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Quando è la cultura a portare «verità e giustizia» in Congo

Immagine tribunale in Congo
Nel tribunale istituito da Milo Rau nella Repubblica democratica del Congo, vittime e persecutori si sono ritrovati per la prima volta davanti alla giustizia. pardo.ch

Oltre sei milioni di morti nella più totale impunità: è il bilancio della guerra che da vent'anni scuote la Repubblica democratica del Congo, uno dei paesi più ricchi di materie prime. Di chi è la responsabilità? È la domanda alla quale ha cercato di rispondere il regista svizzero Milo Rau, inscenando un tribunale fittizio che ha il merito di rompere la cultura del silenzio. Da questo progetto ambizioso è nato un documentario, presentato in prima mondiale al Festival del film di Locarno. 

La scritta «Verità e giustizia» troneggia nell’aula della scuola di Bukavu, a pochi chilometri dall’Uganda. È una giornata di maggio del 2015 e la gente ha fatto la coda per assistere al primo tribunale internazionale sul Congo, svoltosi nella primavera del 2015. Sono venuti quasi tutti: ministri, membri dell’opposizione, rappresentanti delle multinazionali estrattive, attivisti, intellettuali e soprattutto la popolazione, intenzionata a dire «basta» a massacri e soprusi. 

Dalla caduta del dittatore Mobutu nel 1997, la Repubblica democratica del Congo (RDC) è infatti teatro di un conflitto che ha portato alla morte di oltre sei milioni di persone, secondo le Nazioni Unite. Un conflitto che trova origine nel sottosuolo, dove giace una ricchezza immensa di materie prime, sfruttata dalle grandi multinazionali e dai paesi vicini, diventati una piattaforma di riciclaggio. I massacri di civili, le faide etniche e gli stupri sono così utilizzati per controllare i territori dell’est e del sud, dove si trovano oro, cobalto, uranio e soprattutto coltano, fondamentale per la produzione di telefoni cellulari e computer, di cui il Congo detiene oltre la metà dei giacimenti mondiali.

Ritratto Milo Rau
Nato a Berna nel 1977, Milo Rau studia sociologia, filologia romanica e germanistica a Parigi, Berlino e Zurigo. Dal 2002 a oggi ha realizzato oltre cinquanta opere tra pièce teatrali, film, libri e iniziative, presentate nei principali festival internazionali e distribuite in oltre trenta paesi. pardo.ch

La comunità internazionale alla sbarra 

«Ho perso la mia casa, la mia terra e le mie capre, morte perché hanno bevuto l’acqua inquinata dalle multinazionali estrattive», racconta un contadino davanti al tribunale di Milo Rau. Le testimonianze si susseguono per tre giorni nella scuola di Bukavu, con non pochi colpi di scena. L’ammissione di un membro dei ribelli, coperto da un cappuccio che lo fa assomigliare ad un apicoltore, non è che un esempio: «I ribelli non sono i soli a violentare le donne, anche l’esercito fa lo stesso», dice laconico. In sala la popolazione sussulta, mentre il governatore seduto in prima fila sorride beffardo. 

A dirigere i lavori del tribunale c’è un giudice speciale: Jean-Louis Gilissen, tra le personalità che hanno permesso l’istituzione della Corte penale internazionale dell’Aja. «Ci sono cose nella vita che non si possono rifiutare», ha spiegato il belga, venuto a presentare il film «Das Kongo Tribunal» a Locarno. 

La comunità internazionale non è mai riuscita a mettere in piedi un tribunale sul Congo, ha proseguito l’esperto di diritto internazionale, e questo progetto rappresenta un’alternativa, la possibilità di dar voce ai senza voce. Il conflitto in Congo ha però anche, e forse sopratutto, diramazioni internazionali. Da qui l’idea di Milo Rau di inscenare un secondo tribunale a Berlino, là dove nel 1885 l’Africa è stata spartita tra le grandi potenze europee. Sotto accusa questa volta ci sono diverse istituzioni internazionali, come la Banca mondiale, l’Unione europea e le Nazioni Unite, sospettate di complicità in questa guerra per il denaro.

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Un teatro politico e rivoluzionario

Fondatore dell’Istituto internazionale dei crimini politici, il 40enne Milo Rau non è nuovo a progetti di questo tipo. Nel 2013 aveva infatti già inscenato un processo a Mosca contro le Pussy Riot e un altro a Zurigo contro il settimanale della destra conservatrice “Weltwoche”. Il suo teatro politico si iscrive d’altronde nella tradizione fondata negli anni Sessanta dai filosofi Jean-Paul Sartre e Bertrand Russell, che avevano creato un progetto analogo sui crimini commessi in Vietnam.

Questo progetto è però forse il più ambizioso della sua carriera. Da un lato perché il conflitto in Congo è ancora in corso e dall’altro perché il materiale raccolto sul posto e durante gli spettacoli a Bukavu e a Berlino sarà utilizzato per la creazione di un sito internet dedicato al conflitto, di un libro e perfino di un videogioco. Il messaggio trasmesso dal regista è chiaro: se c’è volontà politica, fare giustizia è possibile. 

I primi a vedere «Das Kongo Tribunal» non sono però stati gli spettatori del festival, che per ore hanno atteso di poter entrare in sala, ma la popolazione congolese. Milo Rau ha infatti voluto restituire questa storia alla gente e l’emozione è stata grande. «Mai in 50 anni qualcuno aveva dato la parola alla popolazione congolese», ha affermato commosso Jean-Louis Gilissen. La legge del silenzio è stata rotta e dei piccoli semi di verità stanno germogliando in Congo, dove in questi due anni la gente ha organizzato dei piccoli tribunali spontanei, sul modello di quello di Milo Rau. 

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La Svizzera al centro del dibattito 

Seppure assente dal banco degli imputati, anche la Svizzera è un attore principale della guerra economica in Congo. Sul suo territorio hanno sede alcune tra le più grandi multinazionali attive nel settore delle materie prime. Tra queste figura non solo la Glencore, proprietaria di diverse miniere, ma anche la società Alphamin, accusata nel documentario di esproprio e danni ambientali. Multinazionali che in Congo non pagano alcuna tassa sui propri benefici, lasciando così la popolazione a mani vuote. Dalla Svizzera passa inoltre la maggior parte dell’oro prodotto nel mondo, per essere raffinato e poi rivenduto. 

Di fronte alle responsabilità elvetiche, la presenza in sala di Simonetta Sommaruga non poteva passare inosservata. Interrogata da uno spettatore, la ministra di giustizia e polizia ha tenuto a ricordare che il governo ha presentato un progetto per obbligare le multinazionali attive nel settore delle materie prime a maggior trasparenza. Ora spetta al parlamento approvarlo, ha affermato Sommaruga. 

Un piccolo passo che non soddisfa però le organizzazioni di difesa dei diritti umani, che nell’ottobre del 2016 hanno depositato un’iniziativa popolare. Il testo chiede di obbligare le imprese con sede in Svizzera a rispettare i diritti umani e gli standard ambientali anche all’estero e, in caso di violazioni, che il caso venga portato davanti ai tribunali elvetici. Ad avere l’ultima parola sarà dunque il popolo. Per quanto riguarda la corte di Milo Rau, invece, la sentenza è stata senza appello: la giuria ha chiesto di portare le violazioni in Congo davanti a un tribunale internazionale per mettere fine all’impunità, ma anche di indagare più da vicino sul ruolo della Banca mondiale e di altre istituzioni.

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