Ai vertici dell’Accademia con l’architettura nel cuore
Da settembre nuovo direttore dell'Accademia di architettura di Mendrisio, il grigionese Valentin Bearth ha da sempre un rapporto privilegiato con il Sud e con la cultura latina.
Nell’ateneo svizzero italiano, dove dal Duemila insegna progettazione, Bearth ha trovato quell’impronta umanistica indispensabile anche alla professione dell’architetto.
Alto, due occhi blu delicatamente nascosti dietro gli occhiali, mani fini e dita lunghe come quelle dei pianisti, Valentin Bearth ci accoglie senza l’orologio in mano. E risponde, con pazienza e assoluto “aplomb”, anche alle domande più strambe o più ingenue di chi, per professione, è più vicino alle parole che agli schizzi a matita, a cui nessun architetto rinuncerebbe mai.
swissinfo: Presentantandosi alla stampa, lei ha iniziato quasi subito con questa affermazione: al centro dell’architettura c’è l’uomo. Un omaggio all’impronta umanistica dell’Accademia di Mendrisio?
Valentin Bearth: Con questa mia affermazione, al di là della dimensione umanistica, ho voluto in realtà ricordare un fatto molto semplice. Quando l’uomo primitivo è uscito dalle caverne, la prima cosa che ha dovuto costruire per proteggersi è stato un tetto sorretto da quattro pali. Sono poi variate le modalità di costruzione, a dipendenza delle condizioni, delle situazioni e delle culture.
L’architettura ha dunque sempre avuto la funzione di adattarsi ai bisogni dell’essere umano. E alle necessità pratiche si è sempre affiancato il bisogno di esprimersi. Ecco dunque che la costruzione di una casa crea anche identità.
swissinfo: Alle nostre latitudini, l’architetto interviene in uno spazio ampiamente costruito. Quali le sfide di queste nuove condizioni operative?
V.B.: L’architetto deve essere sempre in grado di dare delle risposte alle esigenze, nuove e vecchie, delle persone in un determinato spazio. È chiaro che lo spazio attuale è radicalmente mutato rispetto a prima: è aumentato il traffico, sono cambiate le dimensioni, le distanze. Siamo noi i primi ad usare i nuovi mezzi di trasporto per spostarci, vicino o lontano; ma alla fine la persona si confronta e si misura sempre con i propri mezzi: le gambe. Lo spazio è fatto anche, e soprattutto, per essere percorso a piedi.
Benché possa stupire chi non è della professione, per l’architetto intervenire in uno spazio già costruito rappresenta una grande sfida e spesso deve far prova di maggiore creatività e progettualità. Paradossalmente la mancanza di libertà, come quella offerta per esempio da uno spazio quasi vergine, è stimolante.
Bisogna anche intendersi su una cosa: quando si dice che il Ticino, o la Svizzera, è uno spazio costruito, non significa che questa condizione sia per sempre immutabile. Siamo in realtà confrontati con un costante processo di trasformazione.
swissinfo: Il compito dell’architettura è allora anche quello di adattarsi?
V.B.: L’architettura ha sempre avuto il compito di inserirsi in una situazione preesistente. E l’esistente non è più un paesaggio naturale, bensì artificiale, dal momento che è costruito. Trasformare questo paesaggio costruito, per me è come trasformare un paesaggio naturale. È vero, ho altre condizioni. Ma come architetto sono comunque chiamato a dare una risposta alla domanda primordiale dell’uomo: uno spazio in cui vivere e muoversi.
swissinfo:…insomma “home sweet home”, “casa, dolce casa”….
V.B.: La casa è un luogo dove posso ricrearmi, dove posso fuggire dal pubblico per stare nel privato, dove sono protetto, dove posso dormire, mangiare. Questi bisogni sono, con le dovute proporzioni, come quelli di duemila anni fa. Sono solo cambiati i modi con cui manifestiamo ed esprimiamo tali bisogni.
swissinfo: Come incidono i cambiamenti?
V.B.: L’architetto deve sempre avere un occhio critico sulla realtà in cui è chiamato ad intervenire, deve individuare i disagi, le disfunzioni, le possibilità di miglioramento. Deve fare i conti con i limiti imposti dai piani regolatori, la conformazione dello spazio e i mezzi a disposizione. Le posso tuttavia assicurare che cercare la libertà in condizioni restrittive o limitate, è una grande gioia, perché l’architetto si trova nel ruolo di dover interpretare la complessità.
swissinfo: La dimensione storica che peso ha nell’architettura?
V.B.: Per un architetto conoscere i segni e le tracce del passato è molto importante. Immergersi nel lavoro con l’idea di appartenere solo ai tempi moderni e credere che i tempi moderni siano il nuovo mondo, è sbagliato. Io non credo che l’architettura cambia il mondo, come credevano gli architetti degli anni Venti. Credo piuttosto che sia vero il contrario: è il mondo a cambiare l’architettura.
swissinfo: Parliamo ora del suo nuovo ruolo….
V.B.: Sono direttore dell’Accademia, è vero, ma ho l’architettura nel cuore. Quando mi libero dai compiti accademici, lavoro nel mio studio. Questo continuo legame tra pratica e insegnamento, è fondamentale in una disciplina come questa. L’esperienza della prassi non è solo utile a me come professionista, ma anche ai miei studenti. Una scuola di architettura deve essere attenta e reagire ai cambiamenti della vita quotidiana.
swissinfo: Ritorniamo allora all’inizio, l’architetto all’ascolto dell’essere umano….
V.B.: Si certo, e lo deve rimanere. Credo dunque che sia importante, in un’epoca dove l’architetto è sempre più specializzato, conservare la dimensione generalista della professione. In questo senso la tradizione universitaria umanistica dell’Accademia di Mendrisio sarà mantenuta. Solo con una visione ampia, l’architetto è in grado di leggere la complessità e di suggerire soluzioni globali, in grado cioè di fare la sintesi di tutti i gli elementi in gioco.
swissinfo: Nei tempi del computer e dell’elettronica, che spazio ha la “vecchia” matita?
V.B: Il disegno è l’anima dell’architettura. Rispetta il movimento, ha un suo ritmo che può essere modulato, è fatto di tanti passaggi. Il computer è molto più veloce, ma è troppo preciso. Il disegno consente aperture, pause, come la mente. Lascia maggior spazio all’immaginazione. Alla matita non si rinuncia!
swissinfo, Françoise Gehring, Mendrisio
Nato a Tiefencastel (Canton Grigioni, Svizzera) nel 1957, Valentin Bearth vive e lavora a Coira. Dopo essersi laureato in architettura al Politecnico Federale di Zurigo nel 1983, Bearth inizia a collaborare con lo studio di Peter Zumthor. Nel 1988 fonda con Andrea Deplazes lo studio Bearth & Deplazes che ha sede a Coira e a Zurigo, cui è associato dal 1995 anche Daniel Ladner.
Inizia così un’intensa attività professionale in Svizzera, soprattutto nei Grigioni, e all’estero: lo studio realizza numerosi edifici residenziali, scolastici e di attrezzature pubbliche ottenendo riconoscimenti nazionali e internazionali, fra cui il Premio Neues Bauen in den Alpen (Sexten, 1992, 1996 e 1999), l’Auszeichnung guter Bauten in Graubünden (1994 e 2001), il Premio Beton 01 (Zurigo, 2001) e una menzione al Velux Award 2007 . E’ stato finalista del “Mies van der Rohe Award for European Architecture” (Barcellona, 1999).
Nel 1997 e fino al 2000 Bearth fa parte della Commissione Federale per la Protezione dei Monumenti in Svizzera. Dal 2000 insegna progettazione all’Accademia di architettura di Mendrisio. Dal 2003 al 2005 è professore invitato alla Facoltà di architettura dell’Università di Sassari, sede di Alghero.
La Confederazione ha inserito l’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana di Mendrisio nel trittico delle scuole svizzere di riferimento, insieme ai due Politecnici federali di Zurigo e Losanna.
L’intesa con i due Politecnici si è tradotta con un finanziamento federale di 2 milioni di franchi da destinare alla ricerca e alla formazione.
Oggi il 15% degli studenti di architettura in Svizzera frequenta l’Accademia di Mendrisio, nata undici anni fa. L’ateneo ticinese conta 642 studenti in provenienza da 28 paesi.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.