Le ong contestano la “giusta quota” che la Svizzera paga per il clima
Gli aiuti finanziari ai Paesi in via di sviluppo sono al centro del vertice sul clima COP29. La Svizzera sta pagando più della sua “giusta quota”, secondo una recente analisi internazionale. Greenpeace e Alliance Sud sono però di parere diverso.
Quando si tratta di aiutare i Paesi poveri ad affrontare la crisi climatica, la Svizzera fa più di quello che dovrebbe. È la conclusione a cui giunge una recente analisiCollegamento esterno dell’Overseas Developement Institute (ODI), un think tank con sede a Londra che si occupa di sviluppo internazionale e questioni umanitarie.
L’Accordo di Parigi sul clima stabilisce che i Paesi industrializzati devono stanziare 100 miliardi di dollari all’anno per la lotta contro i cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo. La Svizzera è una delle dodici nazioni (su 23) che hanno contribuito con un importo pari o superiore alla loro “giusta quota” (fair share), secondo l’ODI.
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Il concetto di fair share si riferisce alla proporzione equa e responsabile del contributo finanziario globale che ogni Paese industrializzato dovrebbe mettere a disposizione di quelli in via di sviluppo per aiutarli ad adattarsi al riscaldamento climatico e ad abbandonare le energie fossili.
La giusta quota si basa principalmente su due principi chiave: la responsabilità storica, ovvero le emissioni cumulative di gas serra, e la capacità economica. L’Accordo di Parigi non fissa alcuna quota nazionale e ogni Paese è libero di decidere l’importo che ritiene giusto.
Tuttavia, le organizzazioni ambientaliste e per la protezione del clima accusano i Paesi ricchi di non aver raggiunto la loro giusta quota. Inoltre, sostengono che l’attuale obiettivo finanziario è insufficiente per rispondere alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo.
>> Leggi: Finanza climatica: che ne è della solidarietà internazionale?
L’Accordo di Parigi è un trattato internazionale sul clima che mira a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli registrati alla fine del XIX secolo, quando l’impiego di combustibili fossili iniziò a provocare un riscaldamento significativo del pianeta.
Per avere una possibilità di raggiungere questo obiettivo ed evitare le conseguenze peggiori del cambiamento climatico, gli scienziati e le scienziate concordano che è necessario dimezzare o quasi le emissioni globali entro il 2030, e raggiungere un bilancio delle emissioni nette pari a zero intorno alla metà del secolo.
Chi ha pagato la giusta quota per il clima?
Norvegia e Francia sono stati finora i Paesi più generosi. Nel 2022, il loro contributo all’obiettivo dei 100 miliardi di dollari è stato più del doppio rispetto alla loro giusta quota, secondo l’ODI. Svizzera, Germania e Giappone sono tra le nazioni che hanno messo a disposizione un importo superiore alla loro fair share.
L’ODI ritiene che la giusta quota della Svizzera sia di 930 milioni di dollari all’anno (circa 814 milioni di franchi). Il contributo elvetico nel 2022 è stato di 1,33 miliardi di dollari (1,16 miliardi di franchi).
Al contrario, diversi Paesi industrializzati tra cui l’Italia, la Gran Bretagna e la Spagna non hanno raggiunto la loro quota. In fondo alla classifica troviamo Grecia e Stati Uniti: nel 2022 hanno fornito circa un terzo di quello che avrebbero dovuto.
Gli Stati Uniti sono il Paese che ha stanziato l’importo maggiore, oltre 14 miliardi di dollari. Ma come evidenzia l’analisi indipendente, avrebbero dovuto metterne a disposizione il triplo considerati il loro reddito nazionale lordo, le emissioni e la popolazione.
Cifre del finanziamento per il clima “ampiamente superiori” a quelle ufficiali
Le cifre dell’ODI vanno interpretate con cautela. Come sottolinea il think tank, molti Paesi forniscono una parte sostanziale dei loro finanziamenti internazionali per il clima sottoforma di prestiti. Questi fanno però aumentare il debito pubblico dello Stato ricevente. Secondo un rapportoCollegamento esterno del 2023 della ong britannica Oxfam, i prestiti costituiscono circa i tre quarti di questi finanziamenti.
Se si contabilizzassero soltanto gli aiuti diretti – che a differenza dei prestiti non vanno restituiti – i progressi verso il raggiungimento della giusta quota “sarebbero nettamente inferiori”, puntualizza l’ODI.
Nella sua analisi, l’ODI tiene conto anche dei finanziamenti climatici erogati dalle Banche Multilaterali di Sviluppo (BMS) – delle istituzioni sovranazionali create dagli Stati sovrani che ne sono azionisti – e attribuisce questi importi ai Paesi industrializzati membri, sulla base della loro partecipazione al capitale o del loro diritto di voto.
Questi dati sono “ampiamente superiori alle cifre ufficiali della Svizzera”, afferma Laurent Matile di Alliance Sud, un gruppo di ong che si occupano di cooperazione internazionale e aiuto allo sviluppo.
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Le ong chiedono di raddoppiare il contributo della Svizzera
Il Governo elvetico ha decisoCollegamento esterno che la giusta quota nazionale deve essere compresa tra i 450 e i 600 milioni di dollari all’anno (circa 400-532 milioni di franchi al cambio attuale). Il calcolo tiene conto delle emissioni generate nel Paese.
Nel 2023, la Svizzera ha stanziato circa 546 milioni di franchi da fonti pubbliche e circa 301 milioni da fonti private, indica l’Ufficio federale dell’ambiente. I 546 milioni provengono soprattutto dal bilancio annuale della cooperazione internazionale allo sviluppo. Le ong criticano però questo sistema.
“Il Governo svizzero deve proporre nuove fonti di finanziamento basate sul principio ‘chi inquina paga’”, afferma Matile. Questo significa che chi provoca un danno ambientale, in questo caso la crisi climatica, ne è responsabile e deve farsi carico dei costi.
“Il Governo nazionale ha finora minimizzato la responsabilità della Confederazione nella crisi climatica.”
Georg Klingler, Greenpeace Svizzera
Alliance Sud chiede di raddoppiare il finanziamento pubblico ad almeno un miliardo di dollari all’anno. Matile sostiene che questo importo corrisponderebbe alla reale impronta climatica globale della Svizzera. Terrebbe conto non solo delle emissioni nazionali, ma anche di quelle legate alle importazioni.
Le emissioni generate all’estero da beni importati in Svizzera sono oltre il doppio, in valore pro capite, di quelle sul territorio elvetico, indicaCollegamento esterno l’Ufam.
Per Georg Klingler, esperto di questioni climatiche presso Greenpeace Svizzera, “il Governo nazionale ha finora minimizzato la responsabilità della Confederazione nella crisi climatica”. Anche lui è dell’avviso che la giusta quota della Svizzera dovrebbe essere di un miliardo di dollari all’anno. Questi soldi, aggiunge, devono essere mobilitati senza intaccare i fondi destinati alla cooperazione internazionale.
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Disaccordi sul futuro finanziamento per il clima nei Paesi in via di sviluppo
Gli aiuti finanziari ai Paesi più poveri e a quelli più vulnerabili al riscaldamento globale sono al centro della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP29) in corso a Baku, in Azerbaijan. Rappresentanti di circa 200 Paesi, Svizzera inclusa, devono adottare un nuovo obiettivo di finanziamento per il clima (Nuovo obiettivo quantificato collettivoCollegamento esterno) per il periodo post 2025.
Gli Stati industrializzati riconoscono che 100 miliardi di dollari all’anno non bastano a soddisfare le esigenze dei Paesi in via di sviluppo. Tuttavia, l’importo del futuro contributo internazionale e le modalità di questo finanziamento sono oggetto di controversie.
>> La Svizzera propone di estendere la base dei Paesi donatori. Questo articolo spiega perché anche la Cina e la Russia dovrebbero partecipare al finanziamento climatico nei Paesi più poveri.
Le organizzazioni riunite nel Climate Action Network, così come numerosi Paesi in via di sviluppo tra cui l’India e gli Stati del Golfo Persico, chiedono un finanziamento pubblico complessivo di almeno 1’000 miliardi di dollariCollegamento esterno all’anno.
La Svizzera deve contribuire nella misura dell’1%, ovvero con dieci miliardi dollari all’anno, sostiene Klinger. L’1% deriva dalla forza economica della Svizzera in quanto il prodotto interno lordo elvetico (PIL) rappresenta circa l’1% del PIL mondiale, spiega Klingler. A titolo di paragone, la Confederazione ha speso circa sette miliardi di franchi per la sicurezza e la difesa nel 2023.
Considerando le tensioni che stanno caratterizzando i negoziati alla COP29, è difficile ipotizzare quale sarà l’impegno della Svizzera. Ma per Laurent Matile una cosa è certa: il contributo svizzero “dovrà aumentare in modo massiccio”.
A cura di Sabrina Weiss
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