Straniamento in Svizzera: Teju Cole ritrae il silenzio
Il fotografo, scrittore e critico statunitense Teju Cole ha passato le estati tra il 2014 e il 2019 in Svizzera, esplorando immagini e segnali di spazi vuoti circondati dalle montagne. Ne è scaturito il libro "Fernweh" (in tedesco il desiderio di essere lontani), un'opera dall'impatto ancora più forte, in quest'epoca di isolamento.
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Nato a San Paolo, in Brasile, membro della redazione portoghese e responsabile della rubrica culturale di swissinfo.ch. Basato a Zurigo, Simantob ha lavorato per la carta stampata e i media digitali, per coproduzioni internazionali di documentari, nelle arti visive (terza biennale di Bahia; Johann jacobs Museum/Zurigo), ed è stato professore ospite in narrativa transmediale presso l'Alta scuola di Lucerna (HSLU – Camera Arts, 2013-17)
Il momento non potrebbe essere più (in)adatto. Dopo l’uscita di “FernwehCollegamento esterno” in febbraio, in buona parte dei paesi europei sono state introdotte severe misure di confinamento per frenare il contagio da coronavirus.
Improvvisamente, quella che doveva essere un’esplorazione visiva senza tempo degli spazi della Svizzera in tutto il loro silenzio e in tutta la loro vanagloria, è diventata una sorta di specchio oscuro della realtà immediata.
Invitato dalla Casa delle letteratura di Zurigo per una residenza artistica, Teju Cole ha passato la metà del 2014 a viaggiare e scattare foto in giro per il paese, mentre stava scrivendo un progetto dedicato a Lagos, in Nigeria, dove ha trascorso la sua infanzia.
Per Cole, non ci sono antipodi più estremi. “Sono cresciuto senza montagne, vicino alla laguna e al mare, in una città in cui le uniche alture sono i grattacieli. Ero abituato agli estremi della vita di città: la folla, il traffico, l’energia, il crimine. Ma gli estremi della natura, i fenomeni meteorologici violenti, il terreno vertiginoso, mi erano estranei.”
Durante il suo soggiorno in Svizzera, Cole ha detto di non essersi mai annoiato. Perfetto estraneo in transito, si è crogiolato nella sensazione di essere sospeso nel tempo, mentre attraversava in solitudine una sorta di non-luogo. La parola “Fernweh” è difficile da tradurre: è l’opposto del più comune “Heimweh”, la nostalgia di casa, è il desiderio di essere lontani.
La parola tedesca per la nostalgia di casa è Heimweh. La leggenda dice che i mercenari svizzeri tra il tardo medioevo e l’età moderna, sparpagliati in tutta Europa a combattere guerre a loro estranee, non erano soldati facili alle debolezze. Ma avevano un’intensa nostalgia di casa, delle montagne dei loro cantoni, dei loro laghi cristallini, delle loro cime protettrici. È questo il sentimento che chiamarono Heimweh.
Le prime cure per i disturbi psicosomatici risalgono al 1688 e furono prodigate dal medico svizzero Johannes Hofer, che coniò anche il termine “nostalgia”.
La parola Heimweh, assorbita dal tedesco standard, fu presto accompagnata da un antonimo, Fernweh. Equivale al desiderio di essere distanti da casa, di trovarsi in luoghi lontani. Fernweh è simile a Wanderlust, il desiderio di viaggiare, ma al pari di Hemweh, suggerisce un malessere, una melanconia.
Il termine Wanderlust è radicato nel Romanticismo tedesco ed è connesso all’idea di passeggiare nella natura. Si pensi al dipinto di Caspar David Friedrich che ritrae un viandante solitario in un paesaggio spettacolare, in comunione con la grandezza e la complessità della natura.
Fernweh è più impreciso. È il semplice desiderio di essere lontani. Fernweh: il sospiro delle sillabe.
Dopo il primo soggiorno, ha trascorso cinque estati nell’esotico paese alpino, convinto che per comprendere la Svizzera sia necessario comprendere le sue montagne.
Il passaggio delle Alpi, prima e dopo il tunnel del Gottardo, è un’avventura che ha ispirato e sfidato alcune delle migliori menti europee, artisti e scrittori. L’ideale della Svizzera attraversa l’arte e la letteratura europee, diffondendosi nel mondo. Da decenni la Svizzera è del resto il set principale delle scene romantiche dei film di Bollywood.
Tutto l’orgoglio per la sua lunga storia nazionale “moderna”, che si estende su 700 anni, non può evitare alla Svizzera di ritrovarsi invischiata nell’idea che se ne fanno gli altri. Si potrebbe dire che la Svizzera è stata inventata dall’industria turistica britannica del XIX secolo, che la considerava una destinazione esotica e a buon mercato (!) per la crescente classe media borghese.
Prima di questo, tra il XVII e il XIX secolo, la Svizzera aveva un posto di rilievo nell’immaginario dell’aristocrazia britannica, come parte del Grand Tour, il viaggio attraverso il continente che per i giovani nobiluomini e le giovani nobildonne rappresentava il rito di passaggio verso la saggezza cosmopolita dell’età adulta.
Teju Cole, dal canto suo, è molto consapevole dell’immagine della Svizzera, della sua storia e della sua geografia. Ammette anche candidamente i suoi dubbi e non sa con certezza se il suo tentativo sia destinato al successo, in termini intellettuali e creativi.
Cole usa immagini e testi per confrontarsi con le nozioni tradizionali sulla Svizzera. I suoi pensieri e le sue riflessioni accompagnano una galleria di immagini apparentemente noiose, dando loro vita.
Quale che sia l’impressione che riesce a proiettare, una cosa è certa: Teju Cole si è definitivamente unito alla schiera di artisti e pensatori che danno forma alle cartoline mentali della Svizzera nel nostro inconscio collettivo.
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