Gli svizzeri si ritrovano ad Arles, la loro ‘enclave’ nel sud della Francia
Il 'Nonante-neuf', lo spazio culturale svizzero al Festival internazionale della fotografia di Arles, si è trasferito nella parte storica della città. Gli svizzeri sono al centro di 14 esposizioni. Storia d'amore o 'colonizzazione'?
Il visitatore che scopre in estate la città di Arles, nel sud della Francia, rimarrà sorpreso dalla forte presenza elvetica. Durante i Rencontres de la PhotographieCollegamento esterno, il Festival internazionale della fotografia (2 luglio-23 settembre 2018), potrà scoprire le esposizioni del Nonante-neufCollegamento esterno, luogo svizzero per eccellenza, e accomodarsi su una sdraio su cui è stampato “Sous les pavés, la Suisse”, dallo slogan del maggio ’68 in Francia “Sous les pavés, la plage” (Sotto i sampietrini c’è la spiaggia).
Potrà anche incontrare degli studenti delle scuole di arte e design di Losanna (ECALCollegamento esterno) e di Ginevra (HEADCollegamento esterno). E si estasierà di fronte alle opere dei più grandi fotografi svizzeri, tra cui Robert Frank e René Burri.
A capo di Presenza SvizzeraCollegamento esterno, l’ente governativo per la promozione dell’immagine della Confederazione all’estero, Nicolas Bideau sottolinea che al festival della fotografia di quest’anno ci sono almeno 14 esposizioni svizzere, o in parte svizzere. Mercoledì, nelle strade del nucleo storico di Arles si potevano persino incontrare il sindaco di Ginevra, Sami Kanaan, e il nuovo membro del governo cantonale ginevrino, Thierry Apothéloz, giunti in città per inaugurare il nuovo Nonante-neuf.
Perché la Svizzera si è trasferita ad Arles in luglio? “Mostrare delle sfaccettature meno note della creazione elvetica rientra nella nostra missione”, risponde Nicolas Bideau, responsabile del Nonante-neuf. I francesi si stancheranno di questa sovra rappresentazione svizzera o la considereranno una nuova forma di ‘colonizzazione’?
“Va detto che non c’è alcuna bandiera da nessuna parte”, si difende il direttore di Presenza Svizzera. Dopo essersi insediato per tre anni nel vecchio atelier delle ferrovie francesi (SNCF), il Nonante-neuf ‘squatta’ ora un vecchio edificio artigianale e gli alloggi decrepiti confinanti. “È una situazione provvisoria. La nostra presenza qui è nomade, bohémienne, arlesiana”, insiste Nicolas Bideau. D’altronde, la Svizzera esibita sui muri del Nonante-neuf è alquanto sorprendente: dei manifesti del maggio ’68 e le sue ripercussioni a Ginevra, Losanna e Zurigo.
Scatti inediti di Robert Frank
Ma la Svizzera non è presente soltanto al Nonante-neuf. Quest’anno, l’esposizione faro rende omaggio a Robert Frank. “Il nostro partenariato con la Svizzera non consiste nel mettere in programma degli artisti svizzeri”, ci tiene a precisare il direttore dei Rencontres, Sam Stourdzé. Ma ancor prima di essere svizzero, Frank non è uno dei fondatori del fotoreportage e l’autore illustre de ‘Gli Americani’?
Ad Arles, si può scoprire il Robert Frank che ha preceduto ‘Gli Americani’. I suoi reportage durante una domenica di Landsgemeinde (il voto per alzata di mano sulla piazza del villaggio) a Hundwil, nel cantone di Appenzello esterno, non sono mai stati venduti, malgrado gli sforzi della sua agenzia Magnum. Questo figlio di ebrei tedeschi “che ha impiegato anni per ottenere la cittadinanza svizzera”, osserva il curatore dell’esposizione Martin Gasser, è fuggito negli Stati Uniti alla fine degli anni 1940. Lì ha incontrato i grandi fotografi americani, tra cui Walker Evans ed Edward Steichen.
Con in tasca la borsa di studi della Fondazione Guggenheim, Frank ha percorso il paese, ha scattato 28’000 fotografie, ne ha sviluppate un migliaio e alla fine ne ha scelte 83. Ha pubblicato i suoi Americani dapprima in Francia, presso Robert Delpire. “Molti americani sono rimasti scioccati da questo specchio presentato da Frank”, rammenta Martin Gasser. “Rifiutavano di riconoscersi e di vedere il razzismo e il consumerismo della società americana”.
Oggi, le immagini di Robert Frank sono vendute a più di 600’000 dollari. A casa del fotografo oggi 93enne, che continua a vivere tra New York e il suo rifugio nella Nuova Scozia (Canada), Martin Gasser ha ritrovato una ventina di scatti che all’epoca non erano state incluse negli Americani, per mancanza di spazio. Immagini che ora sono presentate ad Arles.
L’influenza della famiglia Hoffmann
Uscendo da Arles, il visitatore potrà ammirare dalla stazione un edificio in costruzione un po’ sproporzionato in questa città di 50’000 abitanti. È il futuro centro internazionale dedicato alla cultura e alla ricerca che l’architetto americano Frank Gehry sta realizzando sul sito dei vecchi atelier delle SNCF. Si tratta di un progetto per la Fondazione LumaCollegamento esterno, dietro alla quale c’è una basilese quasi nata ad Arles, Maja Hoffmann, ereditiera dei laboratori farmaceutici Roche.
Sua padre, Luc Hoffmann, si era trasferito ad Arles negli anni 1950. Da allora, Maja, la sorella Vera Michalski e il fratello André sono presenti in tutte le realizzazioni culturali e scientifiche della regione: Fondazione Van Gogh, diretta da una zurighese, Bice Curiger, Fondazione Luma, stazione biologica della Camargue,…
L’influenza di Maja Hoffmann ad Arles supera ampiamente le pareti dei vecchi atelier delle SNCF. È a causa del disaccordo con i progetti della Fondazione Luma che l’ex direttore dei Rencontres de la Photographie, François Hébel, ha rassegnato le dimissioni nel 2014. Il suo successore, Sam Stourdzé, ha invece un’intesa migliore con Maja, forse perché conosce bene la Svizzera (ha diretto il Museo dell’Eliseo a Losanna).
Per la Svizzera, Maja Hoffmann può anche, occasionalmente, servire da tramite. Il presidente della Confederazione, Alain Berset, cercava da tempo di incontrare la ministra francese della cultura, Françoise Nyssen. Maja ha agito da intermediaria e l’incontro ha avuto luogo, a casa sua.
I triangoli di René Burri ad Arles
Un’esposizione rende omaggio a un altro grande fotografo svizzero, René Burri, morto nel 2014. Al termine di un primo viaggio in Egitto nel 1958, si è ritrovato ossessionato dalle figure piramidali. Dei triangoli che sono presenti in molti suoi scatti: un aquilone nella Germania del Dopoguerra, un cappello vietnamita in pieno conflitto o una scala aperta.
In tutte le sue fotografie, il triangolo diventa qualcosa in più di una semplice forma geometrica. Bisognava anche esporre la sua celebre immagine di San Paolo, in Brasile, in cui si vedono degli uomini vestiti di nero camminare sul tetto di un immobile? “Sam Stourdzé, il direttore dei Rencontres di Arles, esitava. Ma io non ho intravvisto dei triangoli e quindi abbiamo rinunciato”, spiega Clotilde Blanc-Burri, vedova di René.
Traduzione e adattamento di Luigi Jorio
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