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Carlo Chatrian: un intellettuale di frontiera

Keystone

Loquace, disinvolto e risoluto, Carlo Chatrian si appresta ad aprire la sua prima edizione del Festival del film di Locarno. Senza paura, ma con tanta voglia di incontrare il pubblico. swissinfo.ch lo ha seguito nel suo lavoro.

Abbiamo appuntamento davanti al suo pied-à-terre, a pochi passi da Piazza Grande. Un appartamento anonimo, senza interesse, precisa all’addetta stampa, per scoraggiarmi a salire. Qui dorme, lavora fino a tarda notte e rimpiange la frescura di casa sua, in un villaggio di montagna della Valle d’Aosta.

Puntualissimo, alle sette e mezza sbuca da dietro a un portone. Sulla spalla uno zainetto, in mano un sacco della spazzatura. Pragmatico, Carlo Chatrian non sembra badare molto all’etichetta. Privilegio degli artisti? O degli intellettuali? È così che la stampa ama definirlo: sarà per quel suo modo di parlare forbito, la laurea in lettere e filosofia e lo stile disinvolto. Lui sorride, un po’ imbarazzato: «Saranno gli occhiali…. Anche i miei figli mi prendono in giro». E poi aggiunge, quasi a volersi giustificare: «Ogni mercoledì vado a giocare a pallone con gli amici. Non è proprio un’attività che si addice a un’intellettuale, no?».

Mentre cammina a passo spedito verso l’ufficio, si sincera delle mie intenzioni: «Trascorrerà mezza giornata al mio fianco, giusto? Ma non è che mi farà domande tutto il tempo… guardi che io devo lavorare», mi dice in tono scherzoso e al contempo un po’ inquieto. Carlo Chatrian non ha tempo da perdere e d’altronde star fermo con le mani in mano non è proprio il suo stile. Iperattivo? «Forse un po’ nervoso».

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Aspettando il buio

Questo contenuto è stato pubblicato al Inizialmente accolta con qualche riserva, l’idea di portare il festival in Piazza Grande risale al 1971, 25 anni dopo la nascita della rassegna. Oggi questo maxi schermo – largo 26 metri e alto 14 – è il simbolo di Locarno. La sua posa richiede un lavoro da certosini: un colpo di freddo, uno strattone maldestro,…

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Il cinema, una macchina per sognare

Giornalista, critico e programmatore, Carlo Chatrian è stato nominato direttore artistico del festival del film nel settembre 2012, dopo le dimissioni a sorpresa di Olivier Père. Il suo tuttavia non è un volto nuovo: Chatrian, 42 anni, è arrivato a Locarno nel 2002. Dal 2006 al 2009 ha fatto parte del comitato di selezione e ha curato le retrospettive degli ultimi anni.

La sua passione per il cinema risale agli anni dell’università. Da piccolo guardava i film alla televisione, come tutti. Poi al primo anno di studi, a Torino, arriva il colpo di fulmine con “Hiroshima, mon amour”.  Un film che definisce «spiazzante» e che gli ha aperto gli occhi.

«Per me il cinema è una macchina per sognare. A volte questi sogni assomigliano molto alla realtà, altre meno. Possono essere una chiave per capire chi siamo, oppure semplici divagazioni senza senso. Ed è proprio questo ad affascinarmi».

Impossibile saperne di più. I film che lo hanno toccato sono diversi, sottolinea. Ci sarà un genere che lo affascina particolarmente, gli chiedo. Scoppia a ridere. Domanda sbagliata: «Non so perché voi giornalisti avete questa fissa … Sono cresciuto in un’epoca in cui il concetto stesso di genere cinematografico si è sgretolato. Per me la cinefilia – un termine che magari farà sorridere la gente – è proprio  questa capacità di attraversare i generi». E il suo festival è un po’ così: a cavallo tra passato e presente, tra i generi, tra le lingue e le culture. Non per altro lo ha definito «di frontiera».

Quei piccoli dettagli da curare

Quando lo incontro, in un giovedì di fine luglio, mancano pochi giorni al suo debutto in Piazza Grande. Il programma è stato presentato, la critica sembra entusiasta. Il più è fatto. Manca ancora qualche nome, forse una sorpresa, e quei piccoli dettagli preziosi, da curare.

Mi chiede un’oretta per terminare i suoi articoli di presentazione di film e registi: Werner Herzog, Christopher Lee, Sergio Castellitto, Anna Karina… «A volte mi capita di scrivere di getto, ma normalmente ho bisogno di tranquillità per raccogliere le idee. E devo cercare di tenere a freno quella tendenza ad astrarre, a teorizzare».

Ne approfitto per guardarmi attorno: un divanetto, due poster del festival alle pareti, una libreria con qualche volume sparso. «Sono tutti dei miei predecessori, i miei sono rimasti a casa». Ordinato, senza essere asettico.

Alle nove inizia la carrellata di appuntamenti: le bozze del catalogo da correggere, la rivista del festival da impaginare e poi l’agenda da far quadrare tra interviste, cocktail di rappresentanza e soprattutto l’anima del festival, gli incontri con i registi, gli attori, il pubblico. Il suo sguardo si muove irrequieto da un punto all’altro: documenti, computer, telefonino, agenda. Poi d’un tratto si ferma e ti fissa dritto negli occhi.

I suoi collaboratori vanno e vengono. A volte si scalda, il tono diretto di chi sa cosa vuole e non ha paura a dirlo. «Di solito mi passa subito… Non credo di essere un tiranno, dovrebbe però chiederlo ai miei collaboratori».

Aspettando il grande giorno

Caso vuole, che proprio quel giorno la Mostra del cinema Venezia ha reso noto il suo programma. Un momento imprescindibile per Carlo Chatrian: «Ah… molti di questi film li ho visti anch’io», dice in un sussurro. Se ne sarà fatto sfuggire qualcuno? «Un paio di titoli li avrei voluti a Locarno, ma sono le regole del gioco. Le persone che lavorano per i festival, tuttavia, sono forse più complici che concorrenti. Condividiamo tutti la stessa passione per il cinema e a volte ci scambiamo informazioni preziose. La concorrenza esiste, ma è salutare».

Nell’ultimo anno, Carlo Chatrian ha girato il mondo e ha visto oltre un migliaio di film alla ricerca dei titoli per il suo cartellone. Le linee forti? «Probabilmente la questione della famiglia e dell’identità, ma anche la memoria». Per la sua prima edizione, non ha voluto rivoluzioni. «Dal 2001, il festival ha avuto quattro direttori artistici e ora ha bisogno soprattutto di continuità.

Toccherà al pubblico e alla critica dire in che modo ho dato la mia impronta al festival. Il programma è sotto gli occhi di tutti». Poi però, ci tiene a sottolineare: «Considero un direttore del festival come qualcuno che mette in avanti i film e non sé stesso».

Ad attenderlo sul palco di Piazza Grande, mercoledì 7 agosto, potrebbero esserci quasi 8’000 spettatori. Niente paura, però, ci assicura. «Perché dovrei? Non voglio sembrare uno sbruffone, ma abbiamo lavorato sodo un anno intero per arrivare fin qui. Al massimo c’è un po’ di tensione… e soprattutto tanta voglia di incontrare il nostro pubblico».

Bio Express

Giornalista, autore e programmatore, Carlo Chatrian è nato a Torino il 9 dicembre 1971 e si è laureato in lettere e filosofia, con una specializzazione in giornalismo e comunicazione.

Ha scritto e firmato numerosi saggi e monografie sul cinema diaristico e su cineasti quali Errol Morris, Wong Kar Wai, Johan Van Der Keuken, Frederick Wiseman, Maurizio Nichetti e Nicolas Philibert.

Vicedirettore dell’Alba Film Festival dal 2001 al 2007, è stato membro del comitato di selezione del Festival dei Popoli di Firenze e del Festival Visions du Réel di Nyon. Ha inoltre collaborato con istituti e festival diversi, come il Cinéma du Réel di Parigi, il Museo nazionale del cinema di Torino e Courmayeur Noir in festival della Valle d’Aosta.

La collaborazione di Carlo Chatrian con il Festival del film Locarno è iniziata nel 2002.

Dal 2006 al 2009, ha fatto parte del comitato di selezione e negli ultimi cinque anni ha curato la sezione retrospettiva (Nanni Moretti, Manga Impact, Ernst Lubitsch, Vincente Minnelli, Otto Preminger).

Carlo Chatrian è stato anche consulente della Cineteca svizzera di Losanna, un mandato che ha dovuto lasciare in seguito alla sua nomina a direttore artistico del festival di Locarno, nel settembre 2012.

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