del mondo è di circa 60 milioni di franchi all’anno.

Le quattro sfere d’intervento principali sono i sistemi agro-silvo-pastorali (produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti in sintonia con l’ambiente), le piccole e medie imprese e l’artigianato, i servizi comunitari (salute, educazione di base) e i sistemi istituzionali (creazione di comunità decentralizzate che operano su una base democratica).

Se l’attuale tendenza sarà mantenuta, avvertono i ricercatori, le piogge nell’Africa subsahariana si ridurranno del 10 per cento entro il 2050. Un calo che comporterà una forte penuria di acqua potabile per decine di milioni di persone.

Secondo alcune previsioni, entro il 2020 i coltivatori raccoglieranno soltanto il 50% della produzione attuale.

I cambiamenti climatici comporteranno inoltre un aumento del flusso di migranti e contribuieranno alla propagazione di malattie (ad esempio il paludismo).

swissinfo.ch

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