Beresina: l’identità svizzera in una battaglia
Doveva essere un'operazione militare semplice, di breve durata. Nel giugno del 1812 Napoleone attaccò la Russia con un esercito di oltre mezzo milioni di uomini; solo il 5% di loro tornò indietro. 400 di loro erano svizzeri.
Dell’esercito napoleonico facevano parte anche 9000 soldati elvetici, arruolati in base a un trattato imposto dalla Francia alla Svizzera. Ne sopravvissero 400.
La campagna di Russia fu segnata da poche battaglie campali. Molti soldati dell’esercito imperiale francese perirono per il freddo, la fame, le malattie e gli attacchi della guerriglia russa.
Ma la battaglia della Beresina, nell’odierna Bielorussia, in cui 1300 soldati svizzeri resistettero durante tre giorni alle truppe russe per permettere all’esercito francese di attraversare il fiume, è rimasta iscritta nella memoria collettiva elvetica.
In un discorso pronunciato in occasione della festa nazionale del 1° di agosto il ministro della difesa Ueli Maurer, esponente dell’euroscettica Unione democratica di centro, ha fatto riferimento all’anniversario della battaglia per mettere in guardia dai tentativi dell’Unione europea di «sottometterci alla sua giurisdizione».
Le truppe elvetiche sarebbero state trascinate nelle guerre napoleoniche perché l’«élite politica» svizzera di fine Settecento era «ipnotizzata» dalle nuove idee propagate dalla Francia rivoluzionaria, ha detto Maurer. «Credevano in una nuova età dell’oro. Consideravano il loro paese troppo piccolo, troppo insignificante, troppo vecchio stile».
Di fronte a richieste sempre più oltraggiose, i leader svizzeri avrebbero pensato «di poter dare soddisfazione all’altra parte cedendo. Così a poco a poco sacrificarono la sovranità del paese».
Lo storico friburghese Alain-Jacques Tornare, che ha scritto un libro sulla Beresina e sulla campagna del 1812, afferma di essersi «infuriato» per il discorso di Maurer.
«In realtà, gli svizzeri difesero con successo i loro interessi. Napoleone non riuscì a ottenere tutto quel che voleva da loro. Non si può dire che la Svizzera fosse un semplice satellite della Francia; lo fu nella misura in cui lo furono altri paesi vicini all’impero francese».
Una nuova identità
Del resto non è la prima volta che la battaglia della Beresina è usata per scopi politici. Tutti gli storici che abbiamo consultato confermano che la battaglia ebbe un ruolo importante nel consolidamento dell’identità nazionale in un’epoca di grandi mutamenti.
L’invasione francese della Svizzera nel 1798 aveva sconvolto gli equilibri della vecchia Confederazione. In precedenza, 13 cantoni – tutti di lingua tedesca – dominavano su ampi «territori soggetti». Dopo il fallimento dei primi tentativi di centralizzazione, l’Atto di mediazione promulgato nel 1803 da Napoleone creò una Svizzera di 19 cantoni, in cui gli antichi territori soggetti avevano gli stessi diritti degli altri territori.
«La battaglia della Beresina dimostrò che gli svizzeri erano capaci di combattere uniti, che i germanofoni non erano superiori ai francofoni, che gli uomini del Ticino potevano essere presi sul serio e che erano perfettamente in grado di combattere», spiega Tornare.
Lo storico ticinese Damiano Robbiani, co-autore del libro Milizie bleniesi, pubblicato in occasione del bicentenario, è dello stesso avviso. La memoria della Beresina è stata tenuta viva in modo particolare in Val di Blenio. Ogni anno uomini in uniformi dell’epoca sfilano per le strade dei villaggi al suono dei tamburi, nel corso di una cerimonia militare e religiosa.
«In precedenza il Ticino, soggetto ai cantoni confederati, non aveva un esercito. Così la gente cominciò ad apprezzare il fatto di portare un’uniforme e delle armi. La cerimonia è collegata senza dubbio all’adesione a pieno titolo del Ticino alla Svizzera», spiega Robbiani.
Jürg Stüssi-Lauterburg, direttore della Biblioteca militare federale, convinto al contrario di molti storici che l’invasione francese della Svizzera abbia ritardato il processo di riforma della Confederazione, piuttosto che stimolarlo, condivide tuttavia l’idea che la Beresina sia stato un momento di unificazione.
«La Beresina è stata la prima occasione offerta alla nuova entità statale composta di 19 cantoni di dimostrare la propria capacità di agire unita. Era proprio quel che ci voleva: un moderno atto di eroismo per dimostrare che la Svizzera era in grado di ripristinare la propria indipendenza anche dal punto di vista militare».
«Le persone possono avere una visione molto diversa della storia svizzera, ma concordano sull’importanza della Beresina. Quello del 1812 è stato un atto di eroismo svizzero, ma anche l’inizio della fine del potere napoleonico. I conservatori registrarono con soddisfazione il ridimensionamento di Napoleone. I bonapartisti potevano mettere in primo piano il fatto che la gente aveva combattuto per Napoleone. I maggiori schieramenti politici potevano interpretare in modo diverso lo stesso avvenimento storico».
Sfruttare la storia
Le interpretazioni storiche sono mutate nel tempo. La canzone della Beresina – espressione di speranza in un futuro migliore, a quanto si narrà cantata da un soldato durante la battaglia – è diventata popolare alla soglia del XX secolo, quando la Svizzera era impegnata nell’elaborazione di una politica culturale nazionale, segnata dalle esposizioni nazionali e dalla creazione del Museo nazionale.
Durante entrambi i conflitti mondiali del XX secolo, gli svizzeri si ricordarono spesso della Beresina, in particolare di fronte all’invasione della Russia da parte della Germania nazista nel 1941. «La Seconda guerra mondiale offriva analogie evidenti. Anche il potere di Hitler fu ridimensionato», osserva Stüssi. «Questo diede nuova vita al mito che risale al 1812».
Stefano Giedemann, un altro storico coinvolto nella pubblicazione sulle milizie bleniesi, fa notare che nei libri sul 1812 pubblicati durante i conflitti del Novecento gli autori si fecero spesso guidare da motivi non prettamente storici: «Durante le guerre mondiali vi furono molte pubblicazioni che non presentavano correttamente gli eventi. Alcuni elementi erano soppressi, altri messi in particolare evidenza».
Le truppe francesi occuparono la Svizzera nel 1798, con il sostegno di alcuni leader radicali elvetici desiderosi di rovesciare il vecchio regime. Ma i tentativi di dare una nuova struttura politica al paese generarono aspri conflitti tra i fautori di uno stato centrale forte e i federalisti.
Reagendo a queste divisioni, Napoleone emanò nel 1803 l’Atto di mediazione, che restaurava il sistema confederale, conferendo però agli ex territori soggetti lo statuto di cantoni a tutti gli effetti.
Anche dopo la Mediazione, la Svizzera rimaneva obbligata a fornire truppe all’esercito francese. La misura era molto impopolare e il numero di soldati da arruolare fu ridotto gradualmente da 18’000 a 12’000 uomini.
In totale tra il 1805 e il 1815 circa 30’000 soldati svizzeri prestarono servizio nell’esercito napoleonico, su una popolazione di circa 1,5 milioni di persone.
Normalmente i soldati avevano un contratto di 4 anni, spesso rinnovato, anche perché alla scadenza si trovavano sovente impegnati in una campagna militare all’estero.
La Svizzera era nota per i suoi soldati mercenari fin dal Medioevo. Si stima che tra il 1400 e il 1848 più di due milioni di mercenari svizzeri siano stati impiegati da potenze straniere.
Inizialmente i mercenari erano ingaggiati per singole campagne da imprenditori privati. Dalla metà del XVII secolo le unità mercenarie cominciarono a essere integrate negli eserciti permanenti, nati proprio in quegli anni.
Il servizio mercenario era strettamente regolamentato ed era controllato dai governi cantonali. Sulla base di accordi più volte rinnovati con la Francia, i soldati svizzeri servirono i re di Francia fino alla Rivoluzione francese.
Accordi, o capitolati, simili furono conclusi anche con altri stati. Il cantone cattolico di Lucerna, per esempio, inviava mercenari in Spagna, mentre i cantoni protestanti stipularono accordi con i Paesi Bassi.
Sotto Napoleone la natura del servizio militare svizzero cambiò profondamente. Non era più il risultato di un accordo tra due parti, ma diventò un obbligo imposto alla Svizzera.
Dopo il crollo del regime napoleonico, la vecchia tradizione conobbe una parziale rinascita. Con un accordo del 1816, la Svizzera tornò a fornire soldati di guardia al re di Francia.
Contro il servizio si levarono però voci sempre più frequenti. Nel 1848 fu vietata la firma di nuovi capitolati, nel 1859 fu vietata ogni forma di servizio militare all’estero senza il permesso del governo federale.
Le uniche vestigia rimaste della tradizione mercenaria elvetica sono le guardie svizzere del papa, un corpo fondato nel 1506.
Traduzione dall’inglese e adattamento: Andrea Tognina
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