Pardo d’Oro al documentario cinese “Mrs. Fang”
Per la 70esima edizione la giuria del festival del film di Locarno ha creato una certa sorpresa assegnando il Pardo d'Oro a un documentario. In "Mrs. Fang", il regista cinese Wang Bing racconta senza voyeurismi gli ultimi giorni di vita di un'anziana malata di Alzheimer. Sottorappresentato, il cinema svizzero e italiano è invece tornato a casa praticamente a mani vuote.
Figura di spicco del cinema documentario a livello mondiale, Wang Bing ha esordito nel 2003 con un film di oltre nove ore sulla lotta della classe operaia cinese (“West of the Tracks”). Da allora il 50enne non ha mai smesso di osservare con sensibilità il suo paese, dove le sue opere sono per lo più censurate.
In “Mrs. Fang”, tra i quattro documentari in concorso quest’anno a Locarno, il regista cinese segue gli ultimi giorni di vita di una contadina, che da otto anni è ammalata di Alzheimer. Se lo spettatore è confrontato ad ogni istante con l’agonia della donna e della sua famiglia, lo sguardo del regista non è mai invadente, ma spinge senza dubbio lo spettatore ad interrogarsi sul proprio rapporto alla morte e alla solitudine che inevitabilmente l’accompagna.
La giuria presieduta dal regista Olivier Assayas ha inoltre attribuito il premio per la miglior interpretazione all’attrice francese Isabelle Huppert per il suo ruolo in “Madame Hyde”, mentre quello per la miglior interpretazione maschile è andato a Elliott Crosset Hove, protagonista di “Winter Brothers”.
Il film svizzero “Goliath” divide la critica
Altri sviluppi
70 anni di cinema libero e impegnato
In lizza per il Pardo d’Oro quest’anno c’era solo un film svizzero, “Goliath”Collegamento esterno, del regista argoviese Dominik Locher. Una pellicola sul culto del corpo e sull’impatto della nascita di un bambino, che ha suscitato reazioni contrastanti.
“Goliath” è una storia «curiosamente avvincente», che permette di ritrovare sul grande schermo un giovane attore, Sven Schelker, viciniore due anni fa del premio del cinema svizzero grazie a “Der Kreis”, scrive La Tribune de Genève. «Il risultato regge» ed è «preciso in ogni sequenza». Dello stesso avviso anche Le Temps, che elogia il modo in cui il regista è riuscito ad inserire il dramma in «un ambiente sociale preciso e credibile», mentre alla radio svizzero-tedesca SRF è il ritmo del film ad essere decantato: «veloce, preciso e radicale». Più critico invece il giornalista dei quotidiani L’Express e L’Impartial, visibilmente infastidito da un certo «abuso di stereotipi».
Presenti in gran numero a Locarno, anche i giornalisti stranieri non sono unanimi di fronte all’opera del 35enne Dominik Locher. Senza esprimere particolari giudizi, il sito specializzato Variety commenta: «In un paese conosciuto all’estero per il suo pacifismo, l’alto standard di vita e la democrazia (…), “Goliath” mette in un luce una visione molto più oscura dell’umanità». Dalle colonne di El Mundo arriva invece una stangata: «Non c’è alcun dubbio, “Goliath” è un film liceale. Un cinema così ripetitivo da risultare pesante; elementare, nel senso peggiore del termine».
Se “Goliath” è tornato a casa a mani vuote, un altro film svizzero (“Dene wos guet geit“) ha invece ricevuto una menzione speciale da parte della giuria quale opera prima. Enigmatico, il film di Cyril Schäublin traccia il ritratto di una Zurigo divisa tra ricchi e poveri, dove la gente non riesce più a parlarsi davvero.
Dalla forza del neorealismo, all’assenza italiana di oggi
Per quanto riguarda la presenza italiana, il bilancio di questa edizione è senza dubbio povero. Malgrado l’interesse della tematica, l’unico film in concorso, “Gli Asteroidi” di Germano Maccioni, non ha convinto.
Ambientato nell’Emilia Romagna, il film «compone immagini potenti di una periferia ostile e inospitale», ma non riesce nella sfida di raccontare una storia convincente, scrive La Repubblica. Maccioni tenta di descrivere la difficoltà a collocarsi nel mondo, gli fa eco il Corriere del Ticino, ma «sia la trama che l’interpretazione, nel voler raccontare tanto, non raggiungono (…) la profondità che vorrebbero portare alla luce». Aspro anche il giudizio del quotidiano svizzero-francese Le Temps: «Nonostante un tocco di gioioso nichilismo, il film si svolge senza asperità, senza colpi di scena e sorprese, come un buon telefilm calibrato per la prima serata».
Se c’è forse una cosa da rimproverare al festival è la scarsa presenza italiana per questa 70esima edizione. Dare maggior spazio a un cinema indipendente ed innovativo, che in Italia viene spesso dimenticato, sarebbe stato un bel modo per festeggiare questo importante anniversario e tracciare un ponte tra il suo glorioso passato – iniziato proprio col neorealismo italiano – e un futuro pieno di speranza. La rivalità con Venezia è certo impari, ma forse Locarno potrebbe fare di più.
I vincitori del Pardo d’Oro dal 1968 al 2016
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