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Dalla Svizzera alla Namibia, il ritorno a casa di un manufatto

Laidlaw Peringanda si trova davanti al suo museo del genocidio in un quartiere alla periferia di Swakopmund
Laidlaw Peringanda si trova davanti al suo museo del genocidio in un quartiere alla periferia di Swakopmund. Michael Heger / swissinfo.ch

A Swakopmund, città della Namibia che si affaccia sull’oceano, sono molte le tracce del passato coloniale tedesco. Il genocidio degli Herero viene commemorato in un museo ai margini della città, dove è esposto anche un reperto dalla Svizzera.

Il museo dedicato al genocidio degli Herero di Swakopmund è grande circa 12 metri quadrati. Seduto a una piccola scrivania, l’artista e attivista per la memoria degli Herero, Laidlaw Peringanda, accoglie le visitatrici e i visitatori.

Davanti a lui un computer portatile, oltre a riviste e libri di ogni tipo sul genocidio. Le foto alle pareti testimoniano le barbarie perpetrate dai soldati tedeschi: teste mozzate, uomini magrissimi incatenati, un mucchio di teschi umani.

Il primo genocidio del Novecento

Tra il 1904 e il 1908 nell’ex colonia tedesca dell’Africa sud-occidentale le truppe dell’Impero germanico uccisero, confinarono in campi di concentramento oppure scacciarono nel deserto fino a 100’000 persone appartenenti ai gruppi etnici degli Herero e dei Nama.

A Swakopmund oltre al museo dedicato al genocidio non vi è nessun altro memoriale che ricordi questo evento tragico. Ancora oggi in città si respira il forte retaggio linguistico e culturale dell’occupazione coloniale tedesca.

Un gruppo di Herero e Nama prigionieri dei tedeschi. Le truppe dell'Impero germanico uccisero fino a 100'000 persone tra il 1904 e il 1908
Un gruppo di Herero e Nama prigionieri dei tedeschi. Le truppe dell’Impero germanico uccisero fino a 100’000 persone tra il 1904 e il 1908. Autore sconosciuto / Wikimedia Commons

Da molti anni Peringanda si batte contro il negazionismo e per far sì che la tragedia non venga dimenticata: l’attivista namibiano ha allestito un museo presso un agglomerato urbano di periferia fortemente popolato, dove la maggior parte delle persone di colore vive nell’indigenza.

La ricerca e il rimpatrio di manufatti e resti umani del suo popolo, gli Herero, rappresentano una delle attività principali del suo lavoro: “Sono sparsi in tutto il mondo, in musei o collezioni private”.

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Anche presso vari istituti svizzeri è possibile trovare ancora oggi resti umani provenienti dalla Namibia. A Zurigo, per esempio, di recente uno studente svizzero di origini namibiane ne ha esaminati alcuni.

La zurighese che ereditò un ornamento per il capo appartenente agli Herero

Non succede spesso, ma può capitare che anche i privati si rivolgano direttamente a Peringanda per restituire oggetti e reperti.

Katharina Küng, del canton Zurigo, è una di queste persone. Per anni in casa sua è rimasto appeso a una parete un ornamento per il capo, ereditato dalla madre: “Pensavamo fosse l’imbottitura di una vecchia armatura”.

L'attivista e gestore del Museo del Genocidio di Swakopmund con l'oggetto rimpatriato dalla Svizzera di Katharina Küng.
L’attivista e gestore del Museo del Genocidio di Swakopmund con l’oggetto rimpatriato dalla Svizzera di Katharina Küng. Michael Heger / swissinfo.ch

Solo dopo aver visitato il museo di Peringanda, durante un viaggio in Namibia, la zurighese si è resa conto che quell’oggetto era un ornamento tradizionale degli Herero. Prima della colonizzazione dello Stato africano le donne sposate solevano indossarlo in occasione di eventi particolari. Poi, durante il periodo coloniale, le missionarie e i missionari obbligarono la popolazione locale a portare indumenti europei.

Una volta rientrata in Svizzera Küng decise che quell’ornamento doveva tornare in Namibia. Poiché tuttavia la donna non era in possesso di documenti o altre informazioni, non se la sentì di riportare il manufatto di persona nel Paese africano: “Temevo di fare qualcosa di illegale: e se mi avessero arrestata alla frontiera?”.

Küng trovò l’indirizzo di Peringanda online, e insieme decisero che il metodo più sicuro per entrambi era l’invio per posta. Ora l’ornamento è appeso a una parete del museo di Swakopmund.

Ma come era finito nella casa della signora Küng? “Mia madre lavorava come addetta alle pulizie presso persone benestanti”, racconta la donna. Secondo Küng l’oggetto proviene da una di queste case, anche se finora la donna non è riuscita a capire da quale. La madre è deceduta molto tempo fa, così come le persone per le quali essa lavorava.

Durante l’epoca coloniale anche alcune svizzere e alcuni svizzeri si stabilirono in Namibia. Stando allo storico namibiano Dag Henrichsen, dell’Università di Basilea, queste persone possedevano fattorie, erano commercianti, artigiani oppure ingegneri.

Controversie legali sulla restituzione

Katharina Küng è un’eccezione; non tutti, infatti, hanno mostrato la stessa disponibilità a restituire reperti e ornamenti. Basti pensare che Peringanda ha un contenzioso legale aperto con il Museum of Natural History di New York, che si rifiuta di restituire manufatti e resti umani provenienti dalla Namibia. Peringanda ha persino ricevuto minacce di morte da persone di origini tedesco-namibiane.

Anche l’amministrazione comunale di Swakopmund ostacola l’operato di Peringanda, per paura che l’immagine della città venga screditata agli occhi delle turiste e dei turisti. Ciononostante, però, l’uomo non si dà per vinto e continua la sua battaglia anche al di fuori del piccolo museo.

Questa mattina Peringanda riceve presso un cimitero una comitiva proveniente dalla Germania. Mostra le tombe, ben curate e con affissi cognomi europei, e guida il gruppo nella zona in fondo alla struttura.

In questa parte del cimitero il terreno sabbioso è costellato di centinaia di piccoli tumuli, alcuni dei quali sono decorati con pile di sassi; altri invece, in numero minore, ospitano croci di legno.

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Swakopmund e l’”amnesia coloniale”

L’unica epigrafe di tutto il cimitero è quella iscritta sulla vistosa lapide commemorativa che separa la sezione europea da quella africana. Peringanda racconta che in questo luogo riposa un numero indefinito di persone appartenenti alle etnie Nama e Herero, sotterrate alla bell’e meglio tra il 1904 e il 1908 durante la prigionia di guerra. A causarne la morte furono fame, schiavitù, violenze a carattere sessuale, malattie e sfinimento.

Secondo Dag Henrichsen nelle tombe di Swakopmund oltre alle defunte e ai defunti del campo di concentramento riposano anche lavoratrici e lavoratori a contratto dell’etnia degli Ovambo (della regione della Namibia settentrionale) e dei Damara (della regione della Namibia centrale) morti per freddo, tifo e scorbuto, così come uomini provenienti dalle colonie britanniche dell’Africa occidentale e meridionale. A questi si aggiunsero tra il 1918 e il 1919 svariate centinaia di vittime dell’influenza spagnola. Tutte persone che erano state costrette a lavorare per la colonia di popolamento.

Anche Bernd Heyl si adopera affinché il passato venga analizzato in maniera critica: da 16 anni l’accompagnatore organizza viaggi di studio in Namibia, riconosciuti dal Ministero della pubblica istruzione del Land dell’Assia come corsi di perfezionamento per docenti. Heyl ha inoltre redatto una guida turistica postcoloniale della storia imperialistica tedescaCollegamento esterno. Ciononostante, la maggior parte delle turiste e dei turisti che si reca in Namibia non ripercorre questo tragico capitolo, in quella che Heyl stesso battezza “amnesia coloniale”.

L’uomo afferma di aver redatto la guida turistica affinché questa possa stare sugli scaffali delle librerie di Swakopmund accanto a tutte le altre opere reazionarie che esaltano il colonialismo.

La città di Swakopmund, 76’000 abitanti, si presenta come vetrina idilliaca dell’epoca coloniale, con facciate in stile Art nouveau, frontoni guglielmini e vie dai nomi tedeschi, il tutto a occultare la miseria del passato.

Come la Namibia è diventata una colonia tedesca

Nel 1884 la Germania aveva proclamato in Namibia la prima colonia, l’Africa tedesca del Sud-Ovest. Swakopmund, principale città portuale della colonia, era la porta d’entrata per colonizzatrici, colonizzatori e soldati germanici. Mentre le tedesche e i tedeschi costruivano fattorie, le persone del posto venivano declassate a esseri di categoria inferiore, privati delle proprietà e dei diritti.

L'insegna della stazione ferroviaria di Garub, risalente all'epoca coloniale tedesca, nel mezzo del deserto del Namib.
L’insegna della stazione ferroviaria di Garub, risalente all’epoca coloniale tedesca, nel mezzo del deserto del Namib. KEYSTONE

Quando nel gennaio del 1904 la resistenza della popolazione locale aumentò e furono uccisi un centinaio tra colonizzatrici e colonizzatori tedeschi, l’Impero germanico reagì scatenando tutta la violenza del genocidio.

Nella città namibiana a fare da contraltare al museo del genocidio vi è il museo locale, molto più grande. Nel negozio al suo interno vengono venduti libri che, come lasciato intendere da Heyl, esaltano l’epoca imperialistica con toni nostalgici. Nel museo regionale è possibile ammirare una moltitudine di uniformi delle truppe coloniali, contrassegni militari e armi di ogni tipo.

Anni e anni di negoziazioni intense tra il Governo tedesco e quello namibiano sono sfociati, nel giugno del 2021, in una dichiarazione congiuntaCollegamento esterno estremamente controversa che non è ancora stata ratificata e che ha scatenato forti resistenze nel Paese africano. Con questo documento il Governo federale tedesco riconosce che gli eventi di allora vanno considerati, dal punto di vista odierno, un genocidio. Ritiene inoltre un obbligo morale, storico e politico chiedere perdono per le barbarie perpetrate, pur escludendo deliberatamenteCollegamento esterno la responsabilità giuridica. Anziché versare riparazioni di guerra, la Germania intende pagare, su un arco di 30 anni, 1,1 miliardi di euro in aiuti alla ricostruzione.

Le relatrici e i relatori speciali dell’ONU criticanoCollegamento esterno il fatto che gli Herero e i Nama non abbiano preso parte direttamente alle negoziazioni ed esortano il Governo tedesco a versare riparazioni di guerraCollegamento esterno.

Chi invece desidera informarsi sul genocidio deve cercare a lungo: in una sala conferenze nascosta in fondo al museo regionale sono esposti, come lascito di un’esposizione del 2022, un paio di affissi recanti informazioni sul “periodo buio” tra il 1904 e il 1908.

Swakopmund e i tempi che cambiano

A Swakopmund però il tempo non è trascorso in maniera del tutto anonima. Il monumento marino nel centro storico, che commemora i soldati caduti nella battaglia contro gli Herero insorti, è imbrattato di rosso.

La via che porta il nome dell’imperatore Guglielmo oggi è dedicata a Sam Nujoma, primo presidente della giovane repubblica.

Laidlaw Peringanda parla ai turisti della storia coloniale e del genocidio nel Sudafrica tedesco occidentale.
Laidlaw Peringanda parla ai turisti della storia coloniale e del genocidio nel Sudafrica tedesco occidentale. Michael Heger / swissinfo.ch

A simboleggiare i tempi che cambiano vi sono anche le e i giovani che quattro volte all’anno aiutano Peringanda a restaurare i tumuli del cimitero. Secondo lo stesso Peringanda, tra loro vi sono anche molte e molti tedesco-namibiani, che però hanno preferito non rilasciare dichiarazioni a SWI swissinfo.ch.

Nei musei svizzeri si possono tuttora trovare collezioni provenienti dalla Namibia.

Il Museo di storia di Berna ospita una collezione dei coniugi del Giura bernese Victor e Marie Solioz, risalente all’anno 1906. Victor Solioz aveva partecipato alla costruzione dell’infrastruttura coloniale dell’Impero germanico come capo ingegnere delle ferrovie di Otavi, nell’odierna Namibia. Ancora oggi non è chiaro come i coniugi siano riusciti, nel pieno della guerra, a impossessarsi di centinaia di ornamenti e reperti e a trasportarli in Europa via nave.

La collezione fa parte del progetto museale Usakos – Making of Common HistoryCollegamento esterno, realizzato in partenariato tra il museo e alcuni discendenti della comunità di origine. Gli oggetti saranno restituiti entro il 2026.

La più vasta collezione etnografica della Namibia precoloniale è esposta presso il museo etnologico dell’Università di Zurigo ed è ispirata dai viaggi effettuati da Hans Schinz, botanico zurighese, tra il 1884 e il 1886. In un comunicato stampaCollegamento esterno il museo descrive la difficoltà di trovare un modo adeguato ed eticamente sostenibile di esporre gli oggetti della collezione.

A cura di Benjamin von Wyl.

Immagini: Thomas Kern.

Traduzione di Stefano Zeni.

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