“Scrivere è come il gesto di un bambino”
Dorothee Elmiger è il più brillante astro nascente della letteratura svizzera. Con opere che spingono il lettore al di là delle consuetudini, figura per la terza volta tra i nominati al Premio svizzero del libro. L’abbiamo incontrata.
È un puro caso: lo stesso giorno in cui festeggia il vernissage del suo nuovo libro viene diramata la rosa dei nominati al Premio svizzero del libro e al suo pendant tedesco, i due principali premi letterari dell’area germanofona. Per un attimo, quando il suo lettore le ha dato la notizia, ha provato un leggero rammarico, confessa Dorothee Elmiger al vernissage di Zurigo.
«Scrivere è come il gesto di un bambino che gioca nel fango, poi trova un sasso e tutto contento smania per mostrarlo agli altri, esaminarlo e descriverlo con loro», ci spiega. In campo letterario, invece, i libri vengono messi subito in fila, in un grande gioco di competizione. «Sono visti come antagonisti gli uni degli altri, invece di sondarne l’anima e scoprire se hanno degli elementi in comune.»
La critica letteraria Anne-Sophie Scholl incontra nella serie “Mondi letterari svizzeri” le più importanti autrici e i più importanti autori del presente. Primo ritratto: Arno Camenisch, anno di nascita 1978.
Grazie ai suoi due romanzi d’esordio «Einladung an die Waghalsigen» (2010) e «Schlafgänger» (2014) l’autrice è già stata nominata due volte per il Premio svizzero del libro e insignita di altri importanti riconoscimenti. Ciononostante è stata ripetutamente sul punto di gettare tutto alle ortiche. Per fortuna non l’ha fatto. E ovviamente è felice di essere stata nominata, ma soprattutto si compiace dell’attenzione proiettata su un libro come il suo.
“Per molto tempo non ho capito cosa stavo cercando”
Dorothee Elmiger, autrice
In effetti «Aus der Zuckerfabrik» sfida il lettore ad abbandonare le proprie abitudini, poiché come i libri precedenti anche questo non ha una trama. Diversamente dagli altri, catalogati dall’editore come «romanzi», l’ultimo non ha etichette. Si tratta forse di un saggio, ossia di «un tentativo di strutturare le cose», come si può anche leggere al suo interno? O è un romanzo? Una raccolta di appunti o piuttosto un rapporto di ricerca? Il libro presenta senza dubbio degli aspetti immaginari. Ma è anche il condensato artistico di una ricerca.
Lavoro di ricerca artistico
Il testo parte e si snoda dalla scena di un documentario degli anni 1980 dedicato al primo vincitore del lotto svizzero Werner Bruni: un operaio dell’Oberland bernese che nel giro di poco tempo sperpera tutto quello che aveva guadagnato, 1,7 milioni di franchi. Il film mostra la vendita all’asta cui Bruni stesso non prende parte. La gente del posto accorre in massa, il locale è gremito. Vengono proposti un paio di bottiglie di vino, una carabina e due figure femminili in legno nero o pietra, provenienti probabilmente da Haiti. «Guardate che magnifico seno», scandisce il banditore per aumentarne il prezzo. Poi, dopo averle battute, sentenzia: «E così ci siamo sbarazzati anche di queste vecchie p————.»
Quando ha visto la scena per la prima volta ne è rimasta elettrizzata, ricorda Dorothee Elmiger durante un incontro in un caffè del suo quartiere. Tanto da doverla rivedere più e più volta. “Ma per molto tempo non ho capito cosa stavo cercando».
Nel libro il suo alter ego afferma di intravedere qualcosa che non riesce a formulare, ma forse al massimo a riscoprire «nei rapporti di una struttura simile, analoga, in similitudini, ripetizioni, parallelismi». Ed è ciò che fa l’autrice nel suo libro: raccoglie i passaggi in cui risuona l’eco delle tematiche riassunte in questi brevi fotogrammi. Generosa nel tempo e nello spazio, racconta il capitalismo, l’esportazione dei suoi rapporti di lavoro nel Nuovo mondo. Si tratta però anche di razzismo e sessismo. Di una fame insaziabile, della voglia di travalicare se stessi. Di brama, passione o estasi. E si parla di come un simile impulso o desiderio possa deragliare e trasformarsi in qualcosa di distruttivo.
Nei testi dell’autore irlandese James Joyce si trova ad esempio la figura di Eveline. Seduta alla finestra si interroga se partire o meno per Buenos Aires, varcare l’Atlantico, sulla nave ancorata al porto. E facendolo le tornano in mente le enigmatiche parole della madre agonizzante: «Derevaun Seraun!» — esclamazione intraducibile, di cui esistono interpretazioni contrapposte. Un’esortazione alla scoperta. O ancora un monito per chi abbandona la sicurezza. «Una scoperta fantastica», afferma Dorothee Elmiger, «che permette di schiudere nuove possibilità.»
La Eveline di Joyce trova eco ad esempio nella mistica Teresa d‘Avila, i cui fratelli partono uniti per il Nuovo mondo lasciandola sola. Nell’estasi religiosa Teresa riesce a scoprire un modo per evadere ed elevarsi. Nel testo si trovano inoltre dei parallelismi con la pazzia e il delirio.
La bellezza della trasparenza
Ora, con tutti i temi evocati nel libro: di cosa tratta in sostanza? Dorothee Elmiger abbozza un sorriso. «Ho il diritto, come autrice, di rispondere a questa domanda o facendolo tradisco il testo?», ribatte. I suoi testi non sono volontariamente criptici ed è ben contenta di fornire un aiuto alla lettura. Ma il fascino del testo è la sua trasparenza, che lei vuole assolutamente conservare intatta.
Dorothee Elmiger ha 35 anni. Cresciuta in un villaggio dell’Appenzello ha studiato all’Istituto svizzero di letteratura. Dopo tappe a Lipsia e Berlino si è stabilita a Zurigo, dove vive tuttora.
Non bisogna lasciarsi intimidire dalla forma sperimentale del testo, e neppure dalle citazioni erudite o dai nomi che potrebbero incutere timore. Il suo editore Jo Lendle, che ha già curato la pubblicazione dei testi di Elmiger prima per Du Mont e ora per Hanser – due case editrici note al grande pubblico – afferma: Dorothee Elmiger accetta che l’acquisizione della conoscenza non avviene in linea retta e mostra che gli schemi di questi tortuosi percorsi favoriscono essi stessi la sua conquista. «Indaga i fenomeni seguendone le tracce, con caparbietà, intensità e avvedutezza, poi li circonda, getta delle reti. E sono proprio queste reti di riferimento a rendere la sua scrittura così incomparabile», prosegue.
All’inizio del libro Dorothee Elmiger abbozza l’immagine di un groviglio che imprigiona il suo ego. Un groviglio zeppo di reperti — appunti, annotazioni e frammenti di testo sparpagliati in un ampio spazio: «Qui non esiste un ordine fisso», scrive. «Da ogni incontro con il caos le relazioni tra le cose sembrano uscire trasformate.»
Le relazioni tra le cose sono al centro della sua attenzione. A proposito del gioco d’azzardo afferma che forse rappresenta «la speranza, affrancata da ogni vincolo politico, di emancipazione e libertà», l’auspicio di una nuova condizione. E sull‘asta: sarebbe un «rituale» che ripristina «l’ordine originario». Il libro è un mosaico di testi che dialogano tra di loro in modo ambiguo, a tratti inebriante. È un invito a riflettere sulla condizione in cui viviamo, e di cui siamo integralmente parte.
Il romanzo d’esordio di Dorothee Elmiger «Einladung an die Waghalsigen» (2010) parla di due sorelle in un mondo post apocalittico. Il secondo lavoro «Schlafgänger» è una ricerca sui confini e i limiti. L’opera più recente «Aus der Zuckerfabrik» si appoggia e parte dalla produzione dello zucchero: da un lato la quintessenza dell’appetito, della ghiottoneria, del piacere e dello sfizio. Ma che dall’altro, volgendo uno sguardo a ritroso nella Storia, veniva prodotto nel Nuovo mondo in condizioni disumane da persone in schiavitù. Schiavi che prendono il posto dei salariati, poiché nel primo capitalismo globale il sistema del lavoro retribuito non ha varcato l’oceano. Nel libro Dorothee Elmiger assembla estratti di testi provenienti da ambiti apparentemente molto distanti tra loro come la psichiatria, il misticismo o la letteratura di Max Frisch. È un modo per far riflettere sugli intrecci nel nostro mondo. Una lettura che vale la pena, anche per l’accuratezza e l’eleganza del linguaggio.
Dorothee Elmiger: «Aus der Zuckerfabrik», Hanser 272 pagine.
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