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E se domani, mettiamo il caso,… Lugano

Marco Solari, uno sguardo al passato e al futuro di Locarno Pardo.ch

Titolino sibillino, può darsi. Soprattutto se sullo sfondo c’è il manto maculato del Pardo. Spesso sono le domande ad essere più importanti delle risposte. E quando è Marco Solari a porsele, non c’è mai nulla di banale. Incontro con un uomo di visioni.

“E se domani, e sottolineo se…mettiamo il caso…”. Prendiamo in prestito, invero con qualche forzatura, le parole di una canzone di Mina, per dare le ali ad una di quelle domande che Marco Solari, presidente del Festival del film Locarno esattamente da dieci anni, ogni tanto tira fuori dal suo mondo di visioni. E che spesso hanno l’effetto del sassolino nello stagno. Intervista.

swissinfo.che: Presidente, dieci anni alla testa del Festival sono passati velocemente. Quali sono stati i momenti migliori?

Marco Solari: Ci sono, certo, momenti buoni che hanno segnato la mia presidenza. Sono tre e coincidono con l’adesione dei tre direttori artistici. A cominciare dal sì di Irene Bignardi. Mi aveva telefonato da Roma mentre io ero in un tram di Zurigo, al Bürkliplatz. Ero felicissimo della sua risposta, perché era stato un avvicinamento, anzi un corteggiamento, molto lungo. Poi c’è stato Frédéric Maire, l’uomo giusto, al posto giusto, al momento giusto.

E infine Olivier Père. Oggi nelle interviste dice di aver subito visto che il Festival di Locarno – «molto più apprezzato all’estero che in patria» – rappresentava per lui un’opportunità. Ma, taciturno e misterioso come una sfinge, mi ha in realtà tenuto sulle spine per una settimana. Confesso che non ci speravo più. E mi sarebbe dispiaciuto, poiché Olivier ha uno spessore intellettuale e culturale fuori dal comune.

swissinfo.ch: Allora c’è un dettaglio che vi accomuna: la sobrietà

M.S.: Quando un sì nasce da una riflessione approfondita, ponderata, meditata, è un sì vero. Nella vita ho imparato ad apprezzare moltissimo gli introversi e un po’ meno gli estroversi, che sono subito entusiasti, ti abbracciano, ti sorridono e poi spesso ti abbandonano. L’introversione è una delle caratteristiche della Svizzera tedesca, ma quando dà la sua parola, è profondamente leale. La Svizzera tedesca non tradisce. Olivier è di poche parole, è vero. Ma le sue sono parole essenziali.

swissinfo.ch: Come è cambiato il Festival in questi dieci anni?

M.S.: È diventato grandissimo ed è cambiato dal punto di vista organizzativo. Al mio arrivo era stata chiesta l’aziendalizzazione. Inevitabile, dal momento che le dimensioni assunte dal Festival non consentono più le improvvisazioni.

Questo è un treno che ti viene addosso, tutto quello che non riesci a fare lo perdi per strada. Sotto la mia presidenza questo obiettivo è stato raggiunto. Il Festival viene ora gestito con criteri manageriali e con un rigore finanziario su cui non transigo.

swissinfo.ch: Nel tessuto locale le radici del Festival sono sufficientemente profonde? Dove si può migliorare?

M.S.: In tutti questi anni abbiamo lavorato affinché il Festival sia una manifestazione per la popolazione. Il Festival deve evidentemente servire alla cultura – ed è il suo scopo principale – ma la sua valenza economica porta benefici a tutto il cantone.

Mi si dice che sono sempre in giro a chiedere soldi. È vero. Ma lo devo fare. Perché devo mantenere questo Festival a livello mondiale. Altrimenti rischia di trasformarsi in un Open air di nicchia. Se il Festival dovesse perdere la sua forza attrattiva, perderebbe inevitabilmente anche la sua valenza economica.

Il Festival serve anche politicamente a tutto il Ticino. E se i consiglieri federali continuano ad affermare che è la manifestazione più importante della Svizzera, allora occorre rafforzarla ulteriormente.

swissinfo.ch: Locarno non è solo una passerella per i politici…

M.S.: No. Una volta all’anno il Festival trasforma il Locarnese e la Svizzera italiana in una crocevia di personalità politiche dove si intrecciano fitti contatti anche ad alto livello istituzionale. Un fatto che per la prima volta, e dopo tanti anni, è stato anche rilevato dalla NZZ am Sonntag. Gli appuntamenti sono tanti: dal Dîner Républicain di Frank A. Meyer, all’incontro dell’economia svizzera organizzata da Rolando Benedick, alla cena del Mondo politico di Ruth Waldburger fino al pranzo al Monte Verità in onore del ministro della cultura da parte di Ascona.

swissinfo.ch: Cultura e politica, difficile trovare l’equilibrio…

M.S.: La Svizzera stessa è un gioco di sottilissimi equilibri. E questa dinamica rientra anche nei finanziamenti alla cultura. Se noi, come Festival, non fossimo riusciti ad interessare l’economia privata e non avessimo cercato e trovato – anche in tempi difficili – il suo sostegno, la politica non lo avrebbe fatto. Ma è reciproco. Se la politica non avesse dimostrato interesse per il Festival, l’economia sarebbe stata latitante.

Il mio compito è di tenere in mano tutti questi fili, e qualche concessione risulta inevitabile. Anche questo è un gioco di equilibri: so dove posso dare e so dove posso prendere. Ma i contenuti artistici della manifestazione non sono negoziabili, nel modo più assoluto.

swissinfo.ch: Come vede il futuro?

M.S.: L’evoluzione di un festival non è mai lineare. È un susseguirsi di scossoni che noi cerchiamo di tenere sotto controllo e non solo a livello di gestione finanziaria. Adesso, per esempio, a noi mancano quei 200-300 mila franchi che dobbiamo assolutamente trovare.

È chiaro che il Festival crescerà ancora. E crescerà molto. Pensando al futuro, quando Locarno e Lugano saranno separate solo da 20 minuti di treno – parlo del 2020, quando il Ticino sarà una sola città e la linea ferroviaria sotto il Monte Ceneri una metropolitana che collega due quartieri – sarebbe davvero impossibile immaginare una piccola sezione anche a Lugano?

È una domanda alla quale per ora non ho risposta… C’è tempo. Sono sempre stato un grande difensore dell’unità dello spazio e del tempo di un festival. Ma come siamo riusciti a coinvolgere il Cantone, oggi dobbiamo cominciare a porci la domanda su come coinvolgere maggiormente anche le altre regioni del Ticino, come Bellinzona, Lugano, il Mendrisiotto.

swissinfo.ch: …e spesso le domande sono più importanti delle risposte…

M.S.: (grande sorriso)

swissinfo.ch: Di tutti i personaggi famosi che lei ha incontrato, quale le è rimasto maggiormente impresso?

M.S.: Ce ne sono tanti. A cominciare da Susan Sarandon. Oltre ad essere una bella donna, ha un carisma straordinario, una grinta e un’energia fuori dal comune e uno spessore intellettuale notevolissimo. Che dire poi di Michel Piccoli, un giovane di 80 anni.

Dopo aver trascorso tutta una giornata al Festival, intervenendo pubblicamente, concedendosi con generosità a tutti, ho voluto salutarlo. Mi sono detto: sarà stanchissimo. Ebbene, come mi ha visto, ha cominciato a parlare.

Nello spazio di mezz’ora non ha detto una sola frase scontata, non una banalità, non una risposta lontanamente prevedibile alle mie domande. Nuove idee, nuovi concetti, nuove analisi, un’intelligenza vivace e acuta. Ancora adesso ne sono attonito.

E poi c’è quell’istrione di Dario Fo, premio Nobel, che attende, nervoso, di salire sul palco di Piazza Grande. Io cerco di tranquillizzarlo, mi lancia uno sguardo… Si, ho avuto la mia umiliazione. Sale dunque sul palco. Guarda la Piazza, in silenzio. Pochissimi secondi e quella Piazza ce l’aveva totalmente in mano. Poteva farne ciò che voleva. Affascinante e inquietante al tempo stesso. La magia del Festival è anche questo.

Françoise Gehring, Locarno, swissinfo.ch

Secondo Marco Solari occorre migliorare la ricezione turistica.

A Locarno, per esempio, mancano camere d’albergo ed è assolutamente necessario aumentare l’attrattiva della regione.

Bisogna finalmente riaprire il Grand Hotel come albergo. Quella del Grand Hotel – insiste il presidente del Festival – è una chiusura traumatica. Sono sei anni che nutro speranze. Mi auguro che un giorno le porte si apriranno. È sbagliato sottovalutare la forza evocativa del Grand Hotel”.

Il Festival di Zurigo rappresenta una concorrenza?

Zurigo – sottolinea Marco Solari – lavora bene. Ho imparato a mai sottovalutare Zurigo, poiché quando si pone degli obiettivi, solitamente li raggiunge: ha i soldi, ha le persone, ha le strutture, ha la stampa.

E ancora: “Se mi si chiede se questo Festival fosse davvero necessario, sorridendo risponderei di no. Ma alla fine mi consolo, poiché credo che la concorrenza sia sempre tonificante”.

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