Friburgo, un festival di paralleli e contrasti
I giurati della ventesima edizione del Festival internazionale del film di Friburgo hanno trovato un buon compromesso, premiando un film iraniano.
Be Ahestegi (“Piano piano”), del trentaquattrenne iraniano Maziar Miri, è un film narrato splendidamente, come nella grande tradizione di Kiarostami e Makhmalbaf.
Una storia semplice ma non banale (quella di una moglie che scompare e ricompare, dopo che il marito ha ormai celebrato il suo funerale), che ci offre un ritratto d’ambiente, un’attenta osservazione del destino femminile, senza scossoni cinematografici.
Ben diverso lo sguardo sul cinema iraniano che ci ha proposto, durante questa ventesima edizione, il Festival di Friburgo, con un panorama dedicato alla produzione “bellica” di questo paese. Sotto la guida di Agnès Devictor i film di propaganda del regime, ma anche opere più inconsuete sulla guerra tra Irak e Iran (come una commedia satirica di Kamal Tabrizi o il neorealistico viaggio di Amir Naderi, girato nel 1981, a pochi mesi dall’inizio del conflitto) hanno dimostrato fino a che punto le immagini cinematografiche offrono spunti di riflessione sull’identità e i conflitti tra i popoli.
Dalle Filippine al Brasile
I paralleli (e contrasti) offerti dalle varie sezioni di questo festival non si fermano qui. Una sezione molto seguita proponeva ad esempio di scoprire il nuovo cinema digitale delle Filippine, mentre tra i film in concorso era possibile accostarsi in prima mondiale all’ultima fatica del filippino Lav Diaz, rappresentante di una nouvelle vague asiatica che rifiuta qualsiasi compromesso: non si può dire che le otto ore grigie e lente di Heremias abbiamo stregato il pubblico, anche se il cineasta tornerà a casa con un “Premio speciale della giuria”.
Un film duro con il pubblico, senz’altro meno ricco e coinvolgente del precedente lungometraggio di 10 ore (“Evoluzione di una famiglia filippina”) anch’esso proiettato a Friburgo, lento e vasto affresco di disperazione contadina e cieca.
Altro parallelo possibile, quello tra il più inatteso dei film in concorso – “Le tentazioni di Frate Sebastiano” di José Araùio, un Ken Russel in salsa cattolica – e la retrospettiva ardente sulla diva del cinema brasiliano Helena Ignez, che ha offerto ai festivalieri capolavori come “Terra in trance” di Glauber Rocha (che fu il primo marito dell’attrice), in una magnifica versione restaurata, o “Il prete e la fanciulla” di Joaquim Pedro de Andrade, ma anche pellicole meno note del cinema indipendente sudamericano.
Schizofrenia dei film in concorso
Da una parte all’altra del globo, dunque, ma anche da un capo all’altro delle possibilità estetiche. La sezione in concorso ha dato quasi un’impressione di schizofrenia: “C’è forse una schizofrenia per quanto riguarda la forma –spiega il direttore artistico del Festival, Martial Knaebel – ma con un’idea unitaria di fondo. In tutti questi registi c’è la ricerca di una forma espressiva più adeguata possibile alla situazione di partenza. Certamente, in questa ricerca i registi possono sbagliare, ma quel che a noi importa è la voglia di rompere i codici”.
In questo senso non deve stupire che Friburgo abbia proposto quest’anno opere realizzate con pochi mezzi e idee modeste (il cinese “Bei Ya Zi De Nan Hai”, “Riporta a casa papà”, di Ying Liang) o al contrario film fin troppo leccati e commoventi (“Be with Me” di Eric Khoo, da Singapore; “Dunia” di Jocelyne Saab dall’Egitto e dal Libano); opere di splendida qualità fotografica ma con una certa ingenuità (“Un matin bonne heure” di Gahité Fofana, Nuova Guinea/Francia) oppure raffinate ma verbose incursioni tra adolescenti in crisi (“Joeun Baewoo”, “Un grande attore”, di Shin Yeon-shick dalla Corea del Sud).
Se dovessimo esprimere una preferenza personale, nomineremmo infine il dolce e disilluso “Shen Hai” (“Cha Cha blu” di Cheng Wen-tang, da Taiwan) o il buffo e emozionante “Bidan-gudu Saga-jigo Ohshinda-the-ni (“Dicevi che saresti tornato con scarpe di seta” di Yeo Kyun-dong, Corea del Sud), due film di fattura abbastanza classica, ma profondi e intensi, senza concessione al sentimentalismo.
La varietà di stili, luoghi, tradizioni e provocazioni offerti dal Festival ai suoi 26’000 spettatori ha comunque consentito un’apertura d’orizzonte salutare e qualche imprevisto benvenuto.
swissinfo, Pierre Lepori da Friburgo
La ventesima edizione del Festival Internazionale del Film di Friburgo si è svolta dal 12 al 19 marzo 2006. I film proiettati nelle numerose sezioni della rassegna sono stati visti da 26’000 spettatori.
“Be Ahestegi” (“Piano piano”) del regista iraniano Maziar Miri ha ricevuto il “Regard d’Or” il massimo riconoscimento della giuria internazionale presieduta da Michel Demopoulos, già direttore del Festival di Tessalonica.
Il Premio del pubblico è stato attribuito a Dunia di Jocelyne Saab, che ha ricevuto anche il premio della giuria dei giovani.
Il Festival Internazionale del Film di Friburgo è stato fondato da Magda Bossy e Yvan Stern; è oggi diretto da Martial Knaebel e Marina Mottin e sostenuto dalla Confederazione, dal Cantone e dalla Lotterie Romande.
Il regista vincitore di questa ventesima edizione, Maziar Miri, è nato a Teheran nel 1972 e ha lavorato come documentarista e montatore per la televisione iraniana. “Be Ahstegi” (“Piano piano”) è il suo primo lungometraggio di finzione.
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