Come la propaganda ha sommerso la Svizzera
Durante la prima guerra mondiale, il fossato culturale che separa la Svizzera tedesca dal resto del paese è stato sfruttato dalla propaganda interna ed esterna a livelli mai visti prima.
Circa 2’500 anni fa, il drammaturgo Eschilo aveva affermato che la prima vittima della guerra è la verità. Nel corso della storia, gli sforzi per influenzare l’opinione pubblica non avevano mai raggiunto livelli tali come nel 1914. Anche la piccola Svizzera, Stato neutrale circondato da belligeranti, si è trasformata in un campo di battaglia mediatico.
Ad esempio, per prevenire la disgregazione del paese, la figura di Guglielmo Tell è stata utilizzata un po’ in tutte le salse sui cartelloni, al fine di evocare simbolicamente il senso di unità nazionale.
«Di primo acchito, interessarsi a questa tema potrebbe sembrare un’assurdità per la Svizzera», osserva Alexandre Elsig, co-curatore della mostra «Sotto il fuoco della propaganda: la Svizzera e la prima guerra mondiale»Collegamento esterno, organizzata congiuntamente dal Museo della comunicazione e dalla Biblioteca nazionale di Berna.
«Non dobbiamo però dimenticarci che si è trattato della prima guerra totale e che i mass media e l’opinione pubblica internazionale hanno assunto un ruolo molto importante. Per gli Alleati e le Potenze centrali, la sfida non era solo di mobilitare gli eserciti ma anche le menti. Da questo punto di vista, gli Stati neutrali erano veramente importanti, soprattutto la Svizzera».
La Confederazione non era l’unico paese europeo neutrale – lo erano anche Spagna, Norvegia, Svezia e Danimarca – ma la sua configurazione linguistica unica e la sua posizione geografica centrale facevano sì che fosse un perfetto «laboratorio sperimentale», afferma l’altro co-curatore dell’esposizione, Peter Erismann.
Tramite giornali, notizie d’agenzia, manifesti, volantini, film, giochi per bambini e pubblicità, entrambi gli schieramenti cercavano di convincere i paesi neutrali della legittimità della loro azione e di spingerli dalla loro parte.
Un paese diviso in due
Le tensioni tra le regioni linguistiche della Svizzera si sono esacerbate all’inizio del XX secolo. La Svizzera francese e italiana si sentivano sempre più distanti dalla maggioranza di lingua tedesca, che guardava con ammirazione il potente vicino tedesco.
I belligeranti – in particolare Germania e Francia – erano consapevoli di questo fossato interno e lo hanno utilizzato per condurre una guerra di propaganda in Svizzera su una scala senza precedenti.
Gli svizzeri italiani hanno finito per assumere una posizione simile a quella dei loro compatrioti francofoni. «L’Italia è entrata in guerra nel maggio 1915 a fianco degli Alleati – ciò che ha costituito una sorpresa – e di conseguenza il Ticino ha iniziato ad avere un’attitudine critica nei confronti della Germania. Lo si può vedere in articoli di giornali e riviste satiriche come Il Ragno», spiega Erismann.
Elsig annota che gli svizzeri attingevano la maggior parte delle informazioni dai giornali. «È stata la fonte più diretta. Vi erano anche riviste illustrate e notiziari proiettati nelle sale cinematografiche, ma l’informazione scritta primeggiava».
All’inizio della guerra, i giornali svizzeri hanno fatto affidamento soprattutto sulle notizie delle agenzie stampa straniere, controllate dalla censura del governo. A mano a mano che il conflitto proseguiva, le nazioni in guerra hanno adottato una strategia più sottile, acquistando partecipazioni in giornali svizzeri e ‘guidando’ così l’informazione dall’interno.
Risultato: gli avvenimenti erano percepiti e presentati in modo diverso a seconda da dove si acquistava il giornale.
Ad esempio, quando i soldati tedeschi il 25 agosto 1914 hanno appiccato il fuoco alla famosa biblioteca universitaria di Lovanio, in Belgio, la Tribune de Genève li ha accusati di «barbarie», mentre lo Zürcher Post ha parlato della «presunta» distruzione della città. In generale, la stampa di lingua tedesca ha cercato di giustificare l’attacco come una risposta alla «guerriglia» belga.
Più tardi, lo Schaffhauser Zeitung ha definito la Francia e la Gran Bretagna «traditrici dell’Europa… traditrici della razza bianca… profanatrici del Cristianesimo». Il disprezzo nei confronti della Germania era altrettanto forte nella Svizzera occidentale.
Dalla fine del XIX secolo, le nuove tecnologie hanno permesso agli editori di divulgare un numero considerevole di immagini. Durante la guerra, le riviste sono diventate un vero e proprio mass media. Le fotografie di guerra erano particolarmente richieste.
Le fotografie erano considerate come una riproduzione fedele della realtà della guerra. Contrariamente ai testi, che cercavano di influenzare il lettore con degli argomenti, le immagini erano considerate obbiettive. Naturalmente ciò era ben lontano dalla realtà.
La Germania ha iniziato per prima, con lo Illustrierten Kriegs-Kurier, che presentava foto – molte delle quali inscenate – con didascalie in più lingue. La Francia ha poi risposto con il lancio di Mars a Basilea e la Gran Bretagna con la Illustrierten Rundschau, pubblicata per la prima volta a Zurigo nel 1917.
Altri sviluppi
Propaganda attraverso le immagini
Propaganda culturale
Nel 1916, mentre i soldati si massacravano a Verdun e nella Somme, le nazioni belligeranti hanno sviluppato una nuova tattica per attirare dalla loro parte gli Stati neutrali: la propaganda culturale. L’obiettivo era non solo di convincere l’opinione pubblica che ciò che stavano facendo era giustificato, ma anche di ispirarla e di guadagnare i suoi favori.
La guerra ha così raggiunto i teatri, i cabaret e i musei, con grandi nomi come Richard Strauss, la Comédie Française e la Filarmonica di Vienna che si sono esibiti in Svizzera. Oppure con mostre di Degas e di Cézanne.
Non mancava poi la pellicola. Poco dopo lo scoppio della guerra, notiziari settimanali venivano diffusi nei cinema di tutto il paese. Al pari della stampa scritta, il contenuto era molto diverso a seconda della regione in cui venivano presentati.
Nel 1917, le Potenze centrali controllavano la maggior parte delle sale cinematografiche nella Svizzera tedesca. Per gli Alleati valeva la stessa cosa nella Svizzera francese. Ciò ha spinto il governo svizzero a intervenire. Nel 1917, un documentario di 50 minuti – intitolato L’esercito svizzero – mostrava i soldati elvetici ben preparati mentre marciavano qua e là nel paese. Questo primo film prodotto dalle autorità svizzere, è mostrato all’esposizione di Berna.
Altri sviluppi
La Grande guerra attraverso le cartoline
In mille battute
Vi erano poi le cartoline, uno dei mezzi più popolari per la propaganda e che ha vissuto un’età dell’oro, con la posta svizzera che ne ha distribuite tra 60 e 80 milioni all’anno tra il 1914 e il 1918.
«Le cartoline erano un vero e proprio mezzo di comunicazione, un po’ come gli SMS oggi. Si usavano per dire non molto di più di ‘ciao, io sono qui, come stai?’ e così via», spiega Elsig. «È interessante perché solo rare volte il testo si riferiva all’immagine della cartolina».
Tuttavia, le cartoline con immagini forti – come la cattedrale di Reims danneggiata dai bombardamenti – sono state spedite in massa dagli Alleati nei paesi neutrali per mostrare le prove inconfutabili della barbarie tedesca.
Dall’inizio del conflitto, le autorità svizzere hanno cercato di controllarne la diffusione, ma con scarso successo a causa dell’enorme quantità di cartoline spedite.
Anche i bambini non erano risparmiati dalla propaganda. Il bernese Herbert Rikli ha pubblicato un libro a Stoccarda intitolato «Hurrà! Un libro illustrato della guerraCollegamento esterno», che parlava di un bambino che sognava di combattere per i tedeschi come suo padre.
Sull’altro fronte, la friburghese Charlotte Schaller-Mouillot ha scritto «Storia di un piccolo soldato coraggiosoCollegamento esterno».
Allora, chi ha vinto la guerra di propaganda in Svizzera? «Il vincitore è colui che ha vinto anche militarmente, non si può nascondere una sconfitta», risponde Elsig.
«Durante la guerra è stato però più difficile per i tedeschi. Hanno invaso il Belgio ed era un fatto difficile da far dimenticare, perché anche la Svizzera era un paese neutrale e perché l’operazione era contraria alle regole internazionali di guerra».
(traduzione di Daniele Mariani)
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