Giorgio Orelli non si arrende al tempo che passa
Ha 90 anni, ma non li dimostra. Agile, asciutto, lo sguardo blu vivace, la battuta pronta: Giorgio Orelli, considerato come uno dei maggiori poeti di lingua italiana del dopoguerra, ha ancora tanti progetti e sogni nel cassetto.
Il meno che si possa dire è che non è stato facile avvicinare Giorgio Orelli. Non perché il poeta, critico e traduttore più illustre della Svizzera italiana – Gran Premio Schiller e Premio Chiara alla carriera – fosse poco disponibile a concederci un’intervista.
Diciamo piuttosto che è stato un compito arduo per lui e la moglie Mimma – la quale lo aiuta ad allestire la sua agenda di appuntamenti – gestire le tante domande dei media all’avvicinarsi del 25 maggio, data del suo compleanno.
Tira e molla, ce l’abbiamo però fatta anche noi.
swissinfo.ch: Oggi festeggia i suoi primi 90 anni in perfetta forma fisica ed intellettuale. Ci parli un po’ di questa sua “arte della longevità” come l’ha descritta il suo collega e conterraneo, Piero Scanziani, scomparso nel 2003 alla rispettabile età di 95 anni.
Giorgio Orelli: (ride) Innanzitutto non sono in piena forma fisica, anche se è vero che continuo ad andare tutti i giorni in bicicletta. Ho alcuni disturbi di cuore ai quali rimedio egregiamente con i farmaci e grazie all’ausilio del mio medico di fiducia che, per parafrasare Giosue Carducci, si prende cura della mia “augusta carcassa”.
Detto ciò ho la fortuna di avere tutta la mia testa. È vero, senza volerlo ho sicuramente coltivato l’arte della longevità e continuo a stupirmi di essere arrivato a questa veneranda età. Va detto che da giovane, ho rischiato più di una volta di passare sull’altra sponda…A cinque anni, è mancato poco che ci lasciassi le penne per un’appendicite acuta. Sono stato portato all’Ospedale di Lugano in treno e ricordo ancora che abbiamo dovuto chiedere al convoglio di fermarsi espressamente poiché non era prevista nessuna sosta a Lugano!
L’importante è comunque sapere invecchiare bene, come certi alberi pluricentenari che sembrano sempre giovani!
swissinfo.ch: Lei è considerato come uno dei maggiori poeti di lingua italiana del dopoguerra. La lusinga questa definizione, ci si riconosce?
G.O: La celebrità e la gloria passano come nuvole nel cielo. L’importante è la bravura, il sapere trasmettere quello che si ha dentro e quindi poco importano le classifiche. Detto ciò mi fa piacere che si tenga conto di me.
swissinfo.ch: Giorgio Orelli è stato definito un “toscano nato in Ticino” per quella sua perfetta padronanza della lingua di Dante…
G.O: È vero, l’ha detto il mio illustre maestro all’Università di Friburgo, Gianfranco Contini, il più grande filologo che l’Italia abbia conosciuto da decenni a questa parte e il cui insegnamento ha marcato tutta la mia carriera. Contrariamente alla maggior parte dei suoi colleghi, lui era anche un grande lettore e lo è stato delle mie poesie.
swissinfo.ch: Cosa pensa delle nuove generazioni di scrittori nella Svizzera italiana? Vede un suo successore nel panorama degli autori attuali?
G.O: Ci sono tanti giovani talentuosi, anche se quando dico “giovani” intendo chi ha una trentina d’anni meno di me! Voglio citare Fabio Pusterla, Vanni Bianconi, Fabio Contestabile. Tra i giovani anagraficamente parlando, so che sono spuntati nuovi nomi in questi ultimi anni, perlopiù di romanzieri e giallisti. Scrittori certamente di talento, anche se personalmente non leggo questo tipo di narrativa.
swissinfo.ch: Lei è nato ad Airolo in una famiglia ticinese dove si parlava dialetto, ma è sempre stato restio a pubblicare in dialetto. Come vede il suo uso nella letteratura?
G.O: Il dialetto è importante, ma ritengo che i ticinesi che insistono per una sua difesa ad oltranza lo fanno perché non si sanno esprimere correttamente. Così come ritengo assurda ed esagerata una legge adottata poco fa dal cantone Zurigo e che obbliga l’utilizzo dello Züridütsch nelle scuole dell’infanzia. A parer mio è una violenza fatta a chi non è zurighese di nascita.
Detto ciò il dialetto, se visto come uno strumento indispensabile per dire certe cose in un certo modo, può rimpiazzare una lingua: basta però saperne fare buon uso. Ho molto ammirato ad esempio, il grande poeta Carlo Porta che scriveva in dialetto milanese. La sua poesia era così profonda, che addirittura Alessandro Manzoni ne percepì l’importanza. Insomma, conta il risultato…
Mi viene in mente una Crocerossina della Val Calanca, che scrisse un meraviglioso poema su una lucertola in dialetto di Cama, un paesino della sua valle, giustificando appieno l’uso della parlata locale. Sbaglia invece chi si ripiega sul dialetto perché non conosce bene l’italiano!
swissinfo.ch: Come vede il Ticino di oggi rispetto a quello rurale e molto più povero della sua infanzia? Lo riconosce?
G.O: Il Ticino di oggi è a dir poco sorprendente. Ha dei grandi difetti, ma anche dei grandi pregi che gli permettono di “salvarsi” in mille modi. Basti pensare alle risorse del suo territorio, come i vigneti dai quali si traggono tanti vini eccellenti.
Se penso invece all’avvenuta chiusura delle mentalità, alle paure diffuse, mi viene una grande tristezza anche se, ormai, faccio finta di nulla… A 90 anni avrò anche il diritto di non rodermi più il fegato! Il Ticino degli emigrati – anche i miei avi se ne andarono in Francia o in Svizzera interna a lavorare – era più aperto, bisogna ammetterlo. Comunque sia sono del parere che non siamo peggio di chi ci circonda, non dobbiamo sempre buttarci giù!
swissinfo.ch: Lei non è mai andato in quella che si suole chiamare “la meritata pensione”, continua a lavorare e ad avere progetti, è così?
G.O: Certamente, lavoro più ore al giorno, a ritmo mio. Le edizioni Garzanti che mi pubblicano in Italia usciranno a breve con un mio nuovo volume, mentre una raccolta di saggi è prevista in Ticino presso Casagrande.
Sto anche preparando un lungo racconto in prosa che ho intitolato “Suite in la con gli anni”, che è in qualche modo autobiografico. Scrivo con la macchina da scrivere – ho quattro vecchie Olivetti – poiché non mi sono mai adeguato alle nuove tecnologie: né computer, né internet, né telefonino.
swissinfo.ch: Giorgio Orelli, la morte le fa paura?
G.O: Guardi, è umano avere paura della morte però, come detto, io le sono stato vicino già più volte. Spero di continuare a vivere il più a lungo possibile: per realizzare tutto quanto ho ancora in mente, dovrei fare un patto con gli anni…
swissinfo.ch: Come festeggia questo bel giorno?
G.O: Dovrebbe essere una giornata come le altre, anche se sono stupito di vedere quante manifestazioni di affetto mi stanno giungendo da lettori, parenti, amici. Insomma oggi faccio “festa a me stesso” attorniato dalla famiglia che è quanto di più importante abbia nella vita…
swissinfo.ch: Buon compleanno Signor Orelli!
Nasce il 25 maggio 1921 ad Airolo, in una famiglia conservatrice e cattolica. Studia filologia a Friburgo sotto la guida di Gianfranco Contini, filologo e critico italiano di grande fama (Domodossola 1909-1990).
Ultimata la formazione, fa ritorno a Bellinzona dove insegnerà letteratura italiana alla Scuola cantonale di commercio e al Liceo.
Considerato come uno dei maggior poeti di lingua italiana vivente, critico e traduttore, Giorgio Orelli si affaccia alla poesia negli anni della seconda guerra mondiale con la raccolta Né bianco né viola (1944).
Profondo conoscitore degli autori italiani che sviscera nel saggio Accertamenti verbali (1998), Orelli consacra anche una grande attenzione alla poesia di Eugenio Montale ed a quella di Goethe che traduce splendidamente in italiano.
Tra le sue maggiori raccolte di versi, citiamo L’ora del tempo (1962), Sinopie (1977), Spiracoli (1989) e Il collo dell’anitra (2001). Ha pubblicato un unico libro sotto forma di prosa: Un giorno della vita (1960).
Garzanti pubblicherà prossimamente un suo nuovo volume di poesie e Casagrande (Bellinzona) una raccolta di saggi. Giorgio Orelli lavora attualmente alla preparazione di un lungo racconto di prosa intitolato Suite in la con gli anni.
È primo cugino dello scrittore Giovanni Orelli (1928).
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