Film svizzero censurato in Myanmar
Durante la proiezione a Yangon del film "L'ordine divino", di Petra Volpe, un foglio di carta è posto davanti al proiettore per nascondere il modello anatomico di una vagina. Un caso di censura tutt'altro che isolato in Myanmar.
“Dobbiamo conoscere meglio la nostra vagina”, spiega una giovane hippy durante un corso sulla sessualità, mostrando alle donne presenti – sedute per terra – un modello di plastica dell’organo genitale femminile e un poster con diverse immagini grafiche della vulva. Poi distribuisce a ognuna di loro uno specchietto, invitandole a guardarsi tra le gambe.
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La scena è tratta dal film elvetico “L’ordine divino”, di Petra Volpe. Commedia drammatica, la pellicola è ambientata nel 1971 in un villaggio del cantone di Appenzello Esterno e racconta la lotta per il suffragio femminile. Uscito lo scorso anno nelle sale svizzere, dove ha raccolto i favori di pubblico e critica, il film è ora giunto in Myanmar nell’ambito dell’European Film Festival, svoltosi a fine settembre a Yangon.
Al vaglio delle autorità di censura
Nella metropoli birmana, tuttavia, si suppone che per il pubblico la rappresentazione grafica degli organi genitali sia eccessiva. Durante il film, un pezzo di carta è stato dunque posto davanti al proiettore per coprire le immagini apparentemente scabrose. Non tutta la scena, però, ma soltanto il modello di vagina e il manifesto. Un attimo di ritardo e un po’ d’imprecisione permettono tuttavia al pubblico d’intravvedere la vulva e nella sala del cinema Nay Pyi Taw scoppia una grande risata.
Nel frattempo, l’audio non viene mai interrotto. Il film è proiettato in lingua originale, ossia in svizzero-tedesco, con sottotitoli in inglese. La censura si ripete poi alla fine del film, durante una scena di sesso orale nella quale si vede soltanto la testa del marito della protagonista tra le sue cosce.
Interventi di questo tipo non sono rari in Myanmar: tutti i film proiettati in una sala cinematografica pubblica devono infatti essere sottoposti all’approvazione delle autorità di censura e capita che alcune scene vengano nascoste con un foglio di carta. Direttore del Goethe Institut di Yangon, co-organizzatore del festival assieme a una delegazione dell’Unione europea, Franz-Xaver Augustin conosce bene la problematica. “Vengono sempre censurate solo le rappresentazioni della nudità e della sessualità, mai le scene politiche o violente”, afferma. Di fatto quest’anno all’European Film Festival sono state proiettate anche pellicole su nazismo, omosessualità, droga, gitani o madri sole. “Con questa manifestazione vogliamo promuovere gli scambi culturali tra il Myanmar e l’Europa e mostrare, attraverso i film, la diversità che caratterizza il continente”, spiega Franz-Xaver Augustin.
Film a sfondo politico
L’ambasciata svizzera in Myanmar partecipa da tempo al festival di Yangon, presentando ogni anno un film. Non è la prima volta che la censura si abbatte sulle opere elvetiche e il fatto che quest’anno abbia colpito “L’ordine divino” non stupisce particolarmente Agnès Christeler. Per la responsabile della sezione politica, economica e culturale dell’ambasciata ciò che conta però è il messaggio politico trasmesso. “Con umorismo e semplicità, il film tratta il tema universale dei diritti delle donne, che rappresenta anche una componente importante della politica estera svizzera e della cooperazione allo sviluppo in Myanmar”.
L’opera di Petra Volte è stata selezionata anche perché, più in generale, parla della lotta sociale e politica a favore delle minoranze e del coraggio di difendere i propri diritti malgrado le pressioni esistenti. “Dato che il Myanmar si trova attualmente in una fase di transizione politica, uno sguardo sul sistema svizzero di democrazia diretta offre un interessante spunto di riflessione per il pubblico, che è prevalentemente giovane”, dichiara Agnès Christeler.
L’European Film Festival è la manifestazione più longeva di arte e cultura straniera in Myanmar. È stato fondato nel 1991 da diverse ambasciate, come alternativa alla propaganda statale durante la dittatura militare. Attraverso la presentazione di film indipendenti, il festival vuole mostrare la pluralità culturale e sociale europea e contrastare l’influenza dei blockbuster di Hollywood e Bollywood.
La lunga strada verso il suffragio femminile
1868: un gruppo di donne zurighesi rivendica invano il diritto di voto in occasione della revisione della Costituzione cantonale. Altre iniziative in tal senso vengono lanciate in altri cantoni nella prima metà del Novecento, sempre senza successo.
1951: Alla luce dei ripetuti fallimenti a livello cantonale, il governo svizzero pubblica un rapporto nel quale considera prematura una votazione federale sul tema.
1957: Il governo vuole estendere alle donne il servizio obbligatorio di protezione civile. La proposta scatena l’ira delle associazioni femminili, che si oppongono a nuovi obblighi in assenza di diritti politici. Per salvare il progetto, il governo presenta una bozza per una votazione sul suffragio femminile. Lo stesso anno, per la prima volta nella storia elvetica, alcune donne si recano alle urne a Unterbäch, in Vallese, contro la volontà del cantone.
1959: Il suffragio femminile viene respinto in votazione popolare con il 66,9% di no e una partecipazione del 66,7%. Il progetto è accolto solo nei cantoni di Vaud, Ginevra e Neuchâtel.
1963: La Svizzera entra a far parte del Consiglio d’Europa. Non ratifica però la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (CEDU), poiché non ha ancora accordato il diritto di voto e di eleggibilità alle donne. Nel 1969, in seguito alle proteste del Movimento di liberazione della donna, il governo è costretto a presentare una nuova proposta.
1971: Con il 65,7% di sì, i votanti maschi accordano il diritto di voto e di eleggibilità alle donne a livello federale, 53 anni dopo l’Austria e la Germania, 27 dopo la Francia e 26 dopo l’Italia.
1990: Appenzello Interno è l’ultimo cantone a introdurre il suffragio femminile, in seguito a una sentenza del Tribunale federale.
(L’autrice dell’articolo può essere contattata via TwitterCollegamento esterno)
(Traduzione dal tedesco: Stefania Summermatter)
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