Arte trafugata: Nikola Doll affronta il fardello storico della Svizzera
La Svizzera fa un passo avanti nella gestione delle opere d'arte trafugate presenti nelle collezioni pubbliche, e Nikola Doll si prepara a svolgere un importante ruolo di coordinamento. Da aprile lavora per l'Ufficio federale della cultura come responsabile per l'arte trafugata in Svizzera.
Dieci anni fa, il solitario Cornelius Gurlitt lasciò in eredità la sua problematica collezione al Kunstmuseum (“Museo d’arte”) di Berna, dando nuovo slancio alle politiche svizzere riguardo le opere trafugate dai nazisti. Slancio che continua a crescere ancora oggi. Nikola Doll ha assistito in prima linea a questi cambiamenti durante i suoi sette anni di ricerche sulla provenienza della collezione di Gurlitt.
Da aprile, Doll ha assunto un nuovo ruolo presso l’Ufficio federale della cultura, come responsabile della ricerca sulla provenienzaCollegamento esterno e delle opere d’arte trafugate – sia quelle saccheggiate dai nazisti che i beni acquisiti in contesti coloniali. Gestirà anche l’ufficio amministrativo di una nuova commissione indipendente, da istituirsi quest’anno, che sarà incaricata di pronunciarsi sulle controversie riguardo alla proprietà di beni culturali. Nel suo ruolo, la funzionaria sarà inoltre responsabile di una piattaforma online dedicata alla ricerca sulla provenienza.
In passato, Doll è stata a capo del primo dipartimento di un museo svizzero interamente dedicato a questo tipo di ricerca, al Kunstmuseum di Berna. Un ruolo che ha definito come “stimolante ed emozionante dall’inizio alla fine”, in un’intervista a SWI swissinfo.ch. “Mi entusiasma l’idea di cambiare prospettiva” con il nuovo lavoro. “Non vedo l’ora di estendere la mia attività ai contesti coloniali”, ha aggiunto.
Il fatto stesso che esista il suo incarico testimonia che, quasi 80 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, la Svizzera ha cominciato a prendere più sul serio le sue responsabilità riguardo le opere d’arte trafugate dai nazisti. La nuova commissione indipendente adempie a un impegno preso 25 anni fa, quando la Svizzera sottoscrisse i Principi di Washington – un accordo internazionale, non vincolante, che prevede anche l’istituzione di “meccanismi alternativi per risolvere questioni riguardanti il diritto di proprietà”.
Un mercato per l’arte trafugata
La Svizzera è uno dei 44 Paesi che nel 1998 approvarono i Principi di Washington. Come parte dell’accordo, si impegnò a incoraggiare i musei nella conduzione di ricerche sulla provenienza, a identificare le opere confiscate dai nazisti e trovare “soluzioni giuste ed eque” con i legittimi proprietari ebrei o i loro eredi. Per diversi anni, tuttavia, ci furono poche azioni significative da parte del Governo svizzero.
In Austria, Germania, Francia, Regno Unito e Paesi Bassi sono state istituite delle commissioni per valutare le richieste di restituzione dei beni più di vent’anni fa, mentre i musei svizzeri se ne sono dovuti occupare da soli. Alcuni funzionari sostengono che il Paese non sia stato un grande depositario di arte trafugata, perché i nazisti non lo hanno mai occupato. Tuttavia, la Svizzera servì come mercato per le opere provenienti dalla Germania sia prima che durante la guerra.
“La decisione di Berna di accettare la donazione di Gurlitt ha stimolato la discussione sulle opere d’arte trafugate in Svizzera”, ha affermato Doll. Gurlitt ereditò la sua collezione dal padre, un mercante d’arte che aveva lavorato per Adolf Hitler. Tra i beni in suo possesso c’erano anche opere confiscate agli ebrei, o da loro vendute sotto coercizione. Le autorità doganali tedesche sequestrarono la collezione di Gurlitt nel suo appartamento a Monaco di Baviera, nel 2012. La notizia del “bottino” divenne pubblica nel 2013, finendo sulle prime pagine di tutto il mondo.
Dopo la morte di Gurlitt, nel 2014, la fondazione che gestisce il Kunstmuseum esitò prima di accettare la sua eredità. La descrisse come “un carico di responsabilità notevole”, che portava con sé “molte tra le domande più difficili e delicate”.
Una questione di interpretazione giuridica
Una di queste domande era come avrebbero reagito gli altri musei svizzeri alla gestione da parte del Kunstmuseum delle opere che in Svizzera sono spesso chiamate Fluchtgut (“beni di fuga”) – ovvero beni venduti dagli ebrei durante il nazismo per potersi permettere di scappare e cominciare una nuova vita altrove, dopo aver perso tutto. In Germania, i beni di questo tipo sono considerati “danni causati dalla persecuzione”, e le richieste di “soluzioni giuste ed eque” al riguardo sono ammissibili. In Svizzera, invece, le rivendicazioni di opere vendute sotto coercizione venivano spesso respinte.
“Il rischio era che le opere di questa collezione venissero considerate come trafugate in Germania, ma non in Svizzera”, ha affermato Doll. Lei e Nina Zimmer, direttrice del Kunstmuseum di Berna, sono entrambe tedesche. “Sapevamo che, se un museo svizzero avesse cominciato a valutare questi beni in modo diverso, non sarebbe passato inosservato”, ha aggiunto Doll.
La questione dei “beni di fuga” infatti divenne prominente. Isabelle Chassot, all’epoca direttrice dell’Ufficio federale della cultura, disse che quel termine – Fluchtgut – era usato solo in Svizzera, e che andrebbe evitato. La posizione ufficiale del Governo è che ogni caso vada esaminato singolarmente, per determinare se l’acquisto di ciascun bene avesse un carattere “confiscatorio” o meno.
L’enigma di Bührle
Il caso di Gurlitt ha segnato un primo cambiamento nell’atteggiamento svizzero riguardo alle opere trafugate dai nazisti, e ha portato a “una maggiore sensibilità della politica rispetto alla necessità di svolgere ricerca sulla provenienza”, ha raccontato Doll.
Il Governo finanzia questo tipo di studi dal 2016. Con il primo bando vennero selezionati 12 progetti, mentre con l’ultimo sono stati 28: metà sull’arte trafugata dai nazisti, e l’altra metà sulle acquisizioni archeologiche e dell’era coloniale. Anche il cantone di Berna quest’anno ha cominciato a stanziare finanziamenti destinati alla ricerca sulla provenienza. L’aumento di fondi ha portato a una crescita nel numero di posizioni disponibili e di ricercatori del settore, tanto che nel 2020 in Svizzera hanno istituito una loro associazioneCollegamento esterno.
Ma è stata la protesta per la collezione di Emil Georg Bührle a dare al Governo lo slancio necessario per istituire l’incarico di Doll e la nuova commissione. Bührle, un industriale che vendeva armi alla Germania nazista, era noto anche per aver comprato arte trafugata.
La sua collezione, in prestito al Kunsthaus di Zurigo, nel 2021 venne esibita in una nuova estensione del museo d’arte. Si sollevarono molte proteste, e i critici accusarono la fondazione da lui istituita, e che gestisce la collezione, di voler dissimulare la reale provenienza di alcune delle opere. Chiesero che la mostra venisse riorganizzata per meglio rappresentare la travagliata storia della collezione. Una commissione indipendente ha condotto una ricerca sulla provenienza delle opere della fondazione, e quest’estate pubblicherà i suoi risultati.
Altri sviluppi
La collezione Bührle tra arte, guerra e contesto storico
Un mandato atteso da molto
Verso la fine del 2021, il deputato del Partito socialista svizzero Jon Pult presentò una mozione parlamentareCollegamento esterno per istituire una commissione indipendente. “La Svizzera darebbe così il suo contributo alla rielaborazione di un capitolo buio della storia”, ha affermato Pult motivando l’iniziativa, “assumendosi le sue responsabilità nella gestione dei beni culturali sequestrati durante le persecuzioni naziste”.
Il Governo dovrà nominare i membri del panel, che saranno tra nove e dodici, entro la fine dell’anno, ha riportato Doll. La commissione, secondo quanto stipulato dall’ordinanzaCollegamento esterno, valuterà le controversie tra chi rivendica la proprietà di un’opera e chi ne è attualmente in possesso, esprimendo raccomandazioni non vincolanti. Si potrà far ricorso anche ad esperti esterni, chiamati a fornire il loro parere per i singoli casi.
Le richieste andranno presentate all’Ufficio federale della cultura, che si incaricherà di raccomandarle alla commissione per la sua valutazione. L’ordinanza stabilisce che ogni opera d’arte che si trova in Svizzera o che ha cambiato proprietà nel Paese potrà essere presa in esame dalla commissione. Oltre alle opere trafugate durante il nazismo, verranno valutati anche i manufatti parte di un’eredità coloniale.
Chi rivendica la proprietà di un’opera può richiedere il parere della commissione anche senza il consenso dell’attuale detentore, a patto che dimostri di aver svolto una ricerca sulla provenienza dell’opera e di aver cercato di raggiungere un accordo con chi al momento ne è in possesso.
Nuove linee guida
Questo significa che, a seconda dell’interpretazione che la nuova commissione darà agli accordi internazionali, i musei svizzeri potrebbero ricevere nuove pressioni per restituire o rimborsare le opere vendute sotto coercizione. A marzo, 23 Paesi, tra cui la Svizzera, hanno siglato un nuovo accordoCollegamento esterno sulle “migliori pratiche” da seguire in materia, per chiarire le ambiguità dei Principi di Washington. Secondo le nuove linee guida, la vendita di opere da parte di una persona perseguitata tra il 1933 e il 1945 “si può considerare equivalente a un passaggio di proprietà involontario”.
La decisione svizzera di istituire una commissione indipendente è stata accolta con favore dalla comunità internazionale. A marzo è stato pubblicato un rapportoCollegamento esterno sui progressi compiuti dai Paesi nell’implementare i Principi di Washington. La World Jewish Restitution Organization (“Organizzazione mondiale per la restituzione ebraica”), e la Jewish Claims Conference (“Conferenza dei reclami ebraici”) hanno inserito la Svizzera tra i Paesi che hanno compiuto dei “progressi sostanziali”, mentre i progressi di altri sette Stati sono stati considerati “notevoli”.
Dopo aver istituito un processo per valutare le rivendicazioni di opere d’arte, “sembra probabile che presto la Svizzera si unisca ai Paesi in cima alla classifica”, si legge nel report.
A cura di Virginie Mangin e Eduardo Simantob
Traduzione: Vittoria Vardanega
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