La bambola dei pastori, vittime e carnefici sulle Alpi
Dagli altari alla polvere e ritorno (forse): la travagliata storia di Michael Steiner e del suo film «Sennentuntschi» è un capitolo emblematico di cinema svizzero. La pellicola s'ispira al racconto di un'aberrazione sessuale diffuso nell'arco alpino.
Tre pastori isolati su un alpeggio si fabbricano una bambola per sfogare le loro pulsioni. La bambola si trasforma in donna e dopo essere stata ripetutamente violentata uccide i pastori, li scuoia e li impaglia, trasformandoli a loro volta in pupazzi.
Sennentuntschi, presentato in anteprima al Festival del film di Zurigo, una trama ce l’ha, eccome. Ma anche la storia della sua realizzazione potrebbe fornire spunti interessanti per una sceneggiatura, così come la carriera del suo regista, Michael Steiner, che a 41 anni ha già conosciuto splendore, miseria e rinascita. Il tutto con accenti e ritmi decisamente poco svizzeri.
Zurighese, autodidatta, appassionato di film di serie B, Steiner aveva 27 anni quando ha presentato il suo primo lungometraggio, realizzato senza sovvenzioni, al Festival di Locarno. A Die Nacht der Gaukler (1997) è seguita la consacrazione con Il mio nome è Eugen (2005) e Grounding (2006), dedicato al fallimento della compagnia aerea Swissair.
Nicolas Bideau, capo della sezione Cinema dell’Ufficio federale della cultura (carica che lascerà a fine 2010), cita spesso gli ultimi due come esempi perfetti della sua idea di cinema «popolare e di qualità».
Svizzera / Austria 2010
Regia: Michael Steiner
Durata: 110 minuti
Lingua: svizzero-tedesco
Sceneggiatura: Michael Sauter, Michael Steiner, Stephanie Yapp
Fotografia: Pascal Walder
Cast: Carlos Leal, Roxane Mesquida, Joel Basman, Nicholas Ofczarek
Uscita nelle sale della Svizzera tedesca: 15 ottobre 2010.
Poi arriva
Sennentuntschi
, un progetto che a detta dello stesso Steiner sembra essere stregato. Le riprese cominciano nel 2008. Il budget è di 5,5 milioni di franchi, ma la società di produzione del regista è già fortemente indebitata. In novembre, le riprese sono terminate, ma il buco nelle casse è tale che la società dichiara fallimento.
Accuse, indiscrezioni e rimproveri
A questo punto, i media passano al setaccio la vita privata di Michael Steiner, mettono in piazza i suoi problemi, gli lanciano rimproveri di ogni tipo che finiscono per nuocere anche a Bideau, uno dei suoi più fervidi sostenitori. Il capo della sezione Cinema si ritrova al centro delle critiche per aver promosso film in base alla loro presunta capacità di conquistare un ampio pubblico, sottraendo così fondi al cinema d’essai.
Ora, pochi mesi prima dell’addio definitivo di Bideau alla sezione Cinema dell’Ufficio federale della cultura, Michael Steiner risorge. Il suo film è stato salvato da coproduttori austriaci e da un finanziatore basilese, che ha messo a disposizione del progetto 3,4 milioni di franchi. In un qualche modo, Sennentuntschi segna contemporaneamente la fine e l’inizio di una stagione di cinema svizzero.
Dimensione Kampusch
Al momento della proiezione del suo film al Festival di Zurigo, Michael Steiner era raggiante, quasi assaporasse il dolce gusto della rivincita. C’era molta attesa per Sennentuntschi, ma come spesso accade in questi casi, le reazioni di pubblico e critica non sono state unanimi: c’è chi ha apprezzato la fotografia e il montaggio poco convenzionali, chi è stato urtato dalla crudezza delle scene di violenza, chi è rimasto affascinato dal lato maledetto della vicenda, chi ha sentito la mancanza di una conduzione più chiara del racconto.
Uno dei protagonisti, il cantante e attore Carlos Leal, ha ammesso di non essere ancora sicuro di amare questo film. Si è però lanciato in un’accorata difesa dei registi svizzeri: anche loro hanno il diritto di fare cinema di genere, «non solo gli americani». Proprio per questo, Leal è «molto fiero» di essere nel cast di Sennentuntschi.
Se Leal usa il termine di «genere» è perché Steiner – che si avvale di un’estetica da videoclip ancora più marcata che in Grounding – fa l’occhiolino all’horror, pur essendo consapevole che certe scene, certi primi piani, non sono cibo per tutti e rischiano di turbare molti spettatori.
Il regista ha inoltre deciso di calcare la mano, aggiungendo al tema della bambola umana che si vendica anche una «dimensione Kampusch» (la ragazza austriaca rapita e tenuta prigioniera da Josef Fritzl): anche la protagonista del film è stata maltrattata per anni da un prete, che la teneva segregata in un nascondiglio sotto la chiesa.
Michael Steiner afferma di aver voluto realizzare un western alpino, «con un villaggio bizzarro, abitanti bizzarri e un eroe alla John Wayne». Resta da chiedersi dove sia John Wayne in un film spesso inverosimile, indigesto e ripetitivo, che riserva una sola sorpresa nel finale, laddove parla della vera natura della fuggitiva, un fantasma che ritorna, una vittima o un’assassina.
Sesta edizione, 23 settembre – 3 ottobre 2010: in cartellone una sessantina di film e numerosi cortometraggi. È la seconda rassegna cinematografica della Svizzera per importanza, dopo il Festival del film di Locarno.
Concorso: Le tre categorie principali del Festival – “Competizione internazionale del film”, “Competizione germanofona del film” e “Competizione internazionale del documentario” – presentano la prima, la seconda o la terza opera di giovani registi.
Retrospettiva: è dedicata al regista Milos Forman.
Tappeto rosso: il regista americano Oliver Stone e gli attori Denny DeVito (che ritira un premio assegnato a Michael Douglas), Frank Langella e Johanna Wokalek. Nel 2009, il tappeto rosso del Festival di Zurigo costò un lungo periodo di detenzione al regista Roman Polanski.
Finanziamento: la rassegna zurighese può contare su un budget di 4,1 milioni di franchi (3,8 nel 2009), di cui l’80% circa è frutto di diversi partenariati. Confederazione, cantoni e comune contribuiscono soltanto per il 7%.
Traduzione e adattamento, Doris Lucini
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