Claude Goretta o il lavoro assoluto
Sicuro, talentuoso, consapevole del proprio valore, ma con semplicità e modestia. Lionel Baier, giovane autore svizzero, ci parla dell'omaggio cinematografico a Claude Goretta. Un lavoro su commissione, che gli ha dato moltissimo.
Bon Vent Claude Goretta, presentato alla 64a edizione del Festival del Film Locarno, è dunque un omaggio a uno degli autori più importanti e più produttivi del cinema svizzero. E, soprattutto, uno dei grandi rappresentanti della Nouvelle Vague insieme a Tanner, Soutter, Yersin, Schmid.
Spesso per le giovani generazioni confrontarsi con i grandi padri del cinema significa simbolicamente doverli uccidere per potersi, in un certo senso, affrancare dall’ombra. «Per me è andata meglio», ci dice sorridendo Lionel Baier, classe 1975. «Claude Goretta (classe 1929, ndr) potrebbe essere mio nonno. E di solito con i nonni i rapporti sono buoni, o comunque meno conflittuali».
Così è stato realmente tra di loro. Lionel Baier sottolinea la gentilezza di Claude Goretta, la grande voglia non di insegnare, ma di trasmettere le sue conoscenze, di condividere con lui la sua esperienza.
Folgorato… dall’accento…
Contattato l’anno scorso a Locarno dalla Cineteca svizzera e dalla Radio Televisione Svizzera (RTS) – che stanno preparando una serie di film sui grandi cineasti e le grandi cineaste del nostro paese – Lionel Baier ha subito accolto l’offerta di realizzare un documentario su Claude Goretta. «È stato facile dire sì, perché ammiro enormemente Goretta. E, in particolare, uno dei suoi film L’Invitation (L’Invito). Un film che ho visto all’età di 6 anni insieme a mia madre, mentre stirava i panni».
Lionel Baier ci racconta di essere stato molto colpito dagli attori che si esprimevano con l’accento svizzero, specialmente ginevrino. «Questo dettaglio mi aveva folgorato: ma allora – mi ero detto – il cinema può anche essere svizzero!» Ma c’è un altro film che ha giocato un ruolo nell’accettazione del progetto.
«Il film Pas si méchant que ça, con Gérard Depardieu, è stato girato a Aubonne, cittadina in cui sono cresciuto. Ho scoperto così che Depardieu, un attore di cinema internazionale, aveva girato nella mia piccola città, dove era intento a svaligiare una banca e a prendere d’assalto l’ufficio postale. Questa prossimità mi ha impressionato».
Romanzati, “checoviani” eppure svizzeri
Baier fa notare che Claude Goretta è un regista che ha trovato un posto nel cinema svizzero perché ha girato molti film in Francia. Con uno stile molto romanzato, che dà spazio alla dimensione dei sentimenti umani, quindi non molto svizzero e più vicino alle opere di Checov. «In Goretta c’è voglia di fare del grande cinema, un cinema narrativo che lavora sui sentimenti. Amo Goretta anche per questo. Per cui sono felice di aver avuto l’opportunità e la fortuna di rendergli omaggio».
Che cosa comporta per un cineasta girare un film su un altro regista? Quali le trappole? «L’esercizio – spiega Baier – può essere difficile perché sei obbligato a usare lo stesso medium per raccontare qualcosa sul lavoro di un collega. Il rischio è anche quello di fermarsi sugli aneddoti legati alle riprese, che possono essere più o meno divertenti e interessanti, ma che dicono poco su chi è il cineasta al centro del tuo lavoro. Dovevo trovare una soluzione per illustrare in che modo il cinema di Goretta fosse importante per il mio lavoro e in che maniera le mie modalità di fare cinema potessero far venire voglia di vedere i film di Goretta».
Un quesito che Baier ha sciolto ispirandosi alla tradizione delle scuole rinascimentali. Ha insomma optato per la trasposizione nel cinema, di quanto facevano i giovani pittori del passato, ossia copiare le tele dei grandi maestri per comprenderne la tecnica. Concretamente significa che «con gli attori che ho scelto per il mio film, ho girato un certo numero di scene dei film di Goretta, ma a modo mio. Scoprirete che anche se abbiamo due modi diversi di fare cinema, ci sono dei legami».
Un fiuto da grande maestro
Claude Goretta ha un’esperienza gigantesca. «Ha girato una trentina di film, un caso unico nel cinema svizzero e piuttosto raro anche nel cinema internazionale d’autore. Ho davvero molto da imparare» afferma Baier con grande umiltà, ricordando che Goretta è stato l’unico cineasta svizzero ad aver lavorato con così tanti grandissimi attori francesi.
«Negli anni Settanta, Goretta è il regista che attribuisce i primi ruoli a Gérard Depardieu, Isabelle Huppert, Nathalie Baye. Caspita – esclama pieno di ammirazione Lionel Baier – ci voleva un fiuto fenomenale per scegliere di dirigere degli attori e delle attrici che sarebbero diventati dei pezzi da novanta».
Del resto sono gli stessi attori e le stesse attrici che in Bon vent Goretta gli rendono omaggio. Una su tutti: Isabelle Huppert. «Isabelle conserva un ricordo molto preciso del lavoro con Goretta, perché La Dentellière (La Merlettaia) è il film che la farà conoscere nel mondo intero. Ha in particolare insistito su un aspetto: Goretta ha avuto fiducia in lei quando aveva solo 18 anni, imbastendo attorno alla figura di Pomme l’intera storia».
Altri due attori hanno avuto un enorme piacere a raccontare la loro esperienza con Goretta, a cui devono tutta la loro carriera: Michel Robin e Frédérique Meininger.
Impegnato, ma non militante
Che cosa le resta di questo percorso con Goretta? «Quello che farò mio, è l’idea assoluta, quasi calvinista, del lavoro. Il cinema – riconosce Baier – è una materia che deve essere lavorata, attraverso la sperimentazione quotidiana, la ricerca permanente di soluzioni alternative».
Riconosciuto per essere un regista impegnato, Baier prima di rispondere si prende un attimo di pausa. «Se mi si attribuisce questa qualità perché nei miei film si legge un messaggio politico, allora mi fa piacere. Sono del resto convinto che non si possano fare film totalmente privi di una dimensione politica».
Altra pausa. «Militante no. Ma impegnato sì, anzi rivendico questa caratteristica. Se penso a Goretta, attraverso film di finzione ha veicolato in modo lucido e senza compromessi, messaggi fortissimi. Ne La mort de Mario Ricci denuncia il razzismo; ne L’Invitation la falsità e la mediocrità della media borghesia; ne La Dentellière la differenza di classe che non potrà mai essere superata».
Buon vento anche a lei, Lionel Baier.
Svizzero di origine polacca, Lionel Baier nasce a Losanna nel 1975. Debutta alla regia nel 2000 con Celui au pasteur (ma vision personnelle des choses), documentario dedicato al padre, pastore nel Canton Vaud.
L’anno seguente in La Parade (notre histoire) documenta il primo gay pride nel cattolico Canton Vallese. Con questi due film, presentati a numerosi festival, si fa conoscere al grande pubblico, per poi passare alla finzione con Garçon Stupide (2004) e Comme des voleurs (à l’est) (2006), entrambi apprezzati dalla critica.
Il suo terzo lungometraggio di finzione, Un autre homme (2008), in concorso a Locarno, è stato distribuito in Europa e in Canada. Nel 2010 realizza Low Cost (Claude Jutra), a sua volta presentato a Locarno, e Toulouse Dal 2002, Lionel Baier è responsabile del dipartimento di cinema dell’École cantonale d’art de Lausanne.
Claude Goretta nasce a Ginevra nel 1929. Esordisce come regista nel documentario Tempo di divertimento (1957) in collaborazione con Alain Tanner, e dirige successivamente Domenica di maggio (1962) e Cechov o Lo specchio delle vite perdute (1964), Jean-Luc perseguitato (1965), Vivere qui (1968). Con queste opere Goretta si conquista il titolo di uno dei migliori autori del cinema svizzero di lingua francese.
Nel 1970 con due film, Il giorno delle nozze e Il folle, affronta il problema del conformismo dei suoi conterranei celato sotto la cenere del benessere dell’ordine. Questi temi costituiscono l’intelaiatura de L’invito (1973), il suo film più noto, presentato e premiato in molte manifestazioni internazionali.
Seguono Il difetto di essere moglie (1975), La merlettaia (1977), La provinciale (1980) e La morte di Mario Ricci (1983), con il quale Gian Maria Volonté vince il premio come migliore attore al Festival di Cannes. Tra gli ultimi film: Orfeo (1984), Si le soleil ne revenait pas (1987), Le courage de parler (1988), Guillaume T.-La fouine (1990).
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